DIECI MODESTI CONSIGLI di Alberto Benzoni

10 ottobre 2017

DIECI MODESTI CONSIGLI di Alberto Benzoni

Dieci modesti consigli a coloro che - chiusa, almeno si spera, la noiosissima telenovela Pisapia - si apprestano a formare la lista dell’opposizione di sinistra alle prossime elezioni politiche.
Primo: il nome. La scelta è tra un nome che rassicuri i vostri iscritti in merito alla vostra natura e un nome che coinvolga i vostri potenziali elettori in merito ai vostri propositi. Personalmente suggerirei la seconda che ho scritto. Perchè le “parole della sinistra” sono, diciamo così abbastanza logorate, dall’uso puramente retorico di cui sono state oggetto e, insieme, dal dominio che la destra, i suoi valori e le sue ricette, stanno esercitando sul nostro “senso comune”. E perché il nome ha a che fare con il vostro atto di nascita.
Secondo: atto di nascita. Qui i casi sono due. Potreste confermare, con il vostro silenzio, il fatto che la lista nasce come il riflesso della scissione di art.1; insomma come il riflesso di una bega interna al Pd di Renzi, con l’aggiunta di forti connotati personalistici. Questo dicono e diranno, del resto, quelli del Pd, Pisapia e la grande stampa di regime (pardon, di opinione). Un’ottima ragione perché non diate alcuno spazio a questa tesi; e perché affermiate quello che avrebbe dovuto essere chiaro sin dal principio: e cioè che vostro punto di riferimento non è la scissione e/o il futuro atteggiamento da tenere nei confronti del Pd ma il referendum del 4 dicembre e la necessità di rispondere alle attese di gran parte del popolo del no.
Terzo: gli obbiettivi. Capisco che il tema del Pd appassioni: sicuramente è così per art.1; probabilmente lo è anche per altri, magari per ragioni poco nobili ma sicuramente comprensibili. E però è un tema divisivo per gli addetti ai lavori; né tale per portarvi i consensi di quelli che non sono interessati alla faccenda. Parlatene allora, tra di voi e, soprattutto, agli elettori il meno possibile: vi basterà dire, a quelli che vi attaccheranno in nome del “voto utile”, che il vostro obbiettivo è quello di richiamare a voi un elettorato di sinistra, rifugiato nell’astensione o disperso in altre direzioni; e che il vostro voto servirà non solo a creare in Parlamento una forte componente di sinistra ma anche a favorire coloro che all’interno dello stesso Pd contestano la deriva verso destra. A coloro che, poi, vi accuseranno di rifugiarvi in un ruolo di pura testimonianza, potrete tranquillamente rispondere che intendete operare come sinistra di governo; il che è esattamente il ruolo che pretendono da voi, almeno potenzialmente, quelli che hanno votato no il 4 dicembre.
Quarto: la carta d’identità dello schieramento che si va formando. A partire dal significato della parola “sinistra di governo” Nel solito “senso comune” costruito nel corso di questi anni, si è di governo solo se ci si propone di andarvi, magari accroccandosi con il possibile/probabile vincente della contesa. Mentre se si sta fuori, magari per scelta, o si è estremisti o si è irrilevanti. Ma in realtà non è così. In realtà si può benissimo influenzare il corso delle cose, dico influenzarlo concretamente, anche stando all’opposizione: come dimostra ampiamente, in termini di conquiste del mondo del lavoro, l’esperienza delle socialdemocrazie nel secolo scorso e quella della sinistra italiana nel corso di tutta la prima repubblica. Così, se si può essere “di governo”rinunciando ad essere di sinistra, si può benissimo governare, e cioè cercare di influire concretamente sul corso delle cose, stando alla opposizione. Da più di vent’anni agli sconfitti della globalizzazione, dell’ordoliberismo e dell’austerità a senso unico è stato spiegato che si trattava di processi obbligati e senza alternative; una visione delle cose cui hanno indubbiamente contribuito quanti, dall’opposizione hanno sostenuto che nell’attuale assetto nazionale ed europeo non c’era alcuna possibilità di cambiare le cose. L’impegno della nuova sinistra radicale ( ma, proprio per questo, non estremista) sarà di dimostrare che questo non è vero dando battaglia con proposte alternative insieme razionali e ragionevoli, a livello interno e internazionale.
E qui veniamo al quinto punto. Quello attinente al programma. Nell’interpretazione consolidata si tratterebbe di ascoltare le persone, di prendere atto delle loro varie richieste e/o aspettative, così da tradurle in un insieme di impegni. E’ il procedimento illustrato, nel suo peggio, dal programma messo insieme da Prodi nel 2006: duecento e più pagine che comprendevano, tra l’altro, una serie di provvedimenti a sostegno degli artisti di strada. Una mistura oggi improponibile. E’ allora il caso di procedere in senso inverso. Prima l’enunciazione chiara delle “idee forza” alla base della formazione di una lista unica- pace, recupero del ruolo dello stato e del pubblico a difesa della comunità nazionale, controllo dei flussi accompagnato da un forte impegno per l’integrazione, rivalutazione concreta del ruolo della politica contro un giustizialismo cialtrone, lotta alle disuguaglianze sociali e territoriali, recupero dei valori e dei contenuti della democrazia, a livello centrale e locale. Poi ( o più esattamente insieme) il coinvolgimento dei cittadini nel compito di dare a queste enunciazioni carne e sangue.
E qui veniamo agli ultimi quattro punti. Relativi, in vario modo, alla gestione interna dell’operazione.
Primo di questa serie, quello delle modalità di formazione della lista. Qui si contrappongono, per lo più disastrosamente, la cucina politico-partitica e il mito della “nascita dal basso”. Possibile una mediazione ? Probabilmente sì. Necessario, allora, prendere atto che, nella attuale situazione, dove non esiste, tra l’altro, nessuno autorizzato ad alzare la bandiera e a dire “seguitemi”, per partire insieme occorrerà un accordo tra partiti e movimenti intorno ad un documento comune. Ma per non dover rimanere in questa cucina, sarebbe il caso che i contraenti, agendo di concerto, promuovessero le più ampie aggregazioni a livello territoriale, aprendo agli apolidi e a gruppi e/o personalità di ogni ordine e grado. Aggiungendo, già che ci siamo, che alle realtà locali va dato ampio spazio non solo nella conduzione della campagna elettorale ma anche nella formazione delle liste. Magari utilizzando, a questo livello, lo strumento delle primarie.
Al secondo punto, il rifiuto di ogni discriminazione, specie se basata sugli atteggiamenti tenuti da singoli e/o gruppi nel passato. Un meccanismo, per inciso, che, se applicato rigorosamente, non salverebbe praticamente nessuno. Necessario, comunque, il pentimento: e, per valutarne la natura, le considerazioni dei casuisti gesuiti del seicento. Questi distinguevano, nel caso specifico, l’”attritio cordis”- leggi la rinuncia,magari anche sincera, a proseguire lungo le vie del passato dettata però dal timore di pagarne le conseguenze- dalla vera “contritio”- leggi l’orrore per le azioni compiute unito alla volontà di non ripeterle mai più. Personalmente sarei di manica larga, prendendo per buone le dichiarazioni non solo di D’Alema e di altri esponenti Mdp ma anche di Di Pietro Non foss’altro perché essere rigorosi metterebbe a rischio tutta l’operazione. Salvo a verificarne l’autenticità in corso d’opera.
Da evitare in ogni modo, poi, è l’ottavo punto, la ricerca del leader. Anche perché la tragicomica vicenda Pisapia dimostra l’inanità di qualsiasi operazione di questo tipo. Dopo tutto, non si tratta di scegliere il futuro presidente del consiglio, né un leader da seguire perché ci garantisce le migliori fortune. Mentre non vedo in giro leader carismatici tali da bucare lo schermo o da trascinare le folle. Forse ne troveremo diversi lungo il corso dei prossimi mesi anche se in proporzioni limitate; l’essenziale, qui e oggi è di costruire un gruppo dirigente interessato al successo del nostro progetto più che a quello del suo gruppo di appartenenza.
Sappiamo, infine, e questo è il penultimo punto, di essere arrivati, e proprio in zona Cesarini ad abbracciare l’idea di lista unica, anche, se non soprattutto, per ragioni di pura sopravvivenza. Ma ciò non rende affatto la nostra situazione analoga a quella dell’Arcobaleno del 2008. Allora i partiti contraenti impostarono la partita in termini di convenienza elettorale, ma in una situazione in cui la frattura con il Pd era lungi dall’essersi consumata e in cui non era in gioco l’esistenza stessa di una sinistra di opposizione. Oggi, ed è inutile spiegare perchè, la sinistra di governo, a rottura consumata, ha l’assoluta necessità di distruggerci.
Ultima considerazione, a sostenere il nostro percorso. Un’analisi sommaria di quello che sta succedendo in quasi tutta l’Europa occidentale, dove alla crisi, politica ed elettorale della sinistra di governo, corrisponde la nascita di una nuova sinistra di opposizione: spesso più forte delle tradizionali formazioni socialdemocratiche; sempre intorno a percentuali a due cifre. Da noi, pur in presenza di un Pd sicuramente caratterizzato, esso sì, da una mutazione genetica siamo stati, sino ad oggi, deboli e divisi. Oggi, si vuole la nostra sparizione o comunque la condanna ad una sostanziale irrilevanza. Difendere, allora, la nostra esistenza, ad ogni costo e contro tutto e tutti, diventa allora, un’esigenza politica che fa premio su ogni altra considerazione. Non siamo, né saremo nell’immediato futuro, alla vigilia di Vittorio Veneto; ma senza difendere, oggi, la linea del Piave non ci potrà essere in futuro, nessuna Vittorio Veneto.

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