CONFRONTO SULL'UNITA' SOCIALISTA 2 - Biagio Marzo ripercorre gli ultimi trent'anni del Garofano, da l'Avanti! del 13 settembre 2005

21 settembre 2005

CONFRONTO SULL'UNITA' SOCIALISTA 2 - Biagio Marzo ripercorre gli ultimi trent'anni del Garofano, da l'Avanti! del 13 settembre 2005

Potrebbe essere la volta buona che il film noir del socialismo italiano finisca con un lieto fine: l’unità dei socialisti nella piena autonomia politica. Se succedesse un fatto simile, i socialisti non dovrebbero ringraziare alcuno, se non la loro tenacia a non abbandonare l’idea a mani estranee il cui interesse era di manipolarla per altri scopi politici.
Va da sé che un ringraziamento particolare deve essere rivolto a Piero Ostellino il cui editoriale sul Corriere della Sera - “Due Craxi un partito” - ci ripaga dell’onta subita in questi anni inconcludenti di Repubblica provvisoria in cui il nuovismo e il populismo hanno fatto il bello e il cattivo tempo. “Un socialista non può che stare a sinistra; a destra è un’anomalia concettuale e politica”, scrive Ostellino. Per inciso: molto facile a scriversi, più difficile da superare è la dicotomia di cui è afflitto il socialismo italiano dopo le tragiche vicende di Tangentopoli. Di seguito: “Se Bobo non chiederà ai post-comunisti - per usare una parola oggi di moda - una dimostrazione di ‘discontinuità’ rispetto al loro passato e, soprattutto, all’interpretazione che essi continuano a darne, se non chiederà loro di denunciare le contraddizioni fra il ruolo che il Pci ebbe nella prassi democratica - di cui si alimentò la ‘doppiezza’ non solo di Togliatti, ma anche di Berlinguer e che, di fatto, impedì il superamento della storica scissione - la sua non sarà un’adesione, ma una pura e semplice annessione da parte della sinistra post-comunista”. Infine, la sollecitazione di “andare avanti, e in fretta, prima delle elezioni del 2006, col progetto di una sinistra liberal-socialista, blairiana, che raggruppi lo Sdi, i socialisti di De Michelis, i radicali, Bobo e i suoi, che affianchi l’ancora timida ala riformista dei Ds”. A questi domande poste dell’editoriale di Ostellino (liberale da sempre e mai socialista per cui non c’è il sospetto di consanguineità) è opportuno dare come socialisti delle risposte attraverso un dibattito che coinvolga gli ex Psi di tutte le razze politiche. Nella speranza che la discussione prenda l’abbrivio per il verso giusto, dando un serio contributo alla unificazione. Insomma, gli ex Psi sapranno vincere quella specie di maledizione del faraone che incombe su di loro per cui il processo di disgregazione è irreversibile e qualunque sforzo sulla via dell’unità è donchisciottesco?

La lezione di Craxi Per i socialisti deve valere la metafora del calabrone (una metafora di Galbraith molto usata in economia per dimostrare la fallibilità della scienza, secondo la quale le proporzioni fra ali e corpo e peso del calabrone sono tali da non consentirgli di volare: ma i calabroni vincendo le leggi fisiche volano tranquillamente), perché nonostante il destino avverso, le divisioni, i rancori, i personalismi e gli opportunismi, il calabrone dell’unità socialista prenderà il volo nel cielo della politica italiana. Intanto, una premessa è d’obbligo per analizzare la realtà venuta furori dopo il crollo della prima Repubblica. Naturalmente, la seconda Repubblica non è mai nata, visto che la lunga transizione è oramai, paradossalmente, una condizione scomoda di “stabilità-instabilità”. “Quasi che da una democrazia bloccata fossimo passati a una democrazia fluida, senza contorni, senza regole. Senza una bussola. Quasi che, caduta la prima Repubblica, fossimo entrati in una Repubblica provvisoria”. La cruda verità è che siamo entrati in uno “Stato precario” dove ha dominato l’improvvisazione. Sta di fatto che con le idee metafisiche, il politicismo e l’ingegneria organizzativistica non si va da alcuna parte, se il cambiamento non è accompagnato dalla politica e da un sano riformismo. D’altronde, la lezione di Craxi fu incentrata sul “primum vivere” sinonimo di primato della politica, in forza di ciò si può discutere su tutto e diventa, ovviamente, tutto