DOPO LE ELEZIONI. IL PD E IL CASO MILANO di Roberto Biscardini da Jobsnews.it
28 maggio 2019
Qualche considerazione sui risultati elettorali, nel rapporto tra Lega e Pd, per arrivare al caso Milano. La prima amara constatazione è che se Renzi non avesse impedito al Pd un governo con i 5Stelle, rinunciando a qualsiasi potere coalizionale, il risultato della Lega, senza Salvini al governo, non sarebbe mai stato così alto. Anzi. La proposta politica del Pd non è così in grado di recuperare i voti tradizionali della sinistra e men che meno i voti moderati. Ma sbaglia di grosso chi pensa adesso che diventando ancora più moderato di quello che è possa recuperare nuovi consensi.
Penso che il Pd, ormai sostanzialmente afono sul terreno dei bisogni di una società sempre più complessa, tutto autoreferenziale, tutto politicista, abbia bisogno di trovare una strada nuova. Vuol dire essere lontano un miglio dalla realtà se si canta vittoria per il suo risultato nazionale, senza metter in conto il significato del disastro piemontese, di molti comuni capoluoghi, prima rossi oggi verdi, e di moltissimi altri comuni, dove, soprattutto al nord, ormai ne salva molto pochi. Il Pd perde, così vanifica ciò che finora aveva retto e cioè la capacità di trarre forza complessiva proprio dalla gestione del potere locale, sul territorio. Dopo aver perso anche ogni riferimento serio con i corpi intermedi e il sociale, silenziosamente oggi occupato, persino sul terreno della solidarietà dalla Lega, soprattutto al nord. Della sinistra radicale inutile parlarne, si è letteralmente spappolata.
Da qui una possibile lettura del dato di Milano e delle Lombardia, il Pd prende a Milano il 35,97% contro il 23,1% a scala regionale, in una città che mette sopra la media nazionale comunque anche La Sinistra, i Verdi e +Europa. Perché? Per tante ragioni. Intanto la Lega in Lombardia capitalizza un voto storico a suo favore, che è sempre stato molto più basso nel capoluogo. Considerazione molto diversa da quella che per esempio ha espresso Sala, nel tentativo di attribuirsi il merito di aver lavorato bene, e dando il merito al cosiddetto “modello Milano”. Ma non è così. Il voto è un voto nazionale che si differenzia, pur grossolanamente, in rapporto alla ricchezza delle famiglie e delle opportunità, anche di reddito, che un città offre rispetto alle altre.
Milano nel solo periodo 2012-2017 ha continuato ad aumentare la sua ricchezza in modo significativo, compreso l’aumento dei redditi da lavoro. Alcuni dati. Dal 2008 al 2017 aumenta il numero di cittadini che dichiarano redditi da lavoro al di sopra di 55.000 euro, diminuisce la popolazione che è al di sotto di quella soglia. Significa che le famiglie del ceto medio sono complessivamente più ricche, nonostante la crisi. Contemporaneamente, aumentano i redditi procapite della fasce superiori ai 15.000 euro e diminuisce il reddito procapite di coloro che sono sotto questa fascia.
Infine, diminuisce il numero delle denunce dei redditi di chi è sotto 26.000 euro e aumentano in modo consistente le denunce dei redditi delle famiglie con reddito da 26.000 a 120.000. Si può quindi sostenere che a Milano tutte le famiglie che possiedono un reddito da lavoro (pensioni comprese) dal 2008 al 2017 sono diventate complessivamente più ricche. E si spiega cosi, anche, come il Pd sia più forte nelle zone centrali piuttosto che in quelle più periferiche. Infine, visto che stiamo parlando di elezioni nazionali, si spiega come, rispetto a Milano, il Pd sia molto più debole nel resto di’Italia e persino nel resto della Lombardia.
Se il Pd e tutta la sinistra non sapranno leggere con realismo i cambiamenti sociali in atto, sono destinati ad essere marginali.
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