DOPO LA SCONFITTA DEL PD IN SICILIA: SERVE IL RITORNO A SINISTRA di Maurizio Ballistreri, da Il Blog della Fondazione Nenni
07 novembre 2017
Non si comprende la sorpresa per la nuova sconfitta del Pd,
in un test strategico qual è sempre stato storicamente il voto per le regionali
in Sicilia. Infatti, dopo la debacle nel referendum costituzionale del 5
dicembre 2016, il Partito democratico ha mostrato di non avere più linea
strategica, con la crisi della leadership di Matteo Renzi e la debolezza del
suo “cerchio magico”.
Una serie di sconfitte elettorali il cui presupposto risiede
in un elemento che accomuna il Pd a parte delle socialdemocrazie europee, in
primo luogo la Spd in Germania: se la sinistra, anche di orientamento
moderatamente riformista, pratica politiche economiche e sociali di tipo
liberista, perde il suo elettorato tradizionale, che viene attratto dalle
falene del nazional-populismo in grado di esorcizzare l’insicurezza sociale, e
non cattura i voti della destra di ceppo popolarista e conservatore; già,
questa destra vota per l’originale e non per l’imitazione!
Il Pd renziano paga per intero il paradigma delle “Due
destre”, fondato su di una dialettica tra una destra plebiscitaria e una destra
liberista e tecnocratica travestita da centrosinistra blairiano.
Da una parte una destra sostenitrice della sovranità
nazionale e dell’identitarismo territoriale; l’altra destra con tecnocrati
“prestati alla politica” che trovano di volta in volta il sostegno della
sinistra ex-comunista e dei cosiddetti “cattolici democratici”, alleati con il
“salotto buono” del capitalismo italiano (o ciò che rimane dei “poteri forti”
un tempo organizzati attorno alla Mediobanca di Enrico Cuccia, oggi
essenzialmente la “nuova Fiat” di Marchionne) e la grande editoria invero
pressoché tramontata, con l’avvento dei social. I governi Amato, Ciampi e Dini
(1992-1996) e il breve esecutivo Prodi del 2006-2008 con ministro dell’Economia
Padoa-Schioppa, per taluni aspetti rappresentano i precursori di Monti e di
quel “governo dei tecnici” il cui archetipo è nella proposta formulata nei
primi anni ’80 del secolo scorso dal repubblicano Bruno Visentini.
D’altra parte, anche l’attuale politica economica del
governo-Gentiloni, con un ex tecnico del Fondo Monetario, Carlo Padoan, in via
XX settembre, fondata su aumenti dissimulati delle tasse e qualche mancia
elettorale, modifiche in peggio al sistema di previdenza pubblica con
l’allungamento della vita lavorativa e il taglio delle pensioni e la riduzione
dei diritti del lavoro, risponde al modello liberistico del “Washington
consensus”, la dottrina economica americana imposta a livello planetario dalle
politiche del Fondo Monetario Internazionale e dalle agenzie di rating e in
Europa dal monetarismo di Frau Merkel e della Banca centrale europea.
Il Pd, adesso, deve guardare a sinistra, a quella autentica
in Europa, in cui non mancano fermenti: dall’indubbio successo di James Corbyn
in Gran Bretagna al ruolo di Jean-Luc Mélenchon, candidato alle presidenziali
francesi con un programma che vedeva al centro, la questione sociale e quella
ecologica, sino al governo in Portogallo guidato dal socialista Antonio Costa
con il “Bloco de Esquerda” e i comunisti.
Si guardi al Partito socialista portoghese, che ha stravinto
le ultime elezioni amministrative, conquistando il 38% dei consensi su scala
nazionale e vincendo in 158 comuni su un totale di 308. Il leader socialista
portoghese Antonio Costa si è battuto per voltare pagina rispetto alle
politiche di austerità e ha già cancellato alcune delle misure di austerity
concordate tra il governo di centrodestra e il Fondo Monetario Internazionale e
la Ue tra il 2011 e il 2014 e ha alzato il salario minimo, ha abbassato l’età
pensionabile e ha aumentato gli investimenti pubblici, in particolare quelli
nella sanità: in pochi anni il Portogallo ha recuperato diverse posizioni nelle
classifiche internazionali sulla qualità dei servizi sanitari.
A luglio il tasso di disoccupazione ha raggiunto l’8,9 per
cento, il livello più basso dal novembre 2008. L’economia dovrebbe crescere
quest’anno del 2,5 per cento, sostenuta da turismo ed esportazioni.
Un modello per un Pd che intenda tornare, anzi che intenda
andare veramente a sinistra.