CRAXI E LA SINISTRA STORICA DI FRONTE ALLA CRISI DELLA DC . di Rino Formica
31 agosto 2004
Intervento al Convegno di Italianieuropei del 17 novembre 2003
su "Storia e Politica - Riformismo socialista e Italia repubblicana"
Il sequestro di Aldo Moro nel marzo del 1978 chiude il ciclo trentennale dell1 egemonia democratico-cristiana nel sistema politico italiano.
Moro il 28 febbraio del 1978 pronuncia il suo ultimo discorso all'assemblea dei deputati e dei senatori Dc: è una narrazione a tinte vive con spunti di orgoglio freddi ed “angosciosi”.
Egli su un punto è categorico: “qualcosa, da anni è guasto, è arrugginito nel normale meccanismo della vita politica italiana”. Alle elezioni del ‘76 “una nuova grande potenza si è avvicinata in modo sensibile alla forza della DC” e vi è “il rischio di una deviazione nella gestione del potere. cioè di quello che si dice passare la mano”.
Moro nel chiedere il via libera ad una intesa di programma con il Pci fissa però un limite invalicabile: “no al governo di emergenza, no ad una coalizione politica generale con il Pci”,
Nei cinquantacinque giorni del sequestro Moro i tre partiti-pilastri nella edificazione del sistema democratico repubblicano affrontano la crisi vera della prima repubblica: il declino dell'egemonia politica della Dc.
Una straordinaria manipolazione dell’informazione copre una rottura sistemica e la trasforma in una querelle tra fautori della fermezza e sostenitori della trattativa umanitaria.
in realtà la Dc non poteva affidarsi solo alla magia di Moro per evitare l’esaurimento di funzione di partito cristiano, giunto al potere non per un aumento della pratica cristiana e dello spirito religioso, ma per il crollo dette forze laiche e liberali tradizionali,
Il Partito Socialista nel Congresso dì Roma del 1976, con la Segreteria De Martino, aveva proposto una strategia dell‘alternativa che implicava “un diverso rapporto di forze tra Socialisti e Comunisti”.
Il disastro elettorale del Psi nel ‘76 portò al Midas e alla segreteria Craxi,
Il Partito Comunista, dopo il voto del 1976 si convinse che il Psi aveva esaurito il suo ruolo e che ormai si apriva una stagione a due: Dc e Pci, nell‘immediato e nella prospettiva.
Perché parto dai drammatici giorni dell’aprile-”maggìo 1978 per affrontare il tema del cosiddetto duello a sinistra tra Craxi e Berlinguer?
Perché in quelle poche settimane si consumò il tragico gioco-verità tra Psi e Pci: la diversa valutazione della qualità e della profondità della crisi della Dc accecò i comunisti e illuminò di false speranze i socialisti.
Il dissidio tra socialisti e comunisti non è riconducibile alla contrapposizione: riformismo e rivoluzionarisrno, gradualismo ed antagonismo, sinistra di governo e sinistra anti-sisterna, socialismo dal volto umano e autoritarismo di sinistra, democrazia aperta e centralismo democratico, occidente ed oriente, Welfare europeo e terzomondismo, sono categorie e schemi che dicono poco, perché Pci e Psi, nella loro storia furono attraversati dallo stesso bene e dallo stesso male, sia pure in misura ed in epoche diverse.
Sino al 1945 la divisione tra socialisti e comunisti è un grande problema nazionale che interessa una vasta area popolare maggioritaria nella parte attiva dinamica e decisiva per la rinascita dell’Italia.
Con il ‘46 - ’48, cambia il quadro di riferimento del sistema politico. Le forze di popolo che si preparano a guidare il Paese sono tre: cattolici, socialisti e comunisti,
La loro convergenza finisce con l’avvento della Repubblica e con la divisione dell’Europa lungo la linea Stettino-Trieste.’
Ia Democrazia Cristiana assunse il ruolo di garante della pacificazione nazionale e dell’ordine occidentale e nell’affrontare la questione sociale si attestò su una linea neo corporativa e statalista.
Fu così che nell’agire politico entrò di prepotenza il popolarismo cattolico che egernonizzò tutto il moderatismo italiano.
Da quel momento il campo della sinistra sociale (i sindacati) e della sinistra politica fu arato da tre grandi forze popolari; Dc, Psi, Pci.
La storia di ognuno di questi partiti entrò nella storia degli altri.
Le interferenze non furono di tipo riformistico, ma ebbero una forte valenza politica perché erano finalizzate a governare la transizione democratica e ad egemonizzare il sistema,
I tre partiti di massa non sono tre varianti di una comune strategia riformista.
La Dc non è un partito di difesa religioso, ma è aiutato dalla Chiesa ad isolare grandi quote di elettorato popolare dall’influenza della sinistra socialista e comunista,
Dopo la fase frontista ed unitaria, socialisti e comunisti non si sono divisi sulla. costruzione di una comune prospettiva storica (l’alternativa di sinistra), perché questa era inconciliabile con l’appartenenza a due campi internazionali diversi. Essi si sono combattuti, lacerati e sgambettati nella definizione dei rapporti di governo o di opposizione con la grande forza popolare dei cattolici, destinata ad essere centro stabile e di equilibrio del sistema politico regolato dal bipolarismo mondiale.
Sul dopo ‘68 e sul decennio degli anni ‘70 si è scritto molto. Gli argomenti più trattati sono : il movimento studentesco, l’autunno caldo, il terrorismo, la rigidità del compromesso costituzionale e la difficile maturazione della democrazia compiuta.
Ma è sempre rimasta nell’ombra una questione decisiva per una corretta valutazione degli effetti prodotti dal mutamento sistemico che affiorano negli anni ‘70: i due pilastri della pace politica, la Dc ed il Pci non tengono più. Per la Dc comincia la fase di esaurimento della funzione di centro egemone nel rapporto governo-opposizione; per il Pci si apre una medita stagione di perdita del ruolo: sì frantuma il potere di un controllo assoluto di tutta la sinistra sociale e politica del paese.
Perché il Partito Socialista, che nei primi trent’anni di vita repubblicana era rimasto compresso tra le due potenze politiche, Dc e Pci, vede aprirsi, dopo la morte di Moro, uno spazio per un ruolo di gran lunga superiore alle sue forze e alla sua reale rappresentanza?
Perché la Dc ed il Pci perdono peso strategico e vedono ridotti i margini di manovra tattica, senza che un’altra forza di pari o adeguata entità li abbia insidiati?
Lo Stato italiano, come figura politica unitaria, ~ risorto con la Costituzione Repubblicana nella rappresentanza politica dei partiti.
I partiti nell'ItaIia post-risorgimentale sono i primi portatori della volontà di convivenza nazionale, quindi il fondamento dell'unità del paese!
Il problema dell’equilibrio e della rappresentanza dei partiti è in Italia molto diverso da quello di altri paesi europei, perché i partiti non sono soltanto i portatori della volontà politica dei loro elettori, ma sono anche, nella loro differenza costitutiva, il fondamento della legittimità nazionale.
Sta qui la vera e unica anomalia del caso Italia: quella di una nazione che trae la sua identità direttamente dalle forze che esprimono le differenti opzioni politiche.
Queste forze hanno dunque, rispetto al loro carico di differenza politica, una nuova aggiunta che è quella di dover configurare contestualmente la volontà del paese di esistere come comunità nazionale unificata attorno alle istituzioni.
Le istituzioni hanno il loro ultimo fondamento nel consenso di legittimità di tutte le forze politiche.
Se la dimensione statuale in Italia cerca di giocare un ruolo di contrapposizione alle forze politiche, il risultato è semplicemente la crisi e l’impotenza di ambedue le figure: quella delle istituzioni e quella dei partiti.
A metà degli anni ‘80 si apri in casa socialista una discussione, troppo presto soffocata, su un tema apparentemente bizantino: la crisi dell'egemonia democristiana riguarda solo la Dc o si salda, invece, ad una crisi delle istituzioni? Abbiamo in Italia una crisi politica mascherata da crisi istituzionale o una crisi istituzionale mascherata da crisi politica?
Il quesito non era malposto né era mediocre.
Le due crisi si sovrapponevano. La crisi politica si manifestava con un lento declino, mentre la crisi istituzionale mostrava una forte capacità di dissimulazione.
La crisi istituzionale, infatti, produce due esiti divaricanti:
l’immobilismo della politica ed il dinamismo del culturale e del sociale.
La Dc negli anni ‘80 è e rimane il partito della chiesa cattolica in Italia, senza riuscire a secolarizzarsi sul piano della legittimazione politica.
E’ significativo che il tentativo di De Mita di trasformare la Dc in “un partito repubblicano di massa”, si sia saldato con una sconfitta elettorale e con una netta ripresa dei gruppi del partito, interni ed esterni, tesi a garantire la figura etico-sociale della Chiesa.
La Dc si trova in uno stato di contraddizione reale e profonda con le fonti di legittimazione operanti nel paese.
Il suo tradizionale ruolo politico-istituzionale la obbliga ad avere una struttura oligarchica ed immobile del suo gruppo dirigente e ciò confligge con la necessità di fornire un personale diverso ed omogeneo alle nuove condizioni reali.
La Dc ha la maggioranza relativa dal ‘46, una classe politica che è in servizio politico a partire dal decennio 46/56, mentre il Paese è passato dal cattolicesimo contadino e urbano alla secolarizzazione, dal fascismo e dallo stalinismo alla società post-ideologica.
Tutti i termini sociali e culturali sono mutati anche nella Chiesa, ultimo referente della Dc: solo la Dc non si è fisicamente e culturalmente trasformata. E’ identificata dagli stessi soggetti fisici e dal medesimo linguaggio politico. Il fatto che un partito in tali contraddizioni sia il
partito chiave in un sistema politico in cui i partiti ed i corpi autonomi costituiscono i soggetti costituzionali, senza che vi siano regole per la soluzione dei loro conflitti e quindi non vi sia alternativa ai compromessi e alle emergenze obbligate, indicano la realtà della crisi istituzionale,
Impotenza sostanziale dello Stato nel regolare i conflitti e forza formale delle piazze, affollate di bandiere bianche e rosse, sono i segni che annunciano una paralisi dì lungo periodo per le istituzioni.
La. diagnosi socialista e quella comunista riconoscono la crisi costituzionale ma divergono sulle soluzioni, sui tempi del “passaggio di mano” e sugli effetti interni ed istituzionali che avrebbe prodotto l'innovazione della democrazia compiuta1
Craxi dopo l’elezione a Segretario del Partito, il 17 ottobre del 1976 così enunciava la sua strategia politica:
“La domanda legittima è: un ‘alternativa per quale socialismo?
La nostra risposta data in sintesi: un socialismo non burocratico e anti-autoritario.
Non un socialismo della miseria. Un socialismo europeo nella libertà, Da qui discende la necessità di un PSI forte e autonomo, di un polo socialista della sinistra che rappresenti la garanzia che si segua quella che noi consideriamo la sola strada maestra del socialismo in Europa occidentale, tanto diversa dalle degenerazioni dispotiche che abbiamo visto in altri Paesi. Se il Pci si muove in questa direzione, ciò sarà sottolineato da noi in modo positivo. Se sta fermo o si muove in modo ambiguo lo incalzeremo con la nostra critica.
Quanto alla DC in essa si concentrano i fondamentali interessi del mondo conservatore.
E’ difficile ipotizzare una strategia per il socialismo che veda associata organicamente ed in posizione magari preminente la DC, nel suo complesso.
Ho ribadito più volte il concetto di un polo socialista autonomo rappresentato in primo luogo dal PSI e dal suo proposito di costituire un elemento di propulsione e di coordinamento di tutte le forze della sinistra non comuniste, in piena autonomia rispetto alla DC e al PCI.
Questa non è la dottrina del terzaforzisrno.
