CONGRESSO PSI VENEZIA - INTERVENTO INTEGRALE DI ROBERTO BISCARDINI

10 marzo 2014

CONGRESSO PSI VENEZIA - INTERVENTO INTEGRALE DI ROBERTO BISCARDINI

Ridiamo voce alla cultura socialista
3° Congresso nazionale del PSI
Venezia, 30 novembre – 1 dicembre 1013
Intervento integrale di Roberto Biscardini

Mi fa molto piacere intervenire dopo Tiziana Parenti, e alla sua domanda “come mai siamo così piccoli?” rispondo: abbiamo collettivamente delle grandi responsabilità. In questi anni ci siamo posti il problema di sopravvivere anziché vivere. È vero il PSI è diventato capro espiatorio di tutti i mali della Prima Repubblica, ma noi, pur coscienti del fatto che la Seconda Repubblica nasceva intorno a due schieramenti che non ammettevano la libertà degli altri e men che meno quella dei socialisti (anzi era strutturalmente incompatibile con la cultura della giustizia e dell’uguaglianza), ci siamo adeguati alla logica del piccolo partito e abbiamo accettato di essere capro espiatorio. Con ciò abbiamo rinunciato a fare e proporre grandi cose. Oggi è arrivato il momento di dire basta, basta con la tendenza ad essere sempre e solo minoritari. È arrivato il momento di reagire, basta con il partitino che naviga tra lo 0,5 e l’1%. Meglio partire da zero ponendoci l’obiettivo di cambiare radicalmente le cose e ricostruire nella sinistra una nuova prospettiva della cultura socialista, per ridare voce a questa cultura, con l’aspirazione di ottenere presto consensi elettorali ben più ampi. La crisi economica, la crisi sociale, quella istituzionale e quella morale del paese che oggi ben conosciamo, con le responsabilità che la Seconda Repubblica ha avuto nell’aggravare il declino della situazione italiana, offrono, dopo vent’anni e forse per la prima volta, a noi socialisti il terreno più concreto per rivolgerci al Paese con proposte forti. Quando il Paese ha la pancia piena non ha alcun bisogno dei socialisti, si accontenta del liberismo, del mercato e non ha bisogno di una politica diversa. Oggi, storicizzando, si può ritornare alle origini del socialismo italiano, quando i socialisti erano credibili perché sapevano intervenire per modificare condizioni economiche e sociali insostenibili. Su questo terreno oggi possiamo dire la nostra ed essere capiti. Se sapremo intervenire radicalmente e con coraggio per cambiare il Paese in profondità. Non si tratta più quindi di vivacchiare da partitino dentro un sistema politico che non ci accetta più di tanto e ci considera per certi versi marginali e inutili. Si tratta di fare valere le nostre ragioni al livello giusto, guardando di più alla società, ai cittadini, a tutti coloro che hanno bisogno, per far capire loro che non soltanto la cultura socialista e i socialisti possono essere nuovamente importanti e necessari, ma lo saranno nella misura in cui sapranno proporre cambiamenti radicali da realizzare attraverso riforme di tipo socialista e socialdemocratico. Meno partito e più movimento per una nuova rivoluzione socialdemocratica. Questo mi sembra il punto. È arrivato il momento di renderci conto che anche l’attuale PSI e i socialisti possono vivere se si danno grandi obiettivi. Devono vivere di grandi sfide o non vivono. Ma questo implica uscire da quella condizione mortificante, oggi non più sopportabile del “primum vivere”, che tacitamente abbiamo accettato. Ora basta. Definiamo un programma, individuiamo una proposta semplice, troviamo una nostra parola identificatrice e lavoriamo per uscire da questa condizione di inferiorità. Ce lo chiede la crisi economica e sociale che esprime inconsapevolmente una domanda enorme di socialismo, che non trova risposta nell’attuale politica, nei partiti e nelle istituzioni. Ieri il nostro Segretario ci ha parlato di molte cose. Mille cose da fare, mille progetti di legge da presentare in Parlamento. Una sorta di “shopping list” del socialismo italiano fatta di tante ricette con tanti ingredienti, alcune anche discutibili come l’accenno ad un welfare sanitario non più universale. Un elenco di iniziative che ci dovrebbe impegnare per anni e anni, a lungo termine in una politica di piccolo cabotaggio, quando invece c’è l’urgenza di fare poche cose e subito. Il segretario ha avanzato proposte molteplici sul versante italiano, sul versante europeo, su quello dei diritti, compreso la proposta, ormai non più originale, di obbligare i partiti a regole ferree di democrazia interna, legalità e trasparenza nel rispetto dell’articolo 49 della Costituzione, questione che riguarda, peraltro pesantemente, il nostro partito e questo congresso. Ma mi sono posto il problema: qual è l’idea forza di questa “shopping list” che il segretario ha sottoposto all’esame del congresso e con la quale vuole parlare agli italiani? Qual è l’idea che passa nell’opinione pubblica come l’idea forza dei socialisti per cambiare il Paese? Qual è l’idea che può diventare riconoscibile come identità dei socialisti del futuro? Non c’è sintesi e l’idea forza non c’è. Da questo lungo elenco non viene fuori un’idea forte e semplice che possa identificare i socialisti nello schieramento politico italiano. E non c’è alcuna idea riconoscibile. Dobbiamo continuare così? No, una soluzione alternativa a questo modo di pensare e di agire c’è. Occorre risvegliare la memoria e andare alle ragioni di fondo per le quali nacquero i socialisti 120 anni fa. Allora i socialisti si posero innanzitutto il problema di essere utili ai cittadini italiani attraverso risposte concrete su due questioni fondamentali. Oggi siamo obbligati dai fatti a fare la stessa cosa e riproporre con forza le ragioni delle lotte per cui nacquero allora: la questione dello Stato, come garanzia di giustizia ed uguaglianza per tutti, e la questione sociale. Costruire uno Stato come garante di uguaglianza e libertà per tutti. Costruire uno Stato forte ed efficiente, uno Stato democratico era problema di allora ed è il problema prioritario di oggi. Oggi la percezione dei cittadini rispetto allo Stato, e nelle sue diverse forme e articolazioni, è che fa acqua da tutte le parti, anzi fa essenzialmente schifo. Non funziona a Roma come non funziona negli enti locali, non funziona nel settore della giustizia, della previdenza, poco nel settore dell’istruzione e dei servizi. E in questa condizione trovano alimento i movimenti populisti e dell’antipolitica. È uno Stato ormai percepito dai cittadini e soprattutto dai ceti più deboli, ma anche dai ceti medi, come un ostacolo alla propria crescita e come un nemico. È percepito come uno Stato ingiusto. Ingiusto soprattutto con i deboli, debole con i forti. Fermo, cementificato, corporativo e corrotto. Questa deve essere, secondo me, la questione centrale di una nuova iniziativa socialista, sulla quale possiamo concentrare le nostre energie per una grande battaglia che punti diritto alla riforma radicale del sistema in nome dell’uguaglianza. Senza uno Stato efficiente, liberato dalle vecchie incrostazioni burocratiche, causa principale della corruzione che ci accompagna da decenni, nessuna riforma vera potrà funzionare e troverà attuazione. Il socialismo democratico è nato e fa perno su uno Stato giusto, su uno Stato autorevole e forte, in grado di fare e di non subire la politica economica degli altri. Uno Stato che sa subordinare il mercato al bisogno di investimenti pubblici, non lascia il mercato al mercato, entra nelle vicende dell’economia, interviene per la crescita dell’economia e dell’occupazione, sa affrontare i gravi problemi dei più giovani e combattere la decrescita. Uno Stato forte nella lotta contro ogni forma di ingiustizia economica e sociale, che sa intervenire nella politica del lavoro e dell’occupazione, che sa attuare le riforme che annuncia e approva. Uno Stato che risponde al cittadino, che sa combattere l’evasione fiscale al pari della criminalità, che affronta l’annosa questione della giustizia in Italia. Uno Stato che è garanzia di nuovi diritti civili e libertà, che non si lascia sottomettere e piegare da vincoli esterni e interessi di parte. Uno Stato che funziona, tutela il territorio, lo difende dalla conurbazione e dalla cementificazione, lo protegge dal degrado idrogeologico e ambientale, garantisce sanità, scuola e formazione professionale come diritti irrinunciabili. Insomma, di fronte a una situazione non più rispondente alla domanda sociale che noi vogliamo rappresentare, bisogna avere il coraggio di fare oggi ciò che non abbiamo fatto in tutti questi ultimi anni. E dobbiamo farlo con un’intensità nuova, con coraggio, con un cambio di passo e con una vivacità che finora ci è mancata. Solo così i socialisti possono essere identificati su una battaglia precisa: quelli che vogliono cambiare uno Stato che non funziona più. Seconda questione: il partito. C’è chi ci ha criticato per essere stati troppo critici nei confronti del partito e del suo segretario. Ma partecipare a un congresso vuol dire parlare con franchezza della linea politica che vogliamo perseguire e dirci con lealtà ciò che va e ciò che non va. Quindi, se sulla politica non basta chiudere il congresso con la doppia ambiguità, proponendo due linee tra loro incompatibili, quella del socialismo europeo da una parte e quella dell’appoggio senza riserve al governo delle “intese strette”, sul partito non è un delitto dire che il partito è debole ed insufficiente. Non è un delitto dire che siamo in difficoltà. Si riducono gli iscritti, si riducono le sezioni e si riducono gli eletti. Non è un delitto registrare che ci sono in Italia 40 province con meno di 40 iscritti, o aventi diritto al voto. Non è un delitto denunciare una condizione di rilassatezza e di disattenzione della segreteria su molte cose, alcune anche assolutamente semplici, come il tesseramento che a novembre 2013 non è ancora possibile effettuare per l’anno in corso. Non è un delitto denunciare che non ci sta bene un partito piccolo e per giunta dal sapore padronale, per altro di un’impresa e di un negozio ormai troppo piccoli per rappresentare un grande marchio. Un’impresa e un negozio che producono pressoché nulla. Non è un delitto preoccuparsi del partito e rivendicare una condotta corretta dei congressi e una condotta corretta della nostra organizzazione. Non è un delitto dire che molti congressi sono stati falsificati e in alcune realtà non si sono neppure tenuti, a partire dalla provincia di Roma. Ecco perché poniamo al partito sei questioni e sei cose da fare, per cambiare radicalmente la nostra condotta e la nostra politica. - Aprire il partito all’esterno ed essere promotori di un movimento nuovo, rivoluzionario e riformista per l’attuazione di grandi riforme socialdemocratiche nello spirito della rigenerazione della sinistra e del paese. - Prendere le opportune distanze dal governo Letta e chiedere ai nostri parlamentari di valutare caso per caso le sue iniziative e se necessario formulare e avanzare le nostre proposte anche in forte contrapposizione. Evitare di sostenere questo governo nella speranza di ottenere un posto da ministro, da viceministro o da sottosegretario, un posto peraltro a breve termine in un governo non destinato a durare a lungo. Questa non può essere la politica del PSI. A meno di adagiarsi su una politica mendicante. - Il PSI dev’essere una forza autonoma all’interno della sinistra, ancorata ai valori della socialdemocrazia europea e può essere di stimolo rispetto agli altri partiti solo con proposte di radicale cambiamento del paese. - Preparare da subito l’appuntamento con le elezioni europee, accompagnando un’iniziativa per la riforma della legge elettorale europea con la presentazione di una lista socialista che non è la lista del PSI, non è nemmeno una lista di socialisti, ma è una lista socialista, di proposte socialiste per fare dell’Italia un Paese in cui sia ancora forte la cultura socialista. - Come ha detto il segretario, questa volta giustamente, preparaci alla presentazione di una lista socialista autonoma nel caso di elezioni anticipate con il “Porcellum”, per riparare il danno drammatico che è stato prodotto nello scorso febbraio con la rinuncia alla presentazione di una lista del PSI. Ma in questo caso dovremmo scegliere i candidati con il metodo delle primarie per consentire ai territori di dire la loro e di scegliere i propri rappresentanti. - Dobbiamo impegnarci a garantire una gestione collegiale del partito, ma non basta l’unanimità o l’unanimismo. Una gestione collegiale significa capacità critica di guardare alle nostre difficoltà e definire le prospettive del nostro futuro. Solo così rigeneriamo il partito, solo così diamo a noi stessi ed anche al futuro segretario un contributo per costruire un progetto di cambiamento della società in cui i socialisti siano ancora protagonisti. Diversamente ci teniamo lo status quo, ma lo status quo è l’inarrestabile declino del partito. Non solo non vogliamo che questo accada, ma crediamo che sia possibile riprendere il corso di una grande iniziativa politica, una nuova iniziativa socialista, parte di un progetto di rigenerazione della cultura socialista del nostro paese. Ma per vivere in condizioni almeno normali occorrerebbe un segretario e un gruppo dirigente che credano in tre cose: credano nel partito, credano nel socialismo come base di riferimento della propria azione politica e credano in se stessi, non per se stessi, ma nella cultura socialista.

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