più semplice. Purtroppo in questi anni è mancata la politica e il deficit di riformismo si è fatto sentire notevolmente nella gestione della cosa pubblica nazionale. Scomparsi i partiti di massa costruiti sui pensieri forti del Novecento, c’è stato una sorta di impazzimento generale, rincorrendo astratte e confuse idee e fondando partiti personali e aziendali. Per complicarsi la vita, le forze politiche hanno sposato un sistema elettorale bipolare di cartapesta e, per di più, accoppiato con un maggioritario bastardo. Sennonché, i partiti si sono moltiplicati come i pani e i pesci evangelici, accentuando liti ed egoismi come prima e più di prima. Oltretutto, si sta concludendo una legislatura che doveva cambiare tutto dalla “A alla Z”, viceversa, tutto è instabile e provvisorio. La stessa maggioranza del governo Berlusconi, sul piede di partenza, ha dato l’immagine di essere una coalizione precaria e divisa per le tante liti interne e per i continui cambiamenti apportati dentro l’Esecutivo. Nella compagine governativa c’è stato un via vai di ministri dimissionati e dimissionari che non si contano. Insomma, i sondaggi, e non solo, danno per spacciata la maggioranza di governo, anzi minoranza elettorale. E non solo fatica a restare unita, ma fa di tutto per evidenziare le proprie contraddizioni e le laceranti divisioni dei partiti che la compongono per cui non è nemmeno chiaro come si presenterà alle prossime elezioni politiche. Eppure, al grido morte alla prima Repubblica si voleva sconfiggere proprio questo quadro esiziale dominato dalla instabilità e della ingovernabilità. Fatto sta che il vecchio è morto e il nuovo non è nato. Comunque sia, si paga a caro prezzo la mancanza di classe dirigente a misura dei problemi del Paese. Un Paese senza una cultura riformista è rimasto al palo, anzi, è rimasto bloccato nelle macerie della prima Repubblica. Sotto la spinta del “ nuovo che avanza”, si è fatta terra bruciata di tutto, per cui sono venuti meno i punti cardinali della democrazia, della libertà e dello Stato di diritto. Non poteva non essere altrimenti, visto che il processo che ha portato alla distruzione della prima Repubblica è stato illiberale. Di grazia, la via giudiziaria doveva portare al grande lavacro purificatore della vita italiana, per converso ha prodotto un personalismo esasperato e una politica molto condizionata dalle filiere finanziarie. Il grimaldello su cui fece leva il combinato disposto di magistratura e dei mezzi di informazione per far crollare il sistema fu il finanziamento illegale dei partiti. Un finanziamento di cui si sono serviti indistintamente tutti i partiti, ad eccezione dei Radicali di Marco Pannella. Nessuno ammise, al di fuori di Craxi, che i costi della politica erano (e sono) salati per cui i partiti erano costretti a ricorrere a quello illegale, in quanto quello legale dello Stato non bastava per far fronte alle spese crescenti.

Il trionfo dei vinti Unico caso al mondo, al potere sono andati i partiti usciti sconfitti dalla storia. Va da sé che riferimento al comunismo e al fascismo è d’obbligo. I motivi per i quali il Pci e il Msi hanno dovuto cambiare nome e simbolo stanno, naturalmente, in queste specifiche ragioni ideologiche. Ovviamente, quello che raccontano per giustificare il loro cambiamento necessario per restare vivi e vegeti è un alibi, visto che sono stati condannati senza appello per le loro ideologie totalitarie. Onestamente sul versante della destra ex Msi qualche piccolo passo è stato fatto. In effetti, c’è stata il viaggio di Gianfranco Fini in Israele e l’aver ammesso le colpe del regime fascista nei confronti del popolo ebraico, ma a sinistra nulla di nuovo, tutto come prima con molta prosopopea. E proprio la vittoria dei vinti della storia, Ds, ex Pci, e An, ex Msi, ha avuto come risvolto la sconfitta dei partiti democratici e liberali usciti vincitori sulle ideologie totalitarie del Novecento. Le armi usate contro i partiti di maggioranza non sono state quelle democratiche delle elezioni, bensì quelle giudiziarie. Sicché sulla via del giustizialismo ha trovato la morte il Psi di cui sono colpevoli tanto la destra quanto la sinistra. Il cappio leghista a Montecitorio è il monumento del clima violento in cui si viveva negli anni della “grande rivoluzione giudiziaria”. Nondimeno, i fascisti hanno contribuito con una campagna di odio a dismisura a distruggere il Psi, quel partito che ai tempi dell’incarico a Craxi di formare il governo, nel 1983, aveva sdoganato il Msi di Almirante ammettendolo, per la prima volta, alle consultazioni di fronte allo stupore generale. Paradosso dei paradossi, la Lega e Alleanza nazionale, ex Msi, sono alleati del Nuovo Psi. Sul versante opposto, le cose non sono andate meglio, le procure sono state sollecitate a dare la caccia al socialista. Le monetine comuniste lanciate a Craxi davanti all’Hotel Raphael di Roma fanno pari e patta con il cappio leghista. E poi, nello schieramento dell’Unione c’è Di Pietro, l’eponimo di “Mani pulite” il quale, peraltro, non ha ancora confessato perché lasciò la toga per intraprendere la vita politica. Sotto la toga niente, se non uno spietato uso della custodia cautelare e degli avvisi di garanzia contro i politici della maggioranza, in special modo contro i socialisti. Nei confronti dei quali praticò la pulizia etnica della peggiore specie, paragonabile a quella del macellaio Mladic. Per i socialisti (Sdi) schierati nel centrosinistra ha vinto, come dire, la ragion politica e, comunque, i socialisti per la loro storia non possono non stare che a sinistra. Ovviamente, si trovano nel bene e nel male alleati con i killer del Psi. Siccome non possono cambiare il corso degli eventi, devono fare i conti con questa sinistra e con questo centrosinistra. Tuttavia, la farsa toccò il punto topico con la malattia di Bettino. Gli fu proibito di venire in Italia per curarsi, perché nei tre gradi di giudizio fu condannato definitivamente, ma le istituzioni gli riservarono, a morte avvenuta, i funerali di Stato. Il presidente Ciampi non si mosse e il premier D’Alema fece la mossa. Dalla farsa si passò al dramma. Ad Hammamet, nel bianco cimitero cattolico vicino al mare, oramai luogo di pellegrinaggio anche turistico, riposa Bettino. Nel quaderno in cui i visitatori lasciano le loro impressioni, la stragrande maggioranza lo rimpiange. Gli italiani rimpiangono sempre post mortem e questo è uno dei loro maggiori difetti. E comunque, Bettino va rimpianto per quello che ha fatto per il Paese Italia negli anni in cui guidò il governo. Senza di lui, non avremmo avuto la riforma della scala mobile, la riduzione dell’inflazione da due a una cifra, il made in Italy, l’ingresso nel G7 e nell’Ue di Maastricht. E poi, la battaglia di Sigonella, una battaglia sacrosanta di autonomia nei confronti dell’alleato americano. Una querelle conclusasi con la riappacificazione dei due presidenti: “Dear Bettino”, “Dear Ronald”. Prima dell’avvento a Palazzo Chigi, si batté contro l’installazione dei missili sovietici SS20, conquistandosi la fiducia della Casa Bianca e delle cancellerie europee. A ben vedere, con la mancata installazione dei missili SS20 il comunismo reale crollò. Come, infine, non ricordare il suo impegno sfortunato per liberare Aldo Moro, prigioniero della Brigate rosse. Il partito della trattativa di cui il Psi era il capofila perse contro il partito della fermezza il cui obiettivo politico era di salvare lo Stato italiano. Di grazia ma di quale Stato stiamo parlando quando ha fatto compromessi di bassa lega con i pentiti per mafia. E, ultimamente, durante la prigionia di ostaggi italiani in Iraq, ha fatto compromessi con i terroristi per liberarli. Ma questa è un’altra storia.

Le sorti del garofano Dopo le dimissioni di Craxi da segretario nazionale, in seguito al secondo avviso di garanzia, la guida del Psi passò nelle mani dell’ex segretario dell’Uil, Giorgio Benvenuto, definito da Bettino “un socialista e un’autonomista autentico”. Fu una gestione catastrofica e il suo capolavoro fu il lavoro svolto contro il governo Amato che, in fin dei conti, era ancora l’ancora di salvezza del Psi. Non è tutto. Si mise contro il gruppo parlamentare socialista che aveva scelto il sistema elettorale maggioritario a un turno rispetto quello a due turni da lui sostenuto. Benvenuto, come il dottor Jekill e mister Hyde, si sdoppiava a seconda delle circostanze e degli esponenti politici che incontrava. L’esasperazione di questo suo modo di fare si ebbe in occasione del voto alla Camera sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Craxi. Il gruppo parlamentare del Psi aveva deciso, d’intesa con il segretario, di lasciare libertà di voto ai deputati. Naturalmente, nessuno poteva prevedere l’esito del voto. Siccome confluirono oltre ai voti della maggioranza anche quelli della Rete, della Lega, di Rifondazione comunista e del Pds, (per meglio criminalizzare Craxi e destabilizzare la prima Repubblica), Benvenuto si congratulò con il capogruppo d’allora, Giusi La Ganga, per il successo ottenuto, visto che l’autorizzazione non passò. Il giorno seguente successe che di fronte a una stampa agguerrita e violenta e alle manifestazioni pubbliche di Occhetto in Piazza Navona, Benvenuto fece, inaspettatamente, dietrofront rispetto alla posizione assunta in precedenza. Basta e avanza. In verità, il fallimento della segreteria di Benvenuto ha rappresentato per il Psi un’autentica sciagura che ovviamente si è sommata a tutta quella catena di avvenimenti negativi che avevano provocato le dimissioni di Craxi. I due casi hanno inferto al Psi un colpo durissimo. Tuttavia, Giorgio Benvenuto ha avuto anche la sfacciataggine di scrivere un libro “Via del Corso”, sui cento giorni passati al vertice del Psi. Un libro in cui sputa veleno sul gruppo dirigente socialista. Tuttavia, ha fatto nel suo libro anche delle riflessioni sulla questione morale. “Io faccio - scrive - comitiva con i lavoratori e moralisti, lui (riferendosi a Claudio Martelli) ha sempre legato con frequentatori dei salotti raffinati ed edulcorati”. Riferendosi, poi, a un colloquio con il procuratore generale di Milano Castellani, racconta che il colloquio si concentrò soprattutto sulla questione morale, “questione sulla quale - afferma Benvenuto - io sono ferrato per beghineria di famiglia e di educazione”. I medesimi argomenti moralisti su Martelli “furono tirati in ballo - scrive Paolo Pillitteri - da uno squallido sindacalista, Enzo Mattina, vero e proprio killer di un’altra sciagura: Giorgio Benvenuto… ”. Oggi, per chi non lo sapesse, Giorgio Benvenuto è deputato Ds.

Da Benvenuto a Del Turco Dalla Uil alla Cgil. Da Giorgio Benvenuto a Ottaviano Del Turco. Al peggio non c’è mai limite. Con l’uscita di scena di Benvenuto, via del Corso aveva rotto i ponti con la Uil: il rischio era quello che non candidando al suo posto Del Turco il Psi, invece di avere due sindacati di riferimento, si sarebbe trovato senza. Per un pelo Del Turco non si trovò a fare il ministro dell’Industria ai tempi del governo Amato e della segreteria Benvenuto. Siamo anche qui alla commedia degli equivoci. Il presidente del Consiglio scaricava la responsabilità su Martinazzoli che non voleva un sindacalista al governo. Benvenuto dava, viceversa, la colpa ad Amato, con il quale, come visto, non correva buon sangue, per la mancata nomina di Del Turco al ministero di via Veneto. Del Turco alla segreteria non aveva contendenti, l’unico problema fu raggiungere il quorum dei votanti nell’Assemblea nazionale, dato che la candidatura del sindacalista di corso Italia trovò molta ostilità proprio nell’area che aveva sostenuto alla segreteria Benvenuto. Il neo eletto, rivolgendosi ai membri dell’Assemblea nazionale, ribadì che “l’autonomia è l’unico valore che unisce certamente tutti dentro e fuori questa sala, l’orgogliosa difesa delle ragioni socialiste ripara i nostri militanti dall’amarezza più grande: essersi visti crollare addosso il loro mondo mentre finiva in macerie il mondo che aveva alimentato lo scontro più alto e nobile della nostra vita”. Per quanto riguarda il caso scottante degli inquisiti, i parlamentari coinvolti in inchieste giudiziarie fecero un passo indietro, per non mettere in difficoltà il partito. Il nuovo gruppo dirigente di via del Corso, però, non perdeva occasione per scaricare responsabilità su di loro. Diciamo che la linea era garantista nella forma, giustizialista nella sostanza.

L’accordo con i progressisti Intanto, i rapporti tra Psi e Pds non erano migliori rispetto al passato. Non a caso, nelle elezioni amministrative di Roma, nella lista Rutelli erano assenti i socialisti perché non graditi. Per questa ragione il Psi appoggiò la lista “Alleanza riformista” che aveva come candidato un “illustre sconosciuto”, Vittorio Ripa di Meana, da non confondere con Carlo Ripa di Meana. Questa linea nacque per volontà di Amato e Visentini che però non si impegnarono a sostenerla concretamente. I primi problemi di Del Turco vennero fuori quando, nella Convenzione socialista del 20-21 luglio 1993, manifestò l’intenzione di stringere un rapporto con “Alleanza democratica”, facendo propria la proposta di scegliere Mario Segni come candidato a premier. Per la stragrande maggioranza dei socialisti Segni era colui il quale, con il suo inconcludente nuovismo referendario, aveva contribuito a distruggere contemporaneamente la prima Repubblica e il sistema dei partiti. Difatti, i primi a insorgere contro Del Turco furono i parlamentari che avrebbero voluto una proposta di coalizione che aggregasse le forze laico-socialiste alleate con quelle del popolarismo cattolico, ex Dc. Questo contrasto venne fuori in modo lampante nell’Assemblea nazionale del 16 dicembre, nel corso della quale Del Turco collocò il partito nello schieramento progressista guidato da Occhetto, motivando questa scelta sul fatto che il Psi era una forza di sinistra e faceva parte dell’Internazionale socialista. All’interno del Psi, nel frattempo, emergevano altre due posizioni: quella di Amato, Acquaviva e Covatta che convergeva sul centro di Martinazzoli, Segni e La Malfa, e quella che oscillava fra l’integralismo socialista e l’alleanza con la nascente Forza Italia di Berlusconi. Il segretario di via del Corso, per essere legittimato dal polo progressista allo scopo di salire sulla macchina di guerra di Occhetto, accettò il diktat del Pds di rompere con la tradizione craxiana cambiando il simbolo. Fu così che si passò, rimanendo sempre nella floricoltura, dal garofano alla rosa. La manifestazione che sancì questo passaggio si svolse il 24 gennaio 1994 alla Fiera di Roma, alla presenza di Mauroy, presidente dell’Internazionale socialista. Del Turco concluse il proprio intervento ribadendo che non “avrebbe mai consentito a nessuno di mettere in discussione la nostra autonomia: il partito di Turati, di Nenni e di Pertini (come si vede, si guardò bene dal menzionare il nome di Craxi) non si piegherà mai all’idea di dover sottostare, nelle proprie scelte politiche ed ideali, alla mercé di chiunque voglia limitare l’autonomia e l’identità”. In base a questo ragionamento politico, legato alla tradizione socialista nenniana e craxiana, Del Turco si trovò candidato in un collegio tra i più sicuri dell’Emilia post-comunista. Ma prima di arrivare a questo obiettivo egli dovette ingoiare molti rospi, facendo perdere al Psi la dignità e agli iscritti “l’orgoglio di essere socialisti”. L’umiliazione maggiore venne da Leoluca Orlando e dai Verdi che posero una preclusione alla partecipazione del Psi al tavolo dei progressisti: rompere completamente con il craxismo. Il Pds, in questo frangente, recitò la parte del padre nobile dando assicurazione ai socialisti che tutto si sarebbe concluso per il meglio. Il “meglio” fu l’esclusione di molti socialisti dalle liste progressiste e un massacro elettorale per il Psi che non raggiunse neanche il quorum nella quota proporzionale nelle elezioni politiche. L’accordo con i progressisti fu un errore di grammatica politica. Non avremmo mai dovuto accettare di fare una battaglia elettorale sapendo di essere nella mani del Pds che voleva assorbire il patrimonio socialista. E, guarda caso, in seguito lanciò la fallimentare proposta della “Cosa-2”. Sarebbe stato, viceversa, più utile e dignitoso per il Psi fare una grande battaglia socialista autonoma. Pur consapevoli di andare incontro a tante difficoltà, presentando candidati propri sia nel maggioritario sia nel proporzionale. Probabilmente in quello maggioritario, senza far parte della coalizione progressista, non avremmo avuto eletti, ma quanto meno in quello proporzionale avremmo avuto delle rappresentanze. Se l’autonomia di Del Turco aveva un senso, questo era il calvario che bisognava percorrere per salvaguardare il patrimonio socialista. Ammettiamo che col senno del poi, il ragionamento è più facile, ma noi siamo convinti che la via giusta era quella dell’autonomia socialista. Dopodiché per i socialisti iniziava una sorta di diaspora “ebraica”. Colpito dal partito giustizialista delle procure d’Italia, il colpo mortale al Psi però fu inferto dai suoi stessi dirigenti, l’un contro l’altro armato. Fuori Bettino, vennero a galla dissapori personali e politici. Trovare due socialisti che la pensassero allo stesso modo era come vincere a lotto. Boselli fece fatica a tenere issata la bandiera socialista, visto che il suo partito era diventato un albergo spagnolo. De Michelis, facendo una fatica immane, raccolse alcuni compagni attorno prima al Ps e poi al Nuovo Psi, soprattutto socialisti di seconda fila. Da un lato, i Ds il cui appeal è più forte di quello dello Sdi; dall’altro Forza Italia, il partito di Berlusconi, il Craxi di destra, hanno reso a Boselli e a De Michelis, pur su schieramenti avversi, la vita difficile. I mancati successi elettorali hanno convito il gruppo dirigente dello Sdi a battersi per la Lista unitaria, il Triciclo, e per la casa dei riformisti.

Il processo di disgregazione La tragedia di Tangentopoli è stata devastante e distruttrice. Tuttavia, gli esponenti Psi non colpiti dalle inchieste giudiziarie non hanno saputo fare di meglio che avviare un processo di disgregazione provocando un esodo verso altre forze politiche e, nello stesso tempo, non si sono resi conto che stavano innescando un processo che avrebbe potuto cancellare le radici più che secolari dell’idea socialista. Purtuttavia, la grande tradizione del Psi non può essere liquidata solo perché i suoi dirigenti, colpevoli o incolpevoli, furono coinvolti in casi giudiziari, né perché, opportunisticamente, taluno, dichiarandosi di sinistra, scelse altre bandiere rosse, e talaltro, non perdonando il comportamento giustizialista della sinistra in generale e dei Ds in particolare, ha preferito accasati a destra. Tanto meno possiamo dire che lo Sdi e il Nuovo Psi possano rappresentare la grande tradizione riformista e autonomista che venne fuori in maniera così originale con la segreteria di Bettino Craxi. Sarebbe, dall’altro canto, un grande errore se intrecciassimo la politica del Psi con le vicende giudiziarie dei suoi ex dirigenti. Il Psi, dal Midas in poi, sviluppò una cultura politica e di governo anticipando i tempi e fu il precursore del rinnovamento col quale solo successivamente i partiti socialisti, socialdemocratici e post-comunisti europei si sono e si stanno ancora misurando. Il dibattito sviluppato sulla rivista Mondoperaio è servito alla sinistra per liberarsi di vecchi tabù e falsi miti. La controffensiva craxiana si sviluppò sul terreno ideologico e culturale nei confronti del Pci. Nell’estate del 1978, Il Psi iniziava la sua campagna di attacco, stigmatizzando il togliattismo, il gramscismo e il leninismo che erano i pensieri forti del Pci. Si apriva, quindi, un confronto duro tra Mondoperaio e Rinascita e tra l’Unità e l’Avanti!.

Il fallimento della Cosa-2 Nel luglio del 1978 scese in campo direttamente Craxi, scrivendo un saggio per L’Espresso sul protosocialista Pierre Joseph Proudhon. Il leader socialista andò giù duro, attaccando senza mezze misure il pedigree del Pci. Craxi partiva dal ragionamento che il pensiero socialista, sin dall’origine, metteva insieme elementi “distinti” e “repulsivi”, “anarchici contro autoritari, collettivisti contro individualisti, stalinisti contro antistalinisti”. Nello stesso tempo, rimarcava la divisione tra il bolscevismo reale che usava il potere dello Stato per realizzare il comunismo reale e i sostenitori del socialismo pluralista e liberale che esaltavano l’individuo, la società e il mercato. Ragion per cui, la questione socialista non può ridursi a una mera questione giudiziaria. Questo patrimonio storico, culturale, politico e di classe dirigente non può essere assorbito da alcuna altra forza, men che meno, a sinistra, dai Ds, a destra, da Forza Italia. Azzeriamo il passato. Per costruire insieme il futuro”. Questa in estrema sintesi fu la proposta di D’Alema ai socialisti in occasione della Cosa-2. Il che sarebbe troppo bello, ma è profondamente sbagliato, perché non si può cancellare il passato, semmai bisogna guardarlo e comprenderlo con gli occhi del presente. Guai in politica a non apprendere le lezioni del passato. In più, bisogna vincere l’amnesia che è una “malattia della memoria che tende - come scrive Barbara Spinelli ne ‘Il Sogno della memoria’ - a farsi paradossale e a restringere il pensare dell’uomo anziché liberarlo”. Nonostante i Pds si siano impegnati attraverso la Cosa-2 ad aprire agli ex Psi, la Cosa fallì, perché era di corto respiro e priva di idee. Soprattutto l’operazione fu vissuta dai vertici della Quercia come un allargamento della base elettorale. E comunque, quei socialisti “cosisti” furono usati come soprammobili a Botteghe oscure, dopodiché finirono nello scantinato. Il limite degli ex comunisti è che non concepiscono il partito aperto. I pochi che fecero la scelta della Cosa-2 sono usciti e vorrebbero la casa comune dei socialisti. Insomma, il ritorno sulla scena politica del Psi.

