CHI DI BANCA COLPISCE, DI BANCA PERISCE di Francesco Bochicchio
18 ottobre 2017
Mario Draghi, Presidente della Bce, ha recentemente affermato che, grazie alle recenti riforme introdotte in Europa, la crisi bancaria è superata e lo stato delle banche è buono.
L’affermazione fa stropicciare gli occhi: è una cosa fuori dal mondo che una persona dello spessore di Draghi, che ha salvato l’Europa salvaguardando l’Italia dalla speculazione e i conti degli Stati deboli con il “Quantitative easing” vale a dire con l’acquisto in massa di titoli del debito pubblico di tali Stati, possa cadere in un’affermazione così sconcertante.
Se si riferisce al “bail-in”, che fissa la presenza di forti limiti al salvataggio dei crediti dei risparmiatori, è ovvio che prende un abbaglio: è questa una norma demenziale che blocca l’economia visto che mina la fiducia del mercato nel pagamento dei debiti bancari, i quali sono moneta.
Ma, in ogni caso, la stravagante affermazione viene smentita dalle polemiche suscitate dalla proposta comunitaria, fatta propria dallo stesso Draghi, di rendere rigida la disciplina dei NPL, crediti deteriorati, la quale riforma porrebbe in gravi difficoltà il settore creditizio dei Paesi deboli ed infatti in Italia sono subito sorte polemiche in Italia da parte del Governo e del mondo bancario.
La verità è proprio un’altra, addirittura affatto opposta: le riforme europee sono andate a colpire esclusivamente le banche dei Paesi deboli, non quelle dei Paesi forti che hanno provveduto a salvare le proprie banche sia prima che dopo l’emanazione della normativa. La giustificazione fornita da parte tedesca è che gli Stati deboli non hanno mezzi idonei a salvare le proprie banche, con la conseguenza che il salvataggio finirebbe per gravare sull’Europa.
Il settore bancario deve mantenersi, secondo tale ricostruzione, in situazione rigidamente corrispondente al grado di salute dei rispettivi Paesi. Ciò vuol dire affossare l’Europa, mantenendo i Paesi deboli in posizione di soggezione perenne.
In termini squisitamente economici, il mancato salvataggio delle banche è demenziale in quanto blocca l’economia. Al limite, tanto varrebbe far cadere le banche italiane e degli altri Paesi deboli in mano a quelle francesi e tedesche, evitando in ogni caso sia di farle andare “in default” sia di penalizzare i risparmiatori, e le risorse finanziarie di questi ultimi sono la linfa dell’economia: è ovvio che con il dominio economico delle grandi banche d’affari internazionali –è degli ultimi giorni la notizia dei conti d’oro delle principali banche d’affari, dopo gli scandali, tra cui manipolazioni di tassi cambi e valute, e i buchi degli ultimi anni- , protagoniste della speculazione più dissennata, le banche ordinarie possono sopravvivere solo se accettano un ruolo subordinato rispetto ad esse.
Altrimenti, sarebbe necessaria con una profonda ristrutturazione. Profonda ristrutturazione che il capitale finanziario non consentirà mai. Allora, le concentrazioni, doverosamente e con lungimiranza da anni sostenute con forza dalla tanto bistrattata Banca d’Italia, sono necessarie ma non sufficienti. L’attività dei crediti è in crisi e può essere salvaguardata solo sulla base di scelte discrezionali. Draghi sta avallando scelte discrezionali basate sulla maggior forza dei relativi Paesