CHI PAGA I COSTI SOCIALI DELLA GREEN ECONOMY, di Stefano Bettera, da l’Avanti N.41 del 7 dicembre 2010
20 dicembre 2010
Oggi, il rapporto tra crisi economica, crisi climatica e problemi ambientali è un fatto indiscutibile. Nel grande “business” dell’ecosostenibilità, efficienza energetica e soluzioni ecosostenibili sono ormai considerate non solo auspicabili ma anche necessarie.
Gli investimenti destinati a interventi verdi a livello globale hanno ormai superato i 2.800 miliardi di dollari pari al 15% dei fondi destinati dai vari governi a stimolare l’economia e in tutto il mondo nascono coalizioni e consorzi di aziende che puntano sulla green economy per rilanciare il proprio business ed è dimostrato che questa rivoluzione verde ha prodotto, in questi ultimi due anni, milioni di nuovi posti di lavoro in tutto il mondo. Ma serve valutare con attenzione che tipo di lavoro è in grado di produrre l’economia verde e chi può averne accesso e con quali garanzie.
L’innovazione green ha generato in questi ultimi due anni e continua a generare profitti enormi per le aziende che hanno saputo inserirsi in questa nuova scia. La green economy, è certamente un importante strumento di riforma della società e uno stimolo a ripensare globalmente le scelte da compiere a tutela dell’ambiente, sia per i cittadini che per le imprese. Ma il pericolo che questa riconversione sia spesso un modo per ridare fiato a bilanci in crisi, anche a discapito dei lavoratori, è più che reale. È dunque urgente comprendere come integrare le nuove opportunità offerte dalle professioni green con il mercato del lavoro tradizionale. Occorre trasformare completamente il nostro modo di vivere e consumare, il nostro modello di produzione, il modo di concepire la crescita, di pensare i rapporti tra l’economia e la società. Ma partendo dai diritti: la domanda, quindi, che ha trovato finora risposte frammentate, é quali sono i costi sociali dell’economia verde e, soprattutto chi finisce per pagarli. Come riconvertire produzione tradizionale e servizi senza che questo comporti una ricaduta negativa sulle fasce più deboli della popolazione sia in termini di disoccupazione che di aumento del costo della vita? Ad esempio, le misure antitraffico decise in alcune grandi città italiane hanno “imposto” il ricambio del parco auto verso mezzi di trasporto certamente non inquinanti ma non alla portata di tutti. Allo stesso modo le figure professionali richieste dalla green economy sono altamente specializzate: le aziende che riconvertono i propri sistemi produttivi come intendono collocare il personale in esubero o non più adeguato? È sufficiente, come risposta, una politica di incentivi pubblici?
Una prima importante risposta arriva dal premio Nobel per l’economia assegnato nel 2010 a Peter Diamond, del MIT di boston, a Dale Mortensen della Northwestern University e a Christoper Pissarides della London School of Economics. I tre partono da una semplice domanda: perché di fronte alla ripresa economica la disoccupazione resta alta? La tradizionale risposta dei liberisti era che la disoccupazione resta alta perché la presenza di sussidi e assegni di sostegno tiene lontani i disoccupati dal mercato del lavoro. Al contrario, i tre accademici hanno dimostrato esattamente il contrario: quando è in corso una fase di ripresa economica le imprese tendono a ristrutturarsi e ad offrire posti per professionalità di alto profilo che sono difficili da reperire nel comune mercato del lavoro. La disoccupazione non dipende quindi dagli aiuti di stato bensì prevalentemente dalla mancanza di formazione. L’educazione e la formazione sono quindi la chiave per pensare al futuro. Il compito di una moderna forza riformista che sia anche convintamente ambientalista, è impegnarsi perchè questa riconversione dell’economia garantisca anche tutele al mondo del lavoro. Serve, in questo quadro, un ritorno del primato della politica e il tema del lavoro legato a quello dell’ambiente é il terreno su cui impegnarsi per immaginare il futuro: ambiente e lavoro con alla base l’idea di cittadinanza estesa che parta dai diritti, dalle garanzie.
Se è vero, infatti, che le istanze ambientali sono trasversali e riguardano tutti, la capacità di coniugarle con la tutela dei diritti individuali e delle garanzie sociali è una peculiarità che distingue le scelte socialiste più di altre. Si tratta, quindi, di ripensare le politiche ambientali e sociali con strategie di lungo periodo capaci di trasformare non solo le strutture e i servizi della società ma, prima di tutto, i suoi cittadini.