CONTRO IL PARTITO DEMOCRATICO!? di Luciano Pellicani, da MondOperaio di Gennaio-Febbraio 2008
20 febbraio 2008
“Verso quali spiagge anzitutto i Democratici di sinistra siano destinati, prima o poi, ad approdare, costituisce un interrogativo la cui risposta è affidata al futuro. Quel che appare comunque ragionevole prevedere è che l’unico porto che possano trovare aperto è quello idealmente apprestato da quel socialismo riformista e liberale che in Italia ha avuto ragione ma non ha fatto la storia. Altrimenti: quale Sinistra?”.Queste le parole con le quali Massimo Salvadori, nel 1999, concludeva la sua ricostruzione della vicenda della Sinistra nella storia italiana. Otto anni dopo, di fronte alla decisione presa da Piero Fassino di sciogliere il partito di cui era il segretario per dare vita al Partito democratico, la conclusione non può che essere quella cui lo stesso Salvadori è giunto nell’articolo pubblicato il 7 novembre sulle pagine del “Riformista”: la fine della storia della Sinistra italiana. Una conclusione a dir poco sconcertante. Dopo la bancarotta planetaria del comunismo, quale altra via si apriva davanti al “Partito di Gramsci e di Togliatti”, se non quella tracciata dalla socialdemocrazia? E, invece, i Ds hanno rotto ogni legame – storico, politico e culturale – con la Sinistra europea. E lo hanno fatto dichiarando apertis verbis che il socialismo è ormai un fossile storico di cui sbarazzarsi al più presto e nel modo più completo! In aggiunta, hanno deciso di fondersi con un soggetto politico – la Margherita – del tutto estraneo alla storia della Sinistra italiana. Hanno deciso, in altre parole, di compiere, sull’altare di un progetto politico dai contorni quanto mai indeterminati, il volontario sacrificio della propria identità. Una decisione, la loro, che non poteva non suscitare la replica, estremamente critica, di Emanale Macaluso, che per ben 30 anni si è prodigato per indurre i suoi compagni di partito a ricongiungersi alla “famiglia socialdemocratica”, dalla quale, sotto gli effetti abbacinanti della Rivoluzione bolscevica, si erano separati. Nel suo ultimo libro, Al capolinea, egli si chiede quale identità politico-culturale potrà avere il nascituro Partito democratico. La risposta è estremamente negativa. E per varie ragioni. Fra le quali due sono decisive. La prima, che il Partito democratico nasce, sui problemi connessi ai rapporti fra lo Stato e il Vaticano, pesantemente condizionato dalla sua componente cattolica. Sarà questa a stabilire il tasso di autonomia che il nuovo partito avrà rispetto ai desiderata delle gerarchie ecclesiastiche. Né si può dire – come ha fatto Antonio Polito – che oggi la difesa della laicità è un reperto di un’epoca storica ormai alle nostre spalle. Nulla di più contrario alla realtà. Da anni, in Italia come in tutto il mondo occidentale, è in atto un conflitto culturale sui grandi temi della vita e della morte (eutanasia, testamento biologico, ecc.). Da una parte, sono schierati coloro che difendono il principio (laico) dell’autonomia della morale; dall’altra, coloro che parlano in nome della Rivelazione e che auspicano niente di meno – le parole sono del cardinale Camillo Ruini – “il superamento storico della fase della scolarizzazione e del laicismo”! Evidentemente, il tema della autonomia dello Stato a petto della Chiesa resta – checché ne pensino i così detti “atei devoti” – al centro del dibattito politico. E molti sono gli indizi che inducono a pensare che, a fortiori, lo sarà nei prossimi anni. Tanto più che, secondo non pochi studiosi, è alle viste, anche in Europa, la “rivincita di Dio”; e si tratta di una rivincita che presenterà le sembianze dell’integralismo se non proprio quelle del fondamentalismo. L’abbandono della “trincea laica” non è la ragione principale per cui Macaluso dice no al Pd. Egli dice no al Pd – anche e soprattutto – perché esso recide ogni legame con la tradizione socialista. E lo fa dichiarando che il socialismo non ha più alcuna ragion d’essere. Una affermazione contro la quale Macaluso ha buon gioco nel sottolineare una verità di evidenza solare: che in tutta l’Europa occidentale dire sinistra significa dire socialismo. Non solo. Si dà il caso che numerosi sono i Paesi dell’Unione Europea in cui i partiti dell’internazionale socialista sono al governo. E lo sono restando fedeli al loro codice genetico: la correzione dell’economia capitalistica in senso egualitario. Essi, pur accettando l’economia di mercato, dicono no alla “società di mercato”. E’ sufficiente dare uno sguardo al capitalismo americano – tutto dominato dalla logica del laissez faire –, nel quale ben 39 milioni di cittadini sono privi di assistenza medica, per toccare con mano che la cultura politica socialista continua a svolgere una fondamentale “funzione di civilizzazione”. Lo ha riconosciuto persino un liberale come George Soros, che ha indicato nell’ideologia e nella prassi dei “fondamentalisti del mercato” il maggior pericolo per il futuro della democrazia. Per contro, i discorsi dei Ds oggi brillano per la totale assenza di una analisi quale che sia del capitalismo italiano nella globalizzazione e come esso possa essere governato e corretto. Manca, insomma, la cosa essenziale per un partito che si richiama ai valori della democrazia sostanziale: un progetto riformatore. Al suo posto, c’è un torrente di retorica con il quale si cerca maldestramente di coprire il vuoto – ideale oltre che programmatico – del Pd. Ancora una volta, i post-comunisti hanno perso intenzionalmente il “treno socialdemocratico”. E tutto lascia intendere che non ci sarà una nuova opportunità. Lo strappo delle proprie radici che essi, decidendo di fondersi con i cattolici della Margherita, hanno compiuto può essere senz’altro definito “storico”: chiude, definitivamente, una storia – piena di errori ma anche di grandi battaglie e di forti passioni etico-politiche – e ne apre un’altra all’insegna della totale liquidazione di una tradizione – quella socialista – che in Europa continua ad essere viva e vitale, a dispetto dei tanti necrologi che, dopo il crollo del Muro di Berlino, sono stati frettolosamente stilati. Una tradizione di cui l’Italia ha un estremo bisogno se vuole evitare di diventare una permanete anomalia: essere l’unico Paese dell’Europa occidentale senza un partito che si richiama ai valori del socialismo liberale.
Vai all'Archivio