Il terzaforzismo si pone in un'ottica di divisione delle forze di sinistra e noi in un‘ottica di unità nella salvaguardia dei principi e delle caratteristiche di ciascuna".
Berlinguer nel ‘73, dopo gli eventi cileni, abbozza una teoria del compromesso storico, come progetto di soluzione della crisi dernocristiana e così si esprime:
".... . .La via democratica al socialismo è una trasformazione progressiva della intera struttura economica e sociale, dei valori e delle idee guida della nazione, del sistema dì potere e del blocco di forze sociali in cui esso si esprime.
E’ il problema delle alleanze, il problema decisivo di ogni rivoluzione e di ogni politica rivoluzionaria. Ecco perché noi parliamo non di una “alternativa di sinistra" ma di una "alternativa democratica", cioè della prospettiva politica di una collaborazione e dì un intesa delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica, oltre che con formazioni di altro orientamento democratico,
La tesi del compromesso storico sino al 75~76 si muove, quindi. lungo lo schema togliattiano dell’accordo necessario con la DC, ma è dopo le elezioni del ‘76 e con il sequestro Moro del ‘78 che matura l’idea che ormai la partita politica sì gioca intorno alla definizione del rapporto tra DC e PCI,
Gli appunti di Tatò inviati a Berlinguer durante le terribili giornate del sequestro Moro ci dicono che dietro la strategia della fermezza vi era ben altro. Il PCI cercava la sottomissione della DC in cambio del suo salvataggio.
Ecco alcuni pezzi illuminanti degli scritti di Tatò nell’aprile del ‘78:
“Il vero problema politico è questo.’ per risanare e rinnovare la società e lo Stato l’obiettivo da realizzare sta nello spostare politicamente la DC, non nel processarla e condannarla come cosa da buttare; sta nello stringerla e nell‘incalzarla politicamente il più vicino possibile perché si rinnovi.
Ma il rinnovamento non può essere solo operazione chirurgica; né il chiedere alla DC di pulirsi dalle sue croste e di estirpare le sue incrostazioni è sufficiente a spostarla politicamente.
Per quel che si può dire e vedere oggi come oggi, da qui al giugno 1981-data delle prossime elezioni politiche generali- possiamo non porre i l'attuale governo sotto l‘ipoteca di una crisi per costituire un governo di emergenza con la partecipazione del PCI (a patto però che anche la DC, a sua volta, rinunci fino al giungo 1981 all’idea di fare un governo con il solo PSI, scartando noi: questo rientrerebbe in quell’impegno comune a non compiere atri di reciproca ostilità, che contraddirebbero la convinzione di fondo, sulla quale oggi concordano la Segreteria della DC e la Segreteria del PCI secondo cui la difesa e il rinnovamento dello Stato e delle istituzioni non possono essere garantiti in Italia se non da un rapporto di positiva cooperazione tra i due massimi partiti»
E per finire Tatò annuncia una linea brutale per riprendere il controllo sociale:
“Se diamo vita a una forte iniziativa politica, con una prospettiva rinnovatrice rassicurante, possiamo legittimamente esigere i ‘autodisciplina della Federazione unitaria CGIL- CISL- UIL, e possiamo anche, per converso1 consentire misure da parte dello Stato che impongano, volta a volta la disciplina ai famigerati sindacati autonomi, atti puntuali, ad hoc, non leggi antisciopero, non leggi antisndacali" (sic!)
Ben altro spessore culturale ed una più affascinante visione erano riscontrabili nella proposta politica di Rodano quando nel I 977 scrisse su ."Questione democristiana e compromesso storico".
"Ci eravamo chiesti che cosa possa ancora costituire la Democrazia cristiana per lo sviluppo del nostro paese. Ci sembra di essere ormai giunti a dare una risposta positiva:
In breve, di fronte agli immani problemi sollevati dal tramonto del capitalismo e dalla necessità di sostituire al più presto, e in modo organico, l’esaurita egemonia borghese, occorre enucleare finalmente e
rendere operante in tutto il suo valore anche la