Contro il declino: la sfida che la sinistra non vuole ancora affrontare di Francesco Robiglio
17 aprile 2005
Gli interventi per portare il Paese fuori dallo stato di debolezza economica e di disorientamento competitivo in cui versa dovrebbero essere il primo tema di una presenza e di una proposta politica da parte di una sinistra riformista seriamente impegnata a governare. Storicamente, la sinistra in Europa è riuscita ad aggregare consensi quando ha saputo coniugare preservazione e stimolo dello sviluppo economico – cioè la creazione di nuova ricchezza – con l’equità sociale, intesa come allargamento delle opportunità e tutela dei soggetti meno attrezzati. Eppure, proprio su questo fronte, sono apparse chiare negli ultimi mesi le incertezze e, in alcuni casi, le contraddizioni della proposta al Paese da parte della coalizione di centro-sinistra. Le ragioni e le opportunità per una proposta politica chiara non sono mancate: la riforma fiscale, la riforma dell’assetto di Banca d’Italia, la tutela della concorrenza nel sistema finanziario, le manovre di rilancio dell’economia e la tutela dei consumatori rispetto ai monopoli privatistici; ce n’è quanto basta e altri temi si potrebbero aggiungere. Il centro-destra, proprio su questi temi, ha mostrato il proprio lato più conservatore e protettivo degli interessi consolidati. In tema di assetto finanziario abbiamo assistito alla conferma del ruolo quasi-feudale del governatore e di Banca d’Italia, caso ormai unico nei Paesi sviluppati e in netto contrasto con le indicazioni europee. A seguire, sul tema degli assetti proprietari, sempre Banca d’Italia si è arrogata il ruolo di decisore piuttosto che di garante di regole di trasparenza a favore dei risparmiatori e dei progetti industriali più intelligenti e lungimiranti, avocando a sé il ruolo tanto di arbitro quanto di giocatore che definisce di volta in volta regole e, possibilmente, risultati del gioco competitivo. I risultati di questo assetto sono evidenti: un sistema finanziario costoso, poco efficiente e poco competitivo rispetto ai concorrenti stranieri, i cui prezzi sono pagati dal sistema Paese nel suo complesso. Eppure, su tutto ciò la sinistra lancia messaggi incerti o, addirittura, non ne lancia, lasciando prevalere un poco responsabile silenzio, nei fatti collusivo con le forze più conservatrici del Paese. Analogo scenario in tema di privatizzazioni: per esigenze di cassa di breve periodo i governi – di centro-sinistra – hanno privatizzato importanti settori dell’economia; non sono tuttavia intervenuti per liberalizzare i mercati restituiti al mercato. Il tutto si è risolto in una privatizzazione di posizioni di rendita protetta, scambiando flussi di cassa futuri per introiti attuali sostitutivi di un’azione – certamente più incisiva – di razionalizzazione della spesa pubblica e taglio degli sperperi, in gran parte clientelari e corporativi. A farne le spese ancora una volta il Paese: barriere all’ingresso da parte di operatori più efficienti e innovativi e prezzi più alti per i consumatori. Tutela della concorrenza: un settore industriale che per decenni ha vissuto sotto l’ala protettiva di generose politiche valutarie e fiscali ha determinato anche un’arretratezza strutturale rispetto alle altre economie nel settore dei servizi, che oggi hanno un’incidenza troppo bassa sul PIL e che presentano importanti gap di produttività rispetto ai Paesi concorrenti. Pesa un assetto legislativo protettivo che frena l’innovazione e l’efficienza in ampi settori cruciali per il Paese come la distribuzione, i trasporti, le telecomunicazioni, le libere professioni. Ancora una volta, il Paese ne esce penalizzato in termini di creazione di ricchezza, di competitività e di generazione di posti di lavoro. Mercato del lavoro: siamo il Paese industriale con i tassi tra i più bassi sia di occupati sulla popolazione complessiva (scontando l’assenza di politiche a sostegno dell’occupazione femminile), sia di produttività del lavoro (scontando la strutturalmente bassa efficienza delle aziende di minore dimensione rispetto alle grandi). Implicazioni: insufficiente numero di generatori di reddito per famiglia e compressione degli stipendi. Questa rete di lacci e protezioni non permette al Paese di reggere il confronto con le altre economie. In questa fase storica i compiti storici della sinistra – sviluppo, equità di opportunità e sostegno ai deboli - si devono sposare, anzi richiedono, importanti interventi di liberazione da questi vincoli e di rottura delle reti di protezione degli interessi consolidati. Eppure, proprio su questi temi, da parte del centro-sinistra, troppi silenzi, troppe ambiguità, troppe ambivalenze. Scontiamo, il Paese sconta, le basi su cui si sta formando l’ossatura della proposta del centro-sinistra: un’alleanza politica dai contorni programmatici ancora da definire, tra la cultura popolare cattolica e cultura ex-comunista rispetto alla quale la tradizione socialista riformista europea è minoritaria e, per giunta, a volte anche silente. Manca all’attuale coalizione di centro-sinistra quel coraggio innovatore che solo la tradizione politica socialista europea ha saputo mantenere e nel tempo aggiornare alle contingenze storiche, mantenendo forti i legami con i propri compiti originari. Occorre che i socialisti, sull’onda delle altre esperienze europee, riprendano capacità politica e iniziativa propria nel dettare i temi e le soluzioni nell’agenda politica del Paese: avere il coraggio di essere stimolo e punto di riferimento nel centro-sinistra, perno programmatico di un’alleanza che ambisce al governo e al rinnovamento del Paese; inflessibili nella tutela delle condizioni di sviluppo dell’economia e dei progetti degli individui come nello smantellamento delle posizioni di privilegio e di rendita consolidate. Abbiamo quindi la responsabilità di dare corpo ad una sinistra liberale, innovatrice e coraggiosa. E’ una ragione di esistenza la cui disattesa ci confinerebbe, come già si è delineato in parte nella tornata elettorale regionale, a forza marginale, utile solo a portare voti ad un progetto dai contorni ideologici e programmatici poco definiti e definibili e in cui facciamo fatica a riconoscerci.
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