Dopo la chiamata alle armi di Rocco Buttiglione. Il martirio all'italiana. Di Alberto Benzoni da "L'avanti della domenica" 14 Novembre 2004.
20 novembre 2004
Se la Chiesa si dovesse sentire obbligata a scendere in campo per difendere i propri interessi, lo farà in prima persona e senza l’aiuto del politico-filosofo. “Oggi in Europa, domani in Italia”. Non stiamo parlando di Prodi, presidente della Commissione. Ma di Buttiglione, mancato commissario. Perché testimone e vittima, e perciò propriamente martire della sua fede. Il suo è, però, un martirio all’italiana. Siamo un paese in cui, da moltissimi anni, il martirio è uno “status”. Una condizione che è anche un mestiere; anzi un “business”. Il filosofo non è che l’ultimo dei tanti “disabili” della politica italiana: un “invalido a causa di servizio” in attesa di vedere riconosciuta e opportunamente “monetizzata” la propria situazione. Dubitiamo però che questa “disabilità procurata” gli venga risarcita. E siamo convinti che ne dubiti, più di noi, lo stesso Buttiglione. Il “movimento”, dai contorni e dai contenuti del tutto incerti, di cui il Rocco nazionale sarà certamente il leader si fonda, infatti, almeno apparentemente, su questi presupposti: “I cattolici, che dico, i cristiani sono in Europa una minoranza di diversi e, perciò, di discriminati. Perciò occorre creare un ‘movimento’ che, in Italia, ne difenda i valori”. Ci dia retta Buttiglione; è una roba che non sta in piedi. E per tante ragioni che egli stesso conosce benissimo. Pensare altrimenti sarebbe fare torto alla sua intelligenza. Lasciamo perdere, per carità di patria, la questione dei “valori”. Un termine che a più d’uno fa venire l’orticaria. Perché ricorda la Borsa. O Di Pietro. O magari tutti e due. Ma, se a lui sta bene, “nulla quaestio”. E diamo anche per buona la sua versione su quanto è accaduto a Strasburgo. Molti la contestano: sostenendo che l’esame cui è stato sottoposto non riguardava le sue opinioni ma i suoi atteggiamenti rispetto a questa o quella legge; e che, comunque, anche se di provocazione si fosse trattato, Buttiglione c’è volutamente cascato. Però anche se provocazione fosse stata, che c’entra l’Italia? Più esattamente, quale rapporto c’è, quale rapporto ci può essere tra la discriminazione subita a Strasburgo, in quanto cattolico e la decisione di formare un movimento cattolico (che dico, cristiano) a difesa dei valori da difendere, non in Europa, ma in Italia? Il salto logico e politico (ma anche geografico…) di questa operazione è del tutto evidente; e tale da condannarla, in partenza, al fallimento. E valga, a questo riguardo, l’atteggiamento della Chiesa: sicuramente la più abilitata a giudicare l’iniziativa (si tratta, dopo tutto, dei valori morali contenuti nel suo insegnamento). Sinora (come ha spiegato Baget Bozzo, anche se in modo riduttivo) questo è stato di chiusura reticente; ma potrebbe, nel futuro, diventare apertamente ostile; e per ragioni, insieme, di opportunità e di principio. Nello schema di Buttiglione, la religione (e, con essa, la Chiesa) è una realtà ad un tempo minoritaria e minacciata. Ora, questo può essere vero per il “comune sentire” europeo (quello espresso, per intenderci, al Parlamento di Strasburgo e nella polemica sulle “radici cristiane”); e può diventarlo nella Francia “laicista” e nella Spagna di Zapatero; ma non lo è e, soprattutto, non deve diventarlo in Italia. In Italia, la Chiesa ha già contribuito (giustamente, dal suo punto di vista) a determinare “spaccature” - come nel caso del divorzio e dell’aborto - risultando però dalla parte minoritaria e perdente. Potrà, allora, subire altre sfide del genere (se ci sarà, per esempio, il referendum sulla fecondazione assistita); ma è assolutamente intenzionata a non provocarle. Diciamo che teme di essere minoritaria; ma che, proprio per questo, non vuole sentirsi minacciata. Trovando, in questo, un’intesa con una sinistra che, dall’art 7 in poi, non intende in alcun modo essere partecipe di guerre “di” o “sulla” religione; e un ampio supporto in un Concordato che ha attualizzato e reinterpretato in chiave democratica il ruolo della Chiesa e del mondo cattolico come partecipe e garante della crescita civile del paese. In tale contesto non c’è proprio spazio per le “chiamate alle armi” del filosofo. E non può nemmeno esserci in futuro per un’altra ragione; questa di principio. Insomma, è possibile che, un giorno, la Chiesa si senta obbligata a scendere in campo, anche nel nostro paese, a difendere il suo ruolo nel “mondo” e il messaggio di vita e di salvezza che ritiene di incarnare. Ma, se mai lo farà (e ciò non rientra oggi nelle sue previsioni), lo farà in prima persona, con i suoi criteri e i suoi strumenti: e, in tal caso, non avrà alcun bisogno di Buttiglione. Queste cose, comunque, il Nostro le sa benissimo. Come sa benissimo che non può contare su appoggi consistenti all’interno della sua area di appartenenza. A partire da Berlusconi utile, certo, quando si tratta di fungere da braccio secolare della Chiesa, esponendosi, in prima persona, su leggi proibizioniste; ma, del tutto controproducente in veste di propugnatore di valori morali. Gli rimangono, allora, Giuliano Ferrara e il suo giornale. Ma, fossimo in lui, non vi faremmo troppo affidamento. Ferrara è, infatti, per natura, un avventuriero e un provocatore (nel senso più completo, e quindi anche positivo, del termine). Uno che raccatta, di volta in volta, tutte le posizioni che siano minoritarie e politicamente scorrette - e quindi sostenute apertamente da (quasi) nessuno prima di lui, per farsene, di volta in volta, una bandiera; l’occasione per manifestare la sua differenza polemica. (In questo è molto simile a Pannella; con la differenza che quest’ultimo gestisce in regime di monopolio Cause e non Opinioni). E, allora, Ferrara può essere, per Buttiglione, un referente momentaneo; non un appoggio significativo e permanente in un disegno politico. E allora? E allora la crociata di Buttiglione ha un senso solo se si riduce a semplice calcolo tattico. Funzionale a rappresentare non tanto alla Chiesa ma agli alleati della Casa delle libertà e, soprattutto, all’“amico Follini” la sua autonoma esistenza politica. A sgomitare, del resto, sono in tanti e con i pretesti più diversi: perché non lui? Può, certamente, spiacere all’osservatore esterno che la “merce” esposta dal Nostro rappresenti uno strumentale uso politico di una materia religiosa e morale. Ma a lui, in questo autentico clericale, non può spiacere di certo.
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