CIAO EMANUELE
05 ottobre 2012
Ci sarebbero tanti modi per ricordare un amico, oltre che un compagno, sincero e senza tessera. Un amico col quale era più facile confrontarsi sulle cose che non sulla politica. Un intellettuale amico che non faceva mai trapelare dall’alto lo spessore delle sue conoscenze. Un compagno di corrente per me negli anni 70 e 80. Con Riccardo Lombardi e Michele Achilli, nei collettivi del lunedì al 4° piano di corso Magenta. Assessore al Comune di Milano in punta di piedi, incapace come dicevano i più di distinguere una campagna elettorale all’ultimo voto con un seminario sul socialismo e sul riformismo. Ma la corrente allora decise di sostenerlo e da lì fece l’Assessore al Decentramento dal 1973 al 1975. Ad Emanuele piaceva di più studiare che fare politica attiva, piaceva insegnare. Lo conoscevamo come un esperto dei problemi territoriali e ambientali e finì con l’interessarsi di diritto amministrativo. I suoi scritti più famosi, oltre al volume dedicato a Riccardo Lombardi, sono quelli che riguardano l’agricoltura e forse il suo primo testo “Istituzioni e contratti nell’agricoltura settentrionale dal 1945 al 1950”. Ma il modo che forse a lui sarebbe stato più gradito è ricordarlo con le parole di un giovane studente, Luca Bufarale, che ieri ha inviato a molti di noi una mail che qui sotto pubblichiamo. “Salve a tutti, volevo lasciare un personale ricordo di Emanuele Tortoreto, la cui scomparsa ha lasciato in me un profondo vuoto. Molti di voi lo avranno conosciuto senz'altro meglio del sottoscritto, come studioso di legislazione urbanistica, come storico "non professionista" (ma non per questo meno accurato!) della Milano della guerra e del dopoguerra o come militante del Partito socialista (e, prima ancora, della gioventù azionista). Io l'ho incontrato per la prima volta nel giugno del 2009. Avevo appena iniziato il dottorato in storia con una tesi su Riccardo Lombardi, il dirigente azionista e poi socialista al quale era stato vicino e a cui aveva dedicato un bel libro (La politica di Riccardo Lombardi dal 1944 al 1949) uscito, mi pare, nel 1972. A mettermi in contatto con lui fu Giuseppe Vignati dell'ISEC di Sesto. Inizialmente ero un po' intimidito ma subito mi colpì la sua grande curiosità verso il lavoro di un neofita appena laureato quale ero, la sua precisione nel consigliarmi piste di ricerca e nel fornirmi dati e, soprattutto, la sua totale mancanza di supponenza intellettuale, il non voler mai parlarmi, per così dire, dall'alto in basso. Nelle successive occasioni in cui ci siamo incontrati ho imparato ad apprezzarne ancora di più sia le doti intellettuali sia la sua profonda umanità. In questo ultimo anno e mezzo, malgrado i costanti problemi di salute, ha seguito la mia tesi su Lombardi, sempre prodigo di suggerimenti e consigli: io gli mandavo i capitoli per posta e lui mi inviava lettere minuziose di commento, persino su certe note a piè di pagina che avevo scritto. Se la storia è uno studio di e su donne e uomini e su ciò che essi fanno o subiscono nel corso del tempo e se scrivere di storia è in fondo un atto di amicizia nei confronti dell'umanità, tanto più mi sento di dire che in chi ti insegna a farla non contano solo le doti intellettuali, ma l'empatia che si è capaci di stabilire con chi ti sta accanto, quella capacità di sentire e di comunicare emozioni che consente al giovane studioso di rivivere i problemi, le speranze, le delusioni, le gioie di uomini e donne del passato. Emanuele sapeva fare questo, coniugando, cosa assai rara, la passione del testimone e del militante politico con l'accuratezza del ricercatore storico (magari non "professionista". Ma il mondo è pieno di ottimi "storici in potenza"...) e la connessa capacità di "mettere a una certa distanza" (non l'impossibile "distacco"...) l'oggetto dei propri studi. Ci siamo rivisti l'ultima volta a casa sua all'inizio di luglio, vicino Piazza Gambara, dove mi ha ospitato insieme alla moglie Irene (persona deliziosa) mentre io compivo le ultime ricerche. Nel suo studio, stipato di libri e riviste, si riusciva a mala pena a passare. Sul tavolo, accanto all'ultimo capitolo che gli avevo inviato, c'erano le bozze di una tesi, mi pare, di legislazione urbanistica. "Ho tante cose da fare - mi diceva - devo aiutare questa dottoranda e poi ho anche il mio libro da scrivere". Ci siamo sentiti due giorni prima che ci lasciasse, per telefono: era già in ospedale e si rammaricava di non poter venire alla discussione della mia tesi, a Padova, il 10 ottobre prossimo. "Assente giustificato!" mi ha detto scherzando, come se fosse lui lo scolaro e io il professore. Mi piace ricordarlo così, come un uomo che non si è mai stancato di imparare dagli altri insegnando agli altri. Grazie per tutto Emanuele!”
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