COSTITUENTE SOCIALISTA – Intervento di Roberto Monticelli al convegno di Milano del 7 giugno 2007

24 giugno 2007

COSTITUENTE SOCIALISTA – Intervento di Roberto Monticelli al convegno di Milano del 7 giugno 2007

L'orientamento generale che muove l'iniziativa di un Sindacato a forte connotazione riformista come la UIL è quello di aver iniziato un percorso, fatto anche di scelte coraggiose, per far sì che le nuove generazioni possano ritrovarsi negli indirizzi di sviluppo e nelle innovazioni necessarie per la crescita del Paese.

E' chiaro, che in un sistema di mercato sempre più globale e globalizzante, nessuno può pensare di risolvere i problemi del Paese a partire da quelli importanti e vitali del lavoro, in maniera autoreferenziale, senza tenere conto di parametri e limiti economici imposti dal sistema incentrato sulla mondializzazione delle conoscenze e dei mercati.

Di fronte a questo sistema, il nostro approccio vuole essere di natura pragmatica, meno ideologica, senza per questo rinunciare ai nostri storici riferimenti culturali e respingendo l'idea di un sistema di relazioni economiche che possa svilupparsi senza il controllo della politica come espressione di volontà collettive.

Ragioni per le quali rifiutiamo quell'ideologia ultraliberista che individuiamo come paravento di interessi parziali, corporativi, imprenditoriali che approfittano della incertezza o mancanza di regole per non dire della disonestà e complicità della burocrazia istituzionale.

In questo quadro, affrontiamo le questioni del lavoro in discussione consapevoli che una parte importante della società fatica ad affermarsi scontrandosi con una serie di ostacoli costituiti da rendite di posizione, privilegi insensati e ingiustificati in una società che dovrebbero fondare la selezione sul merito e non sullo status.

In questo fenomeno vi è anche la politica . C'è un sistema dei partiti chiuso, autoreferenziale che stenta a riconoscere l'esistenza di un problema di rappresentanza sociale. Mi riferisco a uomini e donne con meno di quarant'anni che hanno un rapporto con la loro occupazione, molto diverso dai loro genitori.

Sono lavoratori sul mercato, che presumibilmente hanno già cambiato più di una volta lavoro. Spesso hanno un contratto a tempo determinato. Fra questi, si nascondono tante storie diverse. Molte come è detto nella recente ricerca presentata dalla Provincia di Milano, non presentano aspetti socialmente preoccupanti e non richiedono particolari strumenti di sostegno e di aiuto. Non rappresentano cioè un problema di cui farsi collettivamente carico. E' il caso di coloro che hanno assunto la abitudine alla responsabilità individuale, lo spirito di iniziativa e la richiesta di rispetto individuale che la flessibilità porta con sé. Queste persone hanno acquisito una consuetudine esistenziale anche con chi è nato in altri paesi, completamente sconosciuta fino a 10 - 15 anni fa.

L'uso abituale di un'altra lingua e la facilità negli spostamenti hanno cambiato il modo di guardare all'estero. E' questa una generazione post-ideologica, cioè più libera di giudicare i fenomeni sociali, perché non deve prima assicurarsi (la voglio dire così) di non essere in contrasto con il proprio partito di riferimento. Queste caratteristiche sono tipiche anche se non esclusive di una generazione più di altre. Sono connotate da una forte spinta evolutiva.

E' altrettanto certo, però, che in circa 350.000 avviamenti al lavoro negli scorsi 3 anni nella provincia di Milano , si nasconde un gruppo più o meno folto, di lavoratori per i quali la instabilità del rapporto di lavoro è un problema perché o si è già trasformata o rischia di trasformarsi in insicurezza e precarietà. La questione non è affatto banale e rappresenta una realtà di lavoratori eccessivamente mobili, costretti a cambiare lavoro per anni e anni, con intervalli anche lunghi di disoccupazione, inattività, per non parlare di lavoro nero, fenomeno rilevante del sistema produttivo del nostro Paese che paradossalmente rappresenta a seconda degli studi rilevazione (Istat ecc.) dal 15 al 30% del prodotto interno lordo del Paese.

Il nostro impegno, da sempre, per una società che non abbandona i più deboli, che coniuga sviluppo e solidarietà, che distribuisce equamente ricchezza, che premia i meritevoli senza emarginare chi non ce la fa, non può che essere riaffermato per trovare soluzioni adeguate.

Il compimento di un sistema di welfare innovativo tale da rispondere all'insieme della problematiche del disagio giovanile, dell'istruzione, della formazione, dell'inserimento e della stabilizzazione del rapporto di lavoro e dell'emersione del lavoro nero, attraverso correzioni e adeguamenti della legislazione: è, quindi, l'obbiettivo che dobbiamo raggiungere.

Tutto ciò deve però tenere presente la situazione anagrafica del Paese .
Un Paese fortemente invecchiato, con una spesa sociale pesantemente sbilanciata tra i costi degli interventi legati alla cosiddetta “politica passiva”, (es. pensioni cassa integrazione, indennità, mobilità, ecc) e la spesa legata a interventi di “politica attiva” quali (reintegro, formazione, politiche di inserimento al lavoro ecc.)

A questa problematica si può rispondere con nuove logiche di ridislocazione degli interventi a sostegno, passando da un welfare incentrato sullo Stato, a uno fondato sulla società e sulle organizzazioni che la rappresentano e le sue Istituzioni.
Quindi con il coinvolgimento delle Regioni, degli Enti locali e delle Parti Sociali con un ruolo strategico e priorità di intervento adeguati a favore di:

- politiche della casa;
- politiche dell'inclusione contro le povertà;
- politiche sanitarie da finanziarsi con un federalismo fiscale e solidale;
- regioni responsabilizzate e messe in grado di operare in un quadro nazionale di certezze e con un nuovo accordo con lo Stato;
- nuova politica per l'immigrazione individuando con le Parti Sociali e il territorio la capacità di accoglienza degli immigrati che rispettino doveri e diritti;
- politiche per la famiglia rafforzando e integrando i servizi pubblici necessari per favorire la conciliazione fra vita famigliare e lavoro.

Queste ultime possono risolvere la problematica ricorrente della difficoltà delle donne di inserirsi nel mercato del lavoro, di lavorare con certezza di continuità e di essere contemporaneamente madri, consentendo loro di essere parte del motore di sviluppo del Paese.

E' evidente che un siffatto ripensamento del sistema di welfare tradizionale che consenta un ragionevole riequilibrio del sistema tra politiche “attive e passive” necessita di una forte propensione di tutti soggetti interessati a realizzare un modello di “governance multilivello” che, in una logica sistemica, ottimizzi le competenze e finalizzi gli interventi. Modello omni-comprensivo del livello europeo, nazionale, regionale, locale.

Questo modello deve essere sostenuto da politiche mirate allo sviluppo produttivo ed economico del Paese. Senza sviluppo non può esserci crescita occupazionale. Anche se i fattori interni dell'economia da soli non bastano a sostenere lo sviluppo, infatti, il sistema economico deve essere supportato da una corretta interazione tra le dinamiche occupazionali e gli assetti sociali.

Interazione quindi vista come riequilibrio tra sistema complessivo di welfare sociale e dinamiche occupazionali.

La strategia politica innovativa deve poter far convergere politiche ordinarie e politiche aggiuntive di integrazione che facciano massa critica per una nuova programmazione di rilancio della competitività e della crescita.

Ciò significa assumere il massimo impegno su una serie di obiettivi:

- l'ampliamento della partecipazione al mercato del lavoro e renderla sostenibile nel tempo. Vale a dire migliorare il rapporto tra flessibilità e sicurezza del lavoro, contrastando l'uso improprio della flessibilità. Vuol dire anche mettere in campo politiche e interventi per elevare l'occupazione e la remunerazione del lavoro delle donne, oggi inferiore a quello maschile del 25% nei lavori atipici.
Non di meno dei giovani e dei lavoratori over 55. Questo deve essere l'impegno, ma bisogna far funzionare i servizi per l'impiego, prevedendo un sistema di aiuto alla stabilità lavorativa.

- Migliorare la qualità del lavoro, partendo dall'emergenza sicurezza. Il sistema ispettivo e “repressivo” va attrezzato e nel contempo vanno rilanciate le politiche di prevenzione, introducendo elementi di innovazione nell'organizzazione del lavoro e nella contrattazione. In questo campo la Responsabilità sociale d'impresa non va vista in chiave riduttiva delle sue potenzialità effettive.

- Occorre proseguire a rafforzare le politiche per l'emersione del lavoro irregolare con un complessivo disegno di lotta all'illegalità, di rilancio della cultura delle regole e della corresponsabilità.

- Così come le politiche formative devono essere improntate ad obiettivi strategici di formazione continua rilanciandola come un vero sistema di apprendimento per tutto il periodo della vita lavorativa oltre a incentivare processi di necessaria formazione mirata all'inserimento lavorativo.

- Favorire la mobilità orizzontale e verticale dei lavoratori, nel caso di riorganizzazione dei sistemi produttivi, o per libera scelta, attraverso il completamento dei dispositivi di certificazione e riconoscimento delle competenze previsti dalla legge 30.

Per tali processi occorrono risorse certe che dovranno servire ad agevolare la loro realizzazione.

In quest'ambito altro aspetto importante è la riorganizzazione del sistema degli ammortizzatori sociali che va adeguato ad uno schema più conforme a quanto già esistente a livello europeo, che vincoli il sostegno economico dello stato di disoccupazione ad una effettiva ricerca attiva di lavoro, usufruendo di progetti, programmi e servizi dei sistemi regionali.

Ultimo problema, ma non meno importante tra le questioni fondamentali per una nuova politica del lavoro è quello del valore del lavoro della sua remunerazione, del potere d'acquisto effettivo che non possono essere disgiunti dai risultati di una politica di crescita e di sviluppo.

Non è mistero che i salari italiani sono ampiamente al di sotto della media europea degli stati membri più industrializzati.

Nel nostro Paese c'è qualcosa che non va nelle dinamiche della crescita economica ed è appunto il problema del valore del lavoro. Quando la rendita finanziaria prende il sopravvento sulle altre forme di accumulazione significa che c'è un problema; quando gli imprenditori delle aree forti del Paese sono costretti ad ammettere che l'offerta salariale è troppo bassa per attrarre mano d'opera necessaria (in particolare dalle regioni meridionali) vuol dire che il problema è quello del valore monetario del lavoro.
Le recenti ricerche di Mediobanca ecc. testimoniano la vera e propria esplosione dei profitti, mentre le statistiche rivelano che la quota di reddito disponibile che va ai salari netti è scesa di circa il 10%, vuol dire che il capitale controlla troppo lavoro.

E' questo un problema che non può essere sottaciuto, oggi più che mai serve il rilancio di una politica dei redditi, con il metodo della concertazione ed un modello contrattuale ad essa coerente.

Serve un nuovo patto politico che crei le condizioni per governare la crescita, l'innovazione, la ricerca e sviluppo, che metta al centro della propria azione la riduzione del costo del lavoro, ma anche la sua giusta remunerazione, in un contesto: di corretta flessibilità delle prestazioni, di incentivi alla professionalità, alla responsabilità e all'impegno e per questi nuovi sistemi contrattuali basati sul principio della piena esigibilità.

Su questo tema del lavoro si potrebbero dire tante altre cose e aprire altre riflessioni, ma visto che siamo in una sede di compagni che provengono da una stessa tradizione di appartenenza alla cultura laica, liberale e socialista e che ben conoscono la storia dell'azione riformatrice compiuta dai socialisti su questo tema importante dell'evoluzione dei sistemi di welfare e del lavoro nel nostro Paese, l'ultima cosa che mi resta da dire è quella di tentare insieme di recuperare l'unità socialista per essere ancora una volta protagonisti nel decidere le sorti del nostro Paese.

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