DAL VAFFA-DAY ALLE PRIMARIE DEMOCRAT LA GENTE CHIEDE ALLA POLITICA DI CAMBIARE di Gianni De Michelis da Il Riformista 23 ottobre 2007

20 gennaio 2008

DAL VAFFA-DAY ALLE PRIMARIE DEMOCRAT LA GENTE CHIEDE ALLA POLITICA DI CAMBIARE di Gianni De Michelis da Il Riformista 23 ottobre 2007

Le primarie del Partito democratico sono il tema obbligato per ogni riflessione politica in questi giorni. Vale la pena soffermarsi sul significato da attribuire alla straordinaria partecipazione di elettori, sui risultati non tanto rispetto alla scelta del segretario nazionale ma anche e soprattutto riguardo agli esiti relativi ai segretari regionali e alla composizione dell'assemblea nazionale del nuovo partito. Aggiungerò anche le mie considerazioni a quelle del coro dei numerosi commentatori, ma cercherò di utilizzare un punto di vista leggermente meno convenzionale di quello che mi pare sia stato adottato da tutti coloro che hanno affrontato l'argomento. Vorrei riflettere sia sul significato da attribuire alla scelta compiuta dagli oltre tre milioni di cittadini italiani che hanno affollato i gazebo del Partito democratico per contribuire all'incoronazione di Walter Veltroni, sia, e ancor più, sul significato complessivo da attribuire all'infittirsi dei dati contraddittori che gli eventi politici delle ultime settimane hanno evidenziato. Abbiamo assistito al susseguirsi dei trecentomila del Vaffa-day di Grillo, degli oltre cinque milioni che hanno partecipato al referendum sindacale sull'accordo con il governo per il welfare, ai cinquecentomila che hanno risposto all'appello di Fini per protestare contro Prodi e per finire degli oltre tre milioni che hanno rinnovato a Veltroni il rito dell'incoronazione popolare riservato circa due anni fa a Romano Prodi. Sullo sfondo di tutto ciò, i risultati concordanti e univoci dei sondaggi d'opinione tendenti a sottolineare il livello di delusione e di malcontento che si va diffondendo nella maggioranza della nostra comunità nazionale. Vi è una sorta di paradossale contraddizione tra le letture date da taluni che hanno visto in tali eventi il crescere di un'ondata antipolitica, che trova la sua principale ragion d'essere nella distanza crescente tra i cittadini normali e la cosiddetta casta, e l'evidente voglia di partecipazione politica che tali eventi, e soprattutto quello del 14 ottobre, hanno chiaramente segnalato. Una prima conclusione diretta? Il messaggio che viene dal Paese al ceto politico non è tanto quello di un'antipolitica da contrapporre in modo inconciliabile a un desiderio di politica, quanto quello di una convergente e, secondo me, più che mai politica richiesta di forte, urgente e inequivocabile cambiamento. Allora il voto delle primarie indica una precisa richiesta a Veltroni di rappresentare una svolta e un cambiamento rispetto a Prodi, il quale non ha saputo cogliere e dare risposta all'analogo messaggio lanciatogli nelle precedenti primarie. Vi è quindi un'evidente contraddizione tra le dichiarazioni rese a caldo da Veltroni, che si è espresso evidenziando la necessità di una rottura o di una discontinuità, e le sue contemporanee affermazioni di leale appoggio a Prodi e al suo governo: tale contraddizione non potrà durare a lungo e Veltroni sarà costretto a scegliere. Se, come crediamo, sarà infine obbligato a scegliere nella direzione della discontinuità, gli toccherà ulteriormente optare tra due approcci diversi per giungere al medesimo risultato. Un approccio sarà rappresentato dal modello di comportamento classico, e ben noto a noi italiani, dei segretari della vecchia Democrazia cristiana, quando entravano in contraddizione con un presidente del Consiglio, sempre democristiano, che aveva fatto il suo tempo; il secondo approccio dovrà inevitabilmente assomigliare a quello con il quale Nicolas Sarkozy è riuscito nel difficile esercizio di prendere in mano il suo partito, l'Ump, e contemporaneamente a togliere di scena Chirac e a sconfiggere i socialisti francesi. Solo quando capiremo quale di questi due approcci Veltroni privilegerà, saremo in grado di capire quale razza di partito è destinato a divenire il neonato Partito democratico e a quel punto, in ciascuna delle due ipotesi, una parte di coloro che sono andati a votare domenica non accetterà la scelta e se ne andrà. Allora e solo allora verrà decretata la fine della seconda Repubblica e del bipolarismo bastardo e un analogo processo di trasformazione investirà anche lo schieramento opposto, a partire da Forza Italia: senza, credo, rimpianti da parte di nessuno verrà chiusa la non felice parentesi di questo quindicennio e avremo la possibilità di scegliere tra due diverse ma possibili direzioni di marcia. L'una, ci porterà nella direzione di quella che in questi anni ho definito «la normalità europea» e l'esito del Partito democratico sarà inevitabilmente quello di trasformarsi in social-democratico; l'altra sarà rappresentata da un estremo tentativo di salvare la cosiddetta peculiarità italiana e, giocoforza, il prezzo da pagare sarà quello del ritorno all'antico in cui il Partito democratico inevitabilmente diventerà democratico-cristiano. Dopo la sua investitura, tocca a Veltroni scegliere la direzione verso la quale incamminarci.

Vai all'Archivio