CONDANNARE ISRAELE ALIMENTA LA RADICALIZZAZIONE di Alberto Benzoni dal sito partitosocialista.it, 16 gennaio 2009
13 febbraio 2009
“Campo di concentramento”, dice il cardinale Martino. “Fermate le rappresaglie contro donne e bambini”, invoca la CGIL del Lazio. L’equiparazione tra i comportamenti del governo israeliano e quelli della Germania nazista non potrebbe essere più chiara. E viene, a nostra ulteriore vergogna, da esponenti di istituzioni quanto mai autorevoli. Per Hamas è una grande vittoria. Sa benissimo di non essere in grado di distruggere, oggi, lo stato ebraico. Ma conta di poterlo fare domani o magari dopodomani; insomma in una prospettiva di medio- lungo periodo. Nella sua ottica, Israele è come gli stati nati dalle crociate: un’entità artificiale, in grado di sopravvivere solo grazie al consenso e all’appoggio del retroterra occidentale: una volta venuti meno l’uno o l’altro, cadrà come una pera matura. In questa prospettiva Hamas è il principale interessato a che il conflitto duri il più a lungo possibile. Mentre l’Europa e la componente più responsabile del governo israeliano hanno un interesse vitale alla sua rapida conclusione. E però tra queste due parti non c’è, almeno per ora, alcuna sinergia. Perché una di esse, l’Unione europea, conta poco o nulla, o detto in modo più elegante ha un peso politico inversamente proporzionale al suo investimento emotivo. Di questo non sappiamo darci pace. Il nostro impegno è forte, le nostre proposte sono ragionevoli: perché allora nessuno ci dà ascolto? In realtà la colpa è soprattutto nostra. Di un’Europa che, da anni, ha scelto di essere spettatrice e non attrice del dramma mediorientale. Di un’Europa che, detto in altro modo, è stata “equidistante” assai più che “equivicina”: sempre in cattedra a distribuire patenti di buono o cattivo (magari con un occhio di riguardo per la parte più debole), mai veramente disposta a fare proprie le ragioni/preoccupazioni/esigenze esistenziali delle due parti e a sporcarsi le mani per concorrere a soddisfarle. Avremmo dovuto capire da un pezzo che metterci in cattedra con Israele per condannarlo e isolarlo serve solo a radicalizzare i comportamenti dei suoi governi e ad alimentare le speranze di chi vuole distruggerlo, mentre, per altro verso, il rafforzamento delle garanzie per la sicurezza dello stato ebraico potrebbe aprire di per sé la strada ad un reale processo di pace. “Israele non può pretendere di garantire la propria sicurezza da solo perché le sue reazioni sono sempre sproporzionate” ripetono in coro governi e opinionisti, cardinali e pacifisti vari. Ma, allora, cari signori, questa sicurezza dovreste garantirla voi, assicurando una presenza internazionale a Gaza e ai suoi confini, tale da far sì che la striscia non sia più la base per nuove avventure politiche o militari. Una vera via, in questo caso, non c’è.
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