DISOCCUPAZIONE: DATI CONTRADITTORI E FRAGILITA’ STRUTTURALE di Franco Astengo
05 giugno 2017
Questi i dati apparsi oggi in materia di occupazione: “Il tasso di disoccupazione a febbraio scende all'11,5% (-0,3 punti percentuali). In forte calo soprattutto il tasso di disoccupazione giovanile, che torna ai livelli del 2012, 35,2%. Al calo della disoccupazione tuttavia non corrisponde un aumento degli occupati: infatti il numero è stabile rispetto a gennaio, e in effetti, rileva l'Istat, si mantiene anche sugli stessi livelli dei quattro mesi precedenti. Mentre la stima delle persone in cerca di occupazione registra un forte calo su base mensile (-2,7%, pari a meno 83 mila): il calo interessa uomini e donne ed è più accentuato tra i 15-24enni e gli over 50. E la stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni nell’ultimo mese è in crescita (più 0,4%, pari a più 51 mila). L’aumento si concentra tra gli uomini, mentre calano leggermente le donne e coinvolge tutte le classi di età ad eccezione degli ultracinquantenni. Il tasso di inattività è pari al 34,8%, in aumento di 0,1 punti percentuali su gennaio. Per quanto in calo, il tasso di disoccupazione italiano rimane più alto di quello dell'Eurozona, che in febbraio, comunica Eurostat, è pari al 9,5%, in calo dal 9,6% di gennaio e dal 10,3% di febbraio 2016. Si tratta del livello più basso da maggio 2009. Nell'Unione il tasso è all'8%, in calo dall'8,1% di gennaio e dall'8,9% di febbraio 2016, minimo da gennaio 2009. Da qualche mese l'Istat sta anche confrontando i dati sull'occupazione con quelli demografici. Al netto della componente demografica, dunque (le tendenze di fondo sono la riduzione del numero dei giovani e l'aumento delle fasce più anziane) cresce l'incidenza degli occupati sulla popolazione in tutte le fasce di età. Ma si afferma sempre di più "il ruolo predominante degli ultracinquantenni nello spiegare la crescita occupazionale, anche per effetto dell'aumento dell'età pensionabile".
GLI OCCUPATI. Nonostante il calo della disoccupazione, in quadro non è molto incoraggiante nel confronto mensile, mentre in quello annuale si registra invece ancora un significativo aumento degli occupati, 294.000 unità. Sono quasi tutti lavoratori dipendenti (280.000) ma meno della metà (102.000) sono permanenti). Nel confronto mensile invece non si registra alcuna variazione degli occupati.
DISOCCUPATI E INATTIVI. Robusto invece l'aumento degli inattivi, che però riguarda esclusivamente gli uomini, il cui tassi di inattività sale pertanto al 25,1% mentre quello femminile cala al 44,4%. Per cui è vero che a febbraio ci sono 83.000 disoccupati in meno rispetto a gennaio, ma anche 51.000 inattivi in più. I GIOVANI. Sulla componente giovanile va fatta una premessa: nella fascia di età 15-24 anni in Italia solo il 10% è in cerca di lavoro. Gli altri non rientrano nelle forze di lavoro, e quindi non vanno considerati nè per il calcolo del tasso di disoccupazione né di quello di occupazione. E quindi, spiega l'Istat, "l'incidenza dei giovani disoccupati tra 15 e 24 anni sul totale dei giovani della stessa età è pari all'8,9% (cioè meno di un giovane su 10 è disoccupato). Se si guarda ai numeri assoluti, per i giovani non cambia un granché: infatti a febbraio il numero degli occupati è invariato, quello dei disoccupati si riduce di 41.000 unità ma quello degli inattivi aumenta di 38.000 nel confronto mensile. Nel confronto annuale invece le differenze sono un po' più significative: ci sono 15.000 occupati in più, 78.000 disoccupati in meno e 36.000 inattivi in più.”
ALLARME TRENTENNI. Le fasce d'età che mostrano seri problemi nel mercato del lavoro sono però quelle di mezzo. Infatti per la fascia 25-34 anni c'è sia una riduzione degli occupati che un aumento di disoccupati e inattivi nel confronto mensile e in quello tendenziale. Su base annua i dati sono preoccupanti: 17.000 occupati in meno, 57.000 disoccupati in più e 126.000 inattivi in più. Altrettanto allarmanti i dati della fascia successiva: infatti c'è un calo su base annua di 106.000 occupati, i disoccupati in meno sono solo 7.000 ma gli inattivi in più sono 127.000.” Un’analisi realistica nel merito ci indica alcuni punti essenziali di ragionamento:
1) Al riguardo dei giovani le ipotesi sono due. La prima quella della crescita dei cosiddetti need, la seconda quella delle aziende che li hanno costretti a rifluire nell’ambito del lavoro nero considerato l’esaurimento delle provvidenze del job act
2) Cresce il precariato proprio come risposta alle vicende già citate legate al job act
3) I dati maggiormente preoccupanti riguardano la presenza degli ultracinquantenni quale frutto dei mancati pensionamenti. Questo fenomeno porta tra l’altro ad un invecchiamento complessivo con riflessi su sicurezza, organizzazione, produzione del lavoro soprattutto nei campi dell’edilizia e di determinati settori della pubblica amministrazione e dei servizi. Ma appare negativa la prospettiva dei trentenni: la generazione che dovrebbe essere sulla soglia di assumere un ruolo primario nel mondo del lavoro rischia di essere quella maggiormente penalizzata e di rimanere pressoché assente nel necessario processo di ricambio. Si profila una pericolosa rottura generazionale.
4) Manca l’analisi della composizione per settori. Quando potremo disporne ci accorgeremo della fragilità del tessuto connettivo della nostra economia con un forte deficit di capacità di know-how e di produzione nei settori strategici dell’industria, come dimostra la condizione della siderurgia.
5) Si continua a lavorare, da parte delle forze politiche e del governo, sulla creazione di condizioni di aumento del consumo individuale anziché elaborare un piano industriale complessivo basato sul recupero di capacità pubblica di intervento in economia. Il tutto, inoltre, appare frenato dalle precarie condizioni della pubblica amministrazione, del sistema bancario (percorso da fenomeni davvero gravi), dal fattore corruttivo e dalla presenza della criminalità organizzata che egemonizza il tessuto economico in varie parti del Paese, ben oltre il Sud e ben oltre i settori tradizionali come l’agricoltura o l’edilizio. Si tralasciano da queste analisi , per ragioni di economia del discorso, due elementi molto importanti: quello riguardante l’UE e quello delle stato dell’arte (contraddittorio e complesso) delle delocalizzazioni. L’Italia soffre inoltre di un deficit infrastrutturale, emergono questioni sul terreno energetico.
6) Non esiste nessun calcolo al momento su quanto è presente di lavoro nero da parte dei migranti. Un fattore che incide spaventosamente sui livelli di sfruttamento e di sostituzione in termini di lavoro legale.