CRESCE LA DOMANDA DI NEO PROTEZIONISMO di Walter Bidussa dal Secolo XIX del 3 aprile 2010
26 aprile 2010
Intorno al risultato elettorale si può discutere in termini di spostamento di equilibrio all’interno della coalizione di centro-destra; di sconfitta di una proposta di governo nel centro-sinistra; di premio al voto di protesta. Forse il profilo del voto sta in qui. Quello del dopo voto forse sta altrove. Insieme al dato dell’astensionismo la fisionomia del risultato elettorale esprime una condizione di disagio, con una richiesta forte di governo. Ma il primo punto è proprio questo: di quale governo si tratta? Chiederselo non è banale perché anche questa volta noi abbiamo avuto un confronto anche nelle cose non è mai entrato nel vivo delle questioni per assumere, per l’ennesima volta, la fisionomia di un referendum personale. Dunque chiediamoci: la richiesta di un governo delle regioni in un’agenda che sollecita l’autogoverno del territorio, che auspica il federalismo, ha gambe per camminare? Forse sì sul piano del disegno politico. Meno su quello dei bilanci. In breve l’incognita maggiore che grava su questa agenda è quella del debito pubblico e della crisi finanziaria. Il debito, infatti, concerne lo Stato italiano. La richiesta di regionalizzazione è una risposta o una fuga rispetto a questo problema? E’ trasferibile quel debito verso la periferia? Probabilmente no. Come lo si riduce? E’ un problema che va risolto, che va affrontato a livello centrale, ma che le amministrazioni regionali non possono fare a meno di assumere. In ogni caso non è ignorabile. “Roma ladrona” che molti gridano più che una diagnosi, è uno sfogo. Poi occorrono delle robuste terapie di risanamento (che non sono il federalismo, o almeno non sono rappresentate principalmente dal federalismo) e di queste nessuno parla. Questa questione è comprensibile anche considerando la composizione sociale del voto. Da più parti è stato detto che il voto alla Lega è anche un voto a forte presenza di operai e quadri che hanno una tessera sindacale confederale. E’ probabile. Anzi valutate certe aree geografiche è sicuro. Qual è la loro richiesta? Questi elettori non chiedono più libertà d’impresa, ma maggior politica d’intervento. Una politica che punta al risanamento, che ha una componente di timore della globalizzazione che non si sente né difesa né tutelata nel processo di deindustrializzazione e di delocalizzazione, che chiede un autogoverno locale, tutto questo si risolve in una precisa domanda: più protezione. Non riguarderà solo le politiche di accoglienza, ma coinvolgerà una politica di welfare protettivo più forte, meno universalistico, con un controllo più rigido. In altre parole più autogoverno non significherà meno Stato, comunque non significherà minore presenza pubblica. Il problema è dunque ciò che intendiamo con “pubblico” e chi lo rappresenterà. In concreto significa: Chi lo garantirà? Attraverso quali canali si finanzierà? Quali servizi fornirà? Chi sarà protetto? Gli effetti del risultato di domenica riguardano essenzialmente questioni di vita materiale piuttosto che partite di ingegneria istituzionale. La domanda politica è la richiesta di politiche protezioniste e gli elettori hanno premiato chi dichiara di garantirle. La Lega ha vinto anche per questo. Perché incarna un attore sociale fondamentale - la piccola-media proprietà - per il quale ha una richiesta essenziale: una politica neo-protezionista. Un partito che oggi ha le parole giuste anche per quel mondo del lavoro che guarda con angoscia allo scenario economico e che sente il morso della crisi e per le quali l’ipotesi neo-protezionista appare come una possibile risorsa. In questo senso le elezioni di domenica non hanno un carattere amministrativo, ma politico. Al centro sta il governo dell’economia e di come si esce dalla crisi economica. La discussione sulle riforme istituzionali è solo una variabile.
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