COMUNITA’ SOCIALISTA, QUALE! di Roberto Biscardini
05 gennaio 2017
Ritorna nel dibattito politico l’uso, più o meno
appropriato, del termine comunità socialista, ma torna.
Almeno tre sono i significati prevalenti.
Il primo la identifica con quel gruppo di persone che si
dedica, anche dignitosamente, alla questione socialista dal punto di vista
storico e culturale. Una sorta di comunità di studiosi, o di ex socialisti che
hanno lasciato la politica attiva, che si dedicano alla storia del movimento
socialista, del pensiero e dei partiti socialisti e della sinistra a livello
nazionale e internazionale.
La ricostruzione di quella che un tempo chiamavamo sinistra di
governo, da tempo indebolita da due contestuali derive: una certa assuefazione
anche della sinistra alle logiche liberiste della destra e una pratica politica
condannata nella Seconda repubblica alla logica del nuovismo, della
personalizzazione della politica, alla ricerca della leadership. Molta
immagine, poca sostanza.
Chi sostiene la necessità di un nuovo progetto politico per
la sinistra e per il socialismo non può non contare sulla ricomposizione di una
comunità socialista larga, con una propria fisionomia, identificabile e
consapevole. Una comunità oggi dispersa nel sociale, frantumata, senza identità
e consapevolezza unitaria, senza riferimenti organizzativi, senza soggettività
politica, ma con idee, aspirazioni, valori e ideali comuni. Una comunità oggi ancora
frazionata in piccole realtà politiche e associative, fatta persino di singoli
individui tra loro non in comunicazione, senza luoghi, mezzi e strumenti per costruire
insieme progetti e misurarsi concretamente sulla realizzazione di obiettivi
condivisi. Quindi una comunità da riunire affinché i singoli, i tanti cittadini
in carne ed ossa che potrebbero farne parte, possano con uno spirito di
cooperazione decidere programmi e azioni. Possano decidere collettivamente
quale organizzazione darsi.
Una comunità di cittadine e cittadini che, avendo come obiettivo
il socialismo prima ancora che i socialisti, è consapevole che la
ricomposizione della sua unità è parte essenziale della realizzazione di un
progetto socialista vincente.
C’è infine la terza categoria, quella di coloro che pensano che la comunità socialista si esaurisca nell’elenco dei membri del proprio gruppo, anche se piccolissimo. E’ il caso del Psi e di altre micro organizzazioni politiche che riducono la comunità socialista alla propria organizzazione. Organizzazioni ormai egoisticamente chiuse e impenetrabili, al di là delle buone intenzioni dei loro iscritti. Ognuna espressione del proprio piccolo giardino, ritenuto per definizione più bello e migliore dell’altro. Piccole sacche di testimonianza politicamente ininfluenti, autoreferenziali, che perdurano con l’obiettivo di salvare il proprio marchio, confondendo l’insegna del negozio con la merce da vendere. Piccole organizzazioni politiche che hanno paura di ogni contaminazione e perfino di ogni libera discussione tra i propri membri, che devono epurare ed allontanare chi la pensa diversamente dal “capo”, per difendere una gestione autoritaria e non democratica. Organizzazioni che si reggono spesso su tessere finte, su regole fittizie e su congressi truccati. Sempre e solo per salvare un piccolissimo, quanto modestissimo gruppo di “potere”. Micro organizzazioni e comportamenti che con lo spirito originario del socialismo non hanno nulla a che fare.
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