Il Nuovo Psi e Berlusconi In molti, viceversa, sono finiti in Forza Italia. Alla luce di ciò, Berlusconi non ha dato mai veramente spazio al Nuovo Psi. È ormai un fatto notorio che De Michelis e Martelli non sono stati candidati alle elezioni politiche del 2001 per l’opposizione di Berlusconi in persona. Di sicuro, ci fu l’ostilità dei socialisti in camicia azzurra che non volevano che si rafforzasse il Nuovo Psi, pena la loro sconfessione. Secondo questi, nessun partito socialista può nascere dopo la liquidazione per mano dei comunisti del Psi di Craxi. Una tesi francamente comoda, dato che alcuni di questi, mosche bianche, si sono felicemente accasati nella diroccata Casa delle libertà. Quando Berlusconi partecipò al congresso nazionale del Nuovo Psi tenutosi a Milano affermò ai delegati di essere uno di loro, andando anche oltre da buon imbonitore, facendo impazzire di gioia la platea. Ma si sarà reso conto, in seguito, anche che c’erano le condizioni per far rinascere un partito socialista nuovamente forte dal punto di vista elettorale. Di fronte a questo convincimento tirò i remi in barca. Fatto sta che De Michelis e Martelli, per un mero calcolo di bottega del Cavaliere, non furono candidati.

La rinascita possibile “In Italia - disse Bettino Craxi prima di morire - non esiste più un partito socialista vero e proprio o dei gruppi dirigenti organizzati. La diaspora dei socialisti o, se si preferisce, il suicido dei socialisti, sono stati impressionanti”. Tuttavia, fino a prova contraria, il partito socialista può risorgere, visto che non si sono estinte le sue ragioni e, per di più, è rimasto intatto il suo spazio politico. Per dirla tutta, ci sono tutte le condizioni come ai tempi di Craxi. Sembra che il tempo politico si sia fermato, quasi che l’orologio della storia abbia le lancette bloccate. Oggi, il termine socialista non è più screditato e chi è rimasto ancora tale non se ne vergogna e viene additato come un portatore di una ideologia di cui si sente ancora il bisogno. Infatti non si può cancellare la storia di tante battaglie socialiste combattute per l’emancipazione delle masse lavoratrici, per l’uguaglianza sociale, per la democrazia, per la libertà, per la governabilità e la modernizzazione del Paese. Nel bene di cui si torna a parlare e nel male di cui si parla meno, si sente il bisogno del “partito eretico”, il cui compito era di conciliare la sinistra e il capitalismo diffuso, i ceti poveri e i ceti ricchi, i meriti e i bisogni, le riforme e il consenso delle masse lavoratrici. Come nel 1976, quando Craxi e il gruppo dirigente del Midas ereditarono un partito in declino, per poi trasformarlo in protagonista della politica italiana, nel 2005 ci sono le condizioni di rifondare il partito, il Psi, con l’unità dei socialisti dello Sdi e del Nuovo Psi attraverso una costituente. Che non sia una operazione di vertice, semmai un coinvolgimento di tutti coloro che hanno creduto e credono nel ruolo, nella funzione e nella peculiarità del socialismo italiano. Adesso tutti si dicono riformisti, nessuno sembra sia stato comunista e fascista dal punto di vista ideologico, politico e morale, nessuno ha esaltato l’estremismo ideologico e sociale il cui frutto velenoso è stata l’eversione di massa e un terrorismo fra i più cruenti e, peraltro, portatore di tanti morti innocenti, nessuno ha demonizzato la politica dei redditi e la riforma della scala mobile, nessuno ha fiancheggiato l’antiamericanismo e ha marciato in prima fila per il pacifismo che si batteva contro l’installazione dei missili a Comiso, nessuno è stato giustizialista comportandosi in modo infame contro i socialisti e Bettino Craxi. Paradossalmente, nella cosiddetta seconda Repubblica, nessuno è stato nessuno, e nessuno ha il coraggio di farsi un’autocritica e di finirla di considerare l’aggettivo revisionista calunnioso e improprio. Perché il revisionismo è la bestia nera di una certa sinistra dogmatica e conservatrice? Siccome è sinonimo di discontinuità e di rottura, molti scheletri potrebbero essere tirati fuori dall’armadio, portando alla luce verità amare. A ben ragionare, la sinistra italiana si trova a zero di valori e di identità, per cui occorre per risalire la china uno sforzo di elaborazione che guardi alla stella polare del socialismo laico, riformista, liberale e libertario. Dinanzi al vuoto culturale e all’afasia politica, la sinistra di governo si è appropriata di un armamentario culturale della destra, creandole un grosso problema, dato che ha confuso le acque e, alla fine, è venuto fuori che non c’è una netta distinzione tra la sinistra e la destra. Di certo, da un lato, ciò ha nuociuto alla sinistra, dall’altro, ha favorito la destra. E comunque, la destra è più credibile giacché si muove sul proprio terreno naturale; viceversa, la sinistra niente affatto. Ad esempio, il giustizialismo in circolazione è prettamente materia di destra, giammai di sinistra. Ancora. Sul risiko bancario i Ds si sono mossi, per un certo verso, più come una forza di destra legata al mondo delle lobby, della finanza d’assalto e della rendita che come una forza di sinistra liberale favorevole alle regole di mercato. In tal senso, sta per nascere un conglomerato bancario-assicurativo che ha, piaccia o no, come referente i Ds. Non basta il Mps, adesso anche la Bnl. Non c’è il rischio che si costituisca, come dire, sotto mentite spoglie un partito azienda, a sinistra? Per conseguenza di questo intreccio politico-economico o vicinanza ideale tra i Ds e il mondo dell’Unipol-Legacoop, all’interno dell’Unione, è arrivato inaspettatamente il boomerang della questione morale. Sembrerebbe la vendetta della nemesi storica: gli eredi della questione morale berlingueriana, i fustigatori dei corrotti sono stati colpiti sul terreno loro più caro. A onor del vero, il prodiano Arturo Parisi ha sollevato nei confronti dei Ds la questione morale a proposito della scalata dell’Unipol su Bnl e della presidenza della Rai affidata a Claudio Petruccioli. I post-comunisti, che si sono considerati da sempre i depositari della questione morale, hanno preteso che Romano Prodi fugasse i sospetti sul loro operato politico. Di fronte a ciò, non sappiamo se ridere o piangere. L’ex democristiano Prodi ha riconsegnato la bandiera della questione morale ai post-comunisti, riappacificando con i suoi poteri taumaturgici la Quercia e la Margherita. Dove sta l’autorevolezza morale del più grande partito della sinistra italiana? Bisogna che la sinistra si convinca a scendere dal tetto di casa in cui abita e iniziare la ricostruzione dal basso. In questa opera, la presenza dei socialisti è fondamentale, dato che senza di loro la sinistra di governo resterà ancora per molto tempo in mezzo al guado. Anche per questo è ritornata di attualità la questione socialista. Boselli, De Michelis e Craxi (Bobo) devono rendersene conto e accelerare il processo di unificazione. E comunque, i socialisti uniti possono aiutare i Ds che sono, a ben vedere, un unicum nel panorama dei partiti di sinistra europei. Non hanno ancora una identità socialista riformista e non sono più comunisti. Il problema è che cambiare pelle per una nuova in modo indolore è abbastanza difficile. Ogni identità affonda le proprie radici nella storia e cambiare il passato non è mai riuscito a nessuno. Siccome per i Ds l’identità più naturale sarebbe quella socialista, qui viene il bello: molti di loro non sono per niente d’accordo. Eppure avrebbe dovuto essere una cosa già acquisita; invece è materia di serrato dibattito dialettico. A dire il vero, pensavano che la loro andata al governo avrebbe risolto, come per magia, d’un colpo solo, i problemi della loro identità. Ma non è stato così. Infatti, l’andata al governo fino al punto di portare a Palazzo Chigi, Massimo D’Alema, non è stata per il suo gruppo dirigente una scorciatoia, ma una vera via di fuga alla ricerca affannosa e confusa di una legittimazione artificiosa, una via di fuga protesa nel potere per il potere. In ultima analisi, il processo dell’unità dei socialisti ha avuto una forte accelerazione per via della scelta della Margherita di non presentarsi con il proprio simbolo in quota proporzionale alle prossime elezioni politiche, rifiutando, pertanto, la Lista unitaria (Ds, Margherita, Sdi e Repubblicani), come aveva fatto alle Europee. Anche nella maggioranza sta per cambiare qualcosa, dal momento che Berlusconi vorrebbe passare dalla Casa delle libertà, in via di disgregazione, alla casa unitaria. Boselli, da par suo, ha preso atto, altrettanto ha fatto De Michelis. Di fatto, è iniziato un intenso lavorio delle diplomazie per cercare tempi e modi dell’unificazione, ma purtroppo, finora, nulla di nuovo. Speriamo in bene. Grazie all’Avanti! abbiamo gettato un sassolino nello stagno, nella speranza che qualcosa si muova nel verso giusto. Nel frattempo, i compagni con tessera e senza stanno iniziando la grande corsa: stanno organizzando varie iniziative a favore dell’unità socialista. Dopo tante tragedie e delusioni che abbiamo ricostruito a malapena - consapevoli di essere oggetto di critica il che non è poi tanto male - speriamo che i compagni vedano almeno uno spicchio del sol dell’avvenire.

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