DIREZIONE: SOCIALISMO

18 maggio 2018

DIREZIONE: SOCIALISMO

Ad un anno di distanza ripubblichiamo il documento DIREZIONE: SOCIALISMO proposto da  Laboratorio Politico per la Sinistra, da Socialismo 2000 e da Socialisti in Movimento come contributo al dibattito per la ricostruzione di un nuovo soggetto politico italiano.

E’ venuto il tempo di mettere in campo una critica serrata e sistematica al modello di sviluppo economico neo-liberista. Ve ne sono le condizioni storiche e la necessità politica. 

E’ il neo-liberismo che ha generato la crisi profonda nella quale è immerso il mondo occidentale da quasi un decennio, ed è compito delle forze socialiste denunciarne la portata ed il carattere distruttivo. In questo senso occorre innanzitutto un’attenta opera di demistificazione e di ridefinizione della realtà, a partire dai grandi temi della globalizzazione e della disuguaglianza.

La dottrina neo-liberista, declinata nella sua forma estrema di una pressoché completa sottomissione dell’economia reale all’economia finanziaria, ha clamorosamente tradito tutte le promesse sulle quali aveva poggiato la sua legittimità politica.

Il disordine geo-politico prodotto da una globalizzazione in assenzadiogni forma di governance planetaria, non ha fatto altro che generare tensioni e conflitti regionali, flussi migratori giganteschi alimentati dalla disperazione e dalla povertà e minacce sempre più gravi all’eco-sistema.

I teorici della globalizzazione neo-liberista sostengono che questo processo trae la sua legittimità morale dal fatto che, comunque ha sollevato dalla povertà assoluta vaste aree del mondo in via di sviluppo. Non è così. Il miglioramento relativo della condizione di queste aree non è altro che il riflesso di una politica di pesante sfruttamento di intere popolazioni trasformate in forza-lavoro a bassissimo costo e privi di qualsiasi forma di diritti sociali i civili.

Gli stessi teorici avevano promesso alle classi medie del mondo occidentale sviluppato un avvenire di libertà individuale, di un benessere generato dalla competizione di mercato, di dinamismo sociale e di opportunità crescenti. Non è andata così. Strati sociali sempre più ampi hanno scoperto di essere in realtà su un piano inclinato lungo il quale stanno scivolando indietro la certezza del diritto al lavoro, la condizione reddituale, e la disponibilità di un adeguato livello di sicurezza sociale. Per queste ragioni generali le diseguaglianze stanno ormai raggiungendo livelli di insostenibilità sociale, politica ed economica.

La diseguaglianza è stata proposta, addirittura teorizzata come il motore stesso dello sviluppo economico e sociale; come l’espressione si una competizione sociale necessaria e dunque insofferente verso ogni vincolo normativo, ma soprattutto verso ogni forma di responsabilità sociale in cui non si confrontano più “valori” da condividere, ma “interessi” particolari da contendere.

La promozione della “società di mercato”, in cui tutto diventa merce anche la dignità umana, ha messo grande cura nell’opera di smantellamento delle identità collettive sostituendole con quella “modernità liquida” di cui ci ha parlato Z. Bauman,  nella quale il primato dell’economia reale viene soppiantato dall’economia di carta, mentre quello della produzione viene sostituito dal primato del consumo.

Il presupposto su cui la dottrina neo-liberista ha basato l’offerta della diseguaglianza e dell’insicurezza è stato lo scambio tra maggiore autonomia individuale e minore identità sociale; tra maggiori opportunità e minori protezioni. Questo scambio si è rivelato un inganno, di cui la crisi ormai quasi decennale delle economie del mondo occidentale fornisce la più ampia testimonianza.

Dalle promesse alla realtà. Il congegno di carta è saltato. Il dominio dell’economia finanziaria ha generato una crisi infinita dell’economia produttiva, trasformandosi poi in crisi sociale, aprendo falle terribili che hanno preso ad inghiottire il lavoro, il reddito ed infine i risparmi di quel ceto medio che doveva godere le beatitudini del liberismo. Insomma la diseguaglianza economica e la competizione sociale senza rete, anziché un ammiccamento accattivante alle aspettative individualistiche sono tornate ad essere percepite come una minaccia generale. Questo è il prodotto della globalizzazione neo-liberista e della disuguaglianza.

In questo contesto generale è indispensabile considerare i limiti profondi rivelati dalle forze della sinistra storica nell’analisi delle trasformazioni in atto ed in termini di risposta politica ai nodo posti dal cambiamento. La ricerca di una “terza via” tra liberismo e socialdemocrazia di cui Tony Blair e Gerard Schroeder in Europa e Bill Clinton negli Usa sono stati i principali protagonisti, si è rivelata illusoria.Il crollo del Muro di Berlino non ha metaforicamente seppellito soltanto il fallimento del modello sovietico come alternativa di civiltà, ma anche l'utopia di una società diversa e migliore di quella dominata dal capitalismo.

Accettandone sostanzialmente le categorie interpretative della realtà, le forze della sinistra impegnate nella ricerca della “terza via”,  hanno finito per essere accolte nello spazio culturale del pensiero neo-liberista e da questa posizione hanno accettato di fatto l’idea che il loro compito non era più quello di rappresentare gli strati popolari e le forze del mondo del lavoro, dando per scontato che questa rappresentanza si era trasferita sotto l’usbergo liberista.

In simili condizioni l’azione di queste forze è divenuta pura tecnica del potere di governo lasciando tuttavia che fossero le istanze liberiste a determinare il senso e la direzione di marcia. 

E’ stato cosi negli USA, dove B. Clinton decide di smantellare  il “Glass-SteagallAct” spalancando le porte alla speculazione finanziaria;  in Gran Bretagna, dove T. Blair promuove la massima precarizzazione del lavoro; ed è stato così in Germania, dove G. Schroeder promuove l’ “Agenda 2010” tutta centrata sui c.d. “mini-job”

La prospettiva di una “terza via” si è dunque  rivelata un’offerta politica priva di senso reale. Le bolle finanziarie speculative, proprie del modello liberista hanno prodotto crisi a getto continuo, prima la crisi dell’Argentina, poi quelle del2000 edel  2008 sono le più importanti, e sono in atto ormai da quasi un trentennio. Il disastro elettorale di quasi tutte le formazioni politiche della sinistra tradizionale a partire dal 2008, è l’esito inevitabile di scelte politiche sbagliatedi un ciclo storico che va finalmente esaurendosi, lasciando sul terreno – insoddisfatta -  una domanda di cambiamento profondo, che da una parte alimenta i movimenti populisti, ma che dall’altra prende la forma di un astensionismo sempre più ampio, anche a causa della mancanza di una nuova sinistra socialista in grado di rappresentare i meriti ed i bisogni che si sono creati con una nuova struttura economica e sociale prodotta dalla globalizzazione.

E’ a questo punto che si manifesta la necessità storica di una risposta socialista alla crisi in atto

La crisi in atto è crisi di modello, che può essere vinta soltanto rimettendo al centro il Lavoro; non solo come parametro su cui costruire una nuova politica economica di segno espansivo, ma anche come valore della democrazia moderna, come fattore imprescindibile di coesione sociale. Solo così sarà possibile riaprire un dialogo vero con le giovani generazioni confinate nel precariato sociale che cercano uno sbocco positivo per il loro futuro e che recentemente hanno formalizzato la loro domanda politica sostenendo figure socialiste come Bernie Sanders negli USA e Jeremy Corbin in Gran Bretagna.

Il socialismo è la riprogettazione dell’economia fondata sulprogresso economico e sociale compatibile  con unosviluppo sostenibileecon il superamento di un modello di crescita basato fondamentalmente sullo spreco delle risorse, sul consumismo insensato e sull’abuso della natura.

Il socialismo è europeismo vero che rende capaci le forze della sinistra europea dibattersi per riconquistarne la guida e di abbattere le politiche fallimentari della destra che ancora detta le scelte della U.E. e riprendere il cammino verso la realizzazione di un’Europa unita e federalista.

Il socialismo è giustizia sociale; è cioè lotta alle diseguaglianze, a partire da quelle che generano le forme più pesanti di sfruttamento del lavoro; per ciò stesso sconta il ripristino di politiche redistributive verso il basso, utilizzando efficacemente la leva fiscale, innalzando i salari e rafforzando i sistemi di protezione sociale. Le risorse per realizzare la giustizia sociale ci sono, sono immense ma sono imprigionate nei colossali patrimoni finanziari privati. Occorre un piano di liberazione.

Il socialismo è il primato dei valori dell’umanesimo e della solidarietà sociale; è rispetto delle culture religiose che promuovono la pace ed il dialogo. E’ l’impegno concreto a far vivere questi valori come strumenti della lotta politica quotidiana per rafforzare la democrazia come valorizzazione della partecipazione popolare alla formazione della volontà politica del Paese; per combattere la corruzione morale che inquina l’etica pubblica e per respingere come aberrazioni civili le culture dell’odio sociale, del razzismo e della xenofobia.

Il socialismo sa di non essere l’unico attore del pluralismo sociale, culturale e politico; e sa che la dialettica politica si basa sul rispetto degli avversari – che sono tali perché perseguono obiettivi alternativi – e sul riconoscimento delle alleanze necessarie con le quali condividere le prospettive programmatiche per l’azione di governo.

 Tuttavia il socialismo resta l’unica identità politica che può assicurare le forze della sinistra contro ogni forma di settarismo minoritario e che può candidarle autorevolmente alla guida del Paese.

Ebbene per tutte queste ragioni il socialismo deve trovare la forza per diventare soggetto politico pienamente riconoscibile come tale, al quale il mondo del lavoro, gli strati più deboli della società, associazionismo solidari sta, l’ambientalismo progressista possano riaffidare la loro rappresentanza politica e sociale.

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