DAL DECRETO LAVORO AI VITALIZI, TUTTE LE ANOMALIE DI INIZIO LEGISLATURA di Paolo Armaroli da Editoriali de Il Sole24ORE
13 luglio 2018
Il 2 luglio scorso il Consiglio dei ministri ha adottato un decreto legge contenente misure urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese. Siamo un popolo di dannunziani, per i quali il verbo è tutto. E poi la pubblicità è l’anima del commercio. Così, per renderlo più appetibile a un mondo produttivo tutt’altro che entusiasta, lo si è definito “Decreto dignità”.
Il provvedimento limita l’utilizzo dei contratti di lavoro a tempo determinato allo scopo di favorire i rapporti a tempo indeterminato. Salvaguarda i livelli di occupazione e contrasta la delocalizzazione delle aziende che hanno fruito di aiuti statali per sostenere le proprie attività economiche in Italia. Contrasta il fenomeno della ludopatia. Introduce norme in tema di semplificazione fiscale. Ma, si sa, anche la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni.
Il giorno dopo a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il ministro Luigi Di Maio, padre della riforma, e il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, nel corso di una conferenza stampa hanno illustrato la bozza del provvedimento. Ma questa bozza per una decina di giorni è stata sballottata di qua e di là nel perimetro del governo e dintorni alla ricerca della quadra. Un decreto fantasma che ha stentato a materializzarsi per problemi di copertura e di molto altro ancora. Un busillis. Il governo del cambiamento così eredita censurabili prassi vecchie come il cucco. In barba all’urgenza, perciò il presidente della Repubblica ha rimandato fino all’ultimo l’emanazione, dopo aver finalmente ricevuto un decreto calzato e vestito. Fino a ieri, una sorta di araba fenice. Che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa.
Al di là del merito del provvedimento, dove le ombre sovrastano le luci, è il modus operandi che lascia a desiderare. L’articolo 77 della Costituzione stabilisce che il governo è legittimato ad adottare decreti legge solo in casi straordinari di necessità e d’urgenza. E già qui non ci siamo. La verità è che il governo - e soprattutto Di Maio, che finora come le stelle di Cronin è stato a guardare - ha preferito la strada del decreto legge anziché del disegno di legge per mettere subito all’incasso un pezzetto del famoso contratto. Ma, per fare in fretta, la gatta fece i gattini ciechi. Come se non bastasse, si continua a disattendere la normativa prevista dalla legge sull’ordinamento della presidenza del Consiglio. Al terzo comma dell’articolo 15, la n. 100 del 1988 infatti dispone: «I decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo». Ma questo sulla “dignità” non è di immediata applicazione nella sua interezza. Ed è un omnibus. Affastella in un unico articolato materie eterogenee.
Ma le anomalie di questo inizio di legislatura non finiscono qui. Il governo persegue la politica della lesina, nemmeno fosse il redivivo Quintino Sella. Ma, come padre Zappata, predica bene e razzola maluccio. Basti dire che è il governo più elefantiaco dell’ultimo decennio. Al presidente del Consiglio vanno aggiunti due vice di peso, dieci ministri con dicastero, sei ministri senza portafoglio, ben 46 viceministri e sottosegretari. Per un totale di 64 componenti, che non campano d’aria. Va poi maturando l’idea di togliere le indennità aggiuntive ai parlamentari titolari di cariche. Un livellamento verso il basso che lede il principio di eguaglianza così come interpretato dalla Consulta: a condizioni uguali, trattamenti uguali; a condizioni diverse, trattamenti diversi.
Dulcis in fundo, fior di ministri continuano a interferire su questioni, come i vitalizi, di stretta competenza parlamentare. Come mai era accaduto in passato. Sorvolando per di più sui profili di costituzionalità che, a differenza della Camera, il Senato ha ben presenti. Il vitalizio è la conseguenza dell’indennità, stabilita per legge a norma di Costituzione. Perciò solo la legge, e non una delibera degli Uffici di presidenza delle Camere, potrà limitare un diritto acquisito. Ma nei limiti fissati dalla Corte costituzionale, che tra l’altro esclude la retroattività per una singola categoria. Anzi, qui mezza per ora: deputati sì, senatori no. Del resto, gli ex parlamentari sono dei terzi rispetto alle Camere. E quindi non dovrebbero essere soggetti alla giurisdizione domestica e alle disposizioni normative valide solo intra moenia. Potranno pertanto appellarsi a un giudice e ottenere giustizia. Con scorno di chi, cavalcando la tigre della più vieta demagogia, si fa beffe dello Stato di diritto.
Gran brutto affare quando il governo degli uomini si sostituisce al governo delle leggi.