DALL’ESPERIENZA DI WEIMAR NESSUN ARGOMENTO A FAVORE DEL SI’ di Franceso Bochicchio
04 novembre 2016
Angelo Bolaffi, fine intellettuale di sinistra e grande studioso della cultura e della storia tedesca, soprattutto dell’ultiomo secolo, trae da Weimar la lezione che l’ingovernabilità porta alla dittatura di qui la necessità di voto a favore del sì. E’ ovvio che chi si espone a favore del sì non ha argomenti nel merito della riforma, con la conseguente necessità di ricorrere a suggestioni, estranee allo stesso merito, ma che un grande intellettuale travisi la storia in cui è più esperto genera tristezza. A Weimar, è vero, vi era un meccanismo proporzionale –e così,nonostante le dichiarazioni di intenti, sono i proprio difensori del sì a collegare la riforma costituzionale alla legge maggioritaria-, previsto espressamente in Costituzione a differenza della Costituzione italiana, che rimette il meccanismo elettorale alla legge ordinaria anche se quello proporzionale viene assunto a presupposto ma solo di fatto, e qui già finisce l’analogica con Weimar, senza necessità di andare avanti. Ma andiamo pure avanti nell’accostamento, del tutto infelice, adoperato da Bolaffi: questi dimentica incredibilmente che a Weimar vi era un sistema presidenziale, con il Presidente eletto dal popoli. E Von Hindeburg, eletto Presidente in quanto Ebert -mite socialdemocratico, troppo mite in quanto nulla fece quando i “Freikorps”, corpi scelti ex militari rivenienti dall’estremismo nazionalista di destra e incredibilmente utilizzati dalla socialdemocrazia di Schiedemann e Noske, assassinarono vilmente Rosa Luxembug e Karl Liebknecht, e fu assai debole nei confronti della violenza e dell’eversione di destra-- morì prematuramente, fu decisivo nel conferire canale istituzionale all’attacco degli ambienti militari ed aristocratici prussiani alla Repubblica di Weimar e non solo fu debole nei confronti del nazismo, ma anche consentì e tollerò una serie di forzature istituzionali con i Governi Bruning e von Papen determinanti per il passaggio alla dittatura. Il nazismo non fu mai maggioranza fino alla presa del potere, e le divisioni tra forze democratiche costituirono un fattore del tutto secondario rispetto alle pressioni dei ceti sociali dominanti che trovarono un canale istituzionale decisivo nella Presidenza della Repubblica. Weimar non fu distrutta dall’assenza di decisioni e di potere decisionale ma dall’eccesso di decisioni e di potere decisionale che non avevano ostacolo. Una maggioranza stabile delle forze democratiche sarebbe potuta essere importante ma l’esistenza di un clima ostile alla repubblica democratica trovava una sponda nel Presidente eletto dal popolo e così con la legittimazione popolare in grado di conferire ingresso alle spinte dei poteri dominanti: il Governo di von Papen con il consenso del Presidente arrivò alla scelta finale di sciogliere la Prussia, unico “Land” rimasto come focolaio di resistenza all’incipiente nazismo. La Repubblica di Weimar era attaccata all’esterno dalla destra ed all’interno da un esponente della destra manifestamente sleale nei confronti della Repubblica democratica: tale esponente aveva la legittimazione popolare. In definitiva fu un impianto troppo decisionista l’elemento negativo. Impianto decisionista che mancava di un vero equilibrio di poteri. Mancanza di equilibrio che d’altro canto si basava proprio sulla presenza di un sovrano in grado di assumere decisioni unilaterali –Carl Schmitt, che non a caso nel Giudizio innanzi alla Corte Costituzionale tra il “Reich” e il “Land” Prussia, difese il “Reich” contro la Prussia difesa da Hermann Heller, lamentava proprio l’assenza di un sovrano nella Costituzione di Weimar, ma invece fu il sovrano rappresentato dal Presidente della Repubblica eletto dal popolo che distrusse illecitamente le resistenze democratiche-. Un regime maggioritario fornisce più potere alla democrazia, ma quello che si ricava da Weimar è che è necessario l’equilibrio di poteri, con la mancanza di un sovrano: il meccanismo maggioritario deve essere razionale, a pena altrimenti di alterare la maggioranza popolare, e vi devono essere contrappesi. La riforma costituzionale italiana si unisce –ed i sostenitori sono costretti ad ammettere, contro le petizioni di principio, che tale unione è necessaria ed essenziale, come visto con Bolaffi- ad una legge elettorale con un maggioritario arbitrario –che si vuole modificare in senso ancora più arbitrario, in moda impedire ai 5Stelle di vincere e di dare con certezza la vittoria allo schieramento di centro pigliatutto, ciò è stato ammesso candidamente, anche se di candido vi è ben poco, da Violante, Napolitano ed ora Scalfari-, ma soprattutto non crea contrappesi alla maggioranza parlamentare –si ripete che l’attuale assetto costituzionale, pur non prevedendo al proprio interno il meccanismo elettorale per non creare le rigidità di Weimar, ha come presupposto di fatto un meccanismo proporzionale, con la conseguenza che l’introduzione del meccanismo maggioritario rende necessaria ed anzi indefettibile la modifica nel senso di prevedere contrappesi, ed occorre in particolare modificare il meccanismo di nomina dei Giudici della Corte Costituzionale, per sottrarre la nomina della loro maggioranza alla maggioranza parlamentare: ma non solo, detta riforma crea un Senato di nominati e non di eletti che ha competenze per la parte alta dell’assetto statale. In altri termini si creano tutti i presupposti per dare i poteri pieni alla maggioranza relativa e questa, investita per miracolo, arbitrario, della maggioranza assoluta, diventa priva di limiti. L’art. 67 della Costituzione, infine, nel momento in cui continua giustamente a vietare il mandato imperativo, proprio di un’utopica democrazia diretta, elimina però, con l’improvvida riforma in esame, il riferimento alla rappresentanza della nazione da parte dei parlamentari, conferendo così loro un potere pieno ed assoluto, proprio di un sovrano –identificato nella maggioranza relativa del partito di maggioranza relativa e così, surrettiziamente, nel “leader” di tale partito-, ed evidentemente cancellando la caratteristica della Costituzione italiana di disgiungere la sovranità dal sovrano, prevedendo la prima ma non il secondo ed attribuendo la stessa prima proprio al popolo, con i detentori del potere pubblico che la esercitano per conto del popolo e non in via autonoma –art. 1,2° comma, della Costituzione, svuotato di ogni contenuto anche se formalmente non modificato-. Si arriva così ad un potere assoluto originario. Né si può evidenziare, per difendere la modifica dell’art. 67, che il la rappresentanza non vi è più nel Senato, privato di potere legiferante se per quanto riguarda la parte alta dell’assetto statale, in quanto sarebbe bastato circoscriverla alla Camera. Da Weimar si può trarre un’altra lezione: la Costituzione prevedeva quale colore della bandiera l’insieme del giallo, rosso e nero, proprio della rivoluzione democratica, ma nel contempo ammetteva la possibilità delle navi di utilizzare l’insieme del bianco, rosso e nero, proprio del II “Reich”. E alla fine quest’ultimo colore fu utilizzato sistematicamente in modo tale da soppiantare il primo. In altri termini, mancò la difesa rigorosa dei valori democratici e costituzionali: l’accentramento di poteri è una forma di allentamento della difesa della lealtà costituzionale, nel momento in cui crea un sovrano dotato di poteri assoluti originari, staccato dal popolo non più sovrano, che lo elegge solo senza poterlo controllare; ed il controllo è impedito “in nuce” dall’essere il parlamentare non più rappresentante della nazione e del popolo, ma dotato di un potere autonomo. L’elezione che conferisce tale potere autonomo diventa semplicemente una forma di ricambio del sovrano, ma che è sempre un sovrano autonomo. E’ una lotta tra “elite” tutte staccate dal popolo: è un’oligarchia senza quegli strumenti di controllo dei detentori del potere pubblico propri di una vera democrazia quale quella divisata dalla Costituzione italiana. Chi identifica tra di loro oligarchia e democrazia come Scalfari non ha la minima idea di quel che dice. Tutti i sostenitori della teoria delle “elite politiche” come Mosca e Pareto erano profondamente antidemocratici, e Pareto fu tale fino alla morte. Erano tutti liberali, ed il liberalismo nacque come antidemocratico, con Einaudi e Croce all’inizio favorevoli al fascismo, e tale, vale a dire antidemocratico, sta tornando ad essere. Sono “elite” in lotta tra di loro, nell’ambito di un potere referenziale che si legittima in quanto tale e che nel concreto agisce quale puntello del grande capitale, come dimostrato dall’intervento di JP Morgan a favore di una modifica costituzionale nel senso di accentramento di poteri, nel 2013, auspicando una futura scelta come quella prontamente realizzata da Renzi, e subito dopo dal salvataggio di MPS guidato sempre da JP Morgan, che peraltro non a caso ha preteso la sostituzione di Viola, eccellente Amministratore Delegato, ai poteri economici non gradito. E tutti i poteri forti interni ed esterni hanno appoggiato il sì. Addirittura, l’America, a mezzo del proprio ambasciatore italiano, si è espressa solennemente in tal senso. I sostenitori del sì travisano la Storia per perseguire un qualcosa che proprio a Weimar creò il collasso, la mancanza di equilibrio istituzionale tra poteri, supportata dalla mancanza di lealtà costituzionale, quale quella qui ogni giorno perpetrata.
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