DOPO IL BIPARTITISMO, LA POLITICA di Del Bue, il Riformista 11 dicembre 2007
03 gennaio 2008
Non risolviamo la crisi col bipartitismo omicida Ha ragione Lanfranco Turci che sul Riformista richiama alla necessità di una più marcata e visibile autonomia socialista sia sul versante veltroniano, e qui mi pare che non ci sia alcun problema a manifestarla, sia su quello prodiano, e invece su questo punto l'impressione è che si sia più recalcitranti. E ha qualche ragione anche Giuseppe Tamburrano, che sullo stesso numero del giornale invita i socialisti a essere più coerenti nel trarre le conseguenze rispetto alle loro battaglie. Egli cita in particolare l'emendamento bocciato al Senato sul pagamento dell'Ici per le imprese commerciali legate alla Chiesa. E annota che per esaltare la valenza di quella giusta posizione i socialisti avrebbero dovuto non votare la legge e addirittura uscire dal governo. Credo che a maggior ragione dopo l'emendamento clamorosamente rifiutato dal governo sulla legge del welfare relativo al sussidio per i giovani a contratto (i cosiddetti co.co.pro) si sarebbe dovuto porre analogo problema, tanto che all'interno del gruppo della Camera si prese anche in considerazione l'astensione sulla fiducia, poi rientrata, ma con l'esplicito annuncio di Enrico Boselli secondo il quale da allora «il Psi si sarebbe tenuto le mani libere». Può essere che il preannunciato accordo Veltroni-Berlusconi su una riforma elettorale capestro per i partiti medio-piccoli abbia convinto qualcuno a considerare Prodi un punto di riferimento irrinunciabile. Difficile però immaginare che Prodi abbia la forza per imporre regole elettorali contrapposte a quelle del duo richiamato, e che il governo possa superare la soglia di quel gennaio a cui Dini ha dato solenne appuntamento a un governo dichiarato da Bertinotti «morente». Dunque anche dal punto di vista tattico mi sembra discutibile affermare «Après Prodi le deluge». Può anche essere che i partiti medio-piccoli abbiano interesse a votare con questa legge elettorale, già a primavera. Ma allora, a maggior ragione, se così fosse, ma io che sono antibipolare non lo penso, perché non essere protagonisti di una crisi di governo che si dovrebbe invece solo subire, per poi aver il vantaggio di trovarsi a essere a un tempo i giapponesi di un governo francamente poco popolare (per usare un eufemismo) e poi eventualmente assertori della continuazione di un bipolarismo che è stato dannoso per il Paese? Spero che di tutto questo si abbia la possibilità di discutere all'interno della Commissione per la Costituente con la stessa franchezza e la stessa apertura con la quale se ne discute nelle decine e decine di assemblee che stiamo tenendo in giro per l'Italia con la partecipazione di migliaia e migliaia di militanti e di potenziali elettori che chiedono a noi il coraggio di una linea politica fondata sull'esaltazione di un'identità e di una collocazione non subalterna. Vorrei che fosse chiaro che sta a noi dimostrare che la crisi del bipolarismo non la si risolve con il bipartitismo omicida, ma con il ritorno alla politica delle forti idealità, che nessun gazebo e nessun predellino di Mercedes possono annullare e che solo un sistema proporzionale può assicurare. La crisi del bipolarismo non la si può risolvere col mantenimento del bipolarismo per paura del bipartitismo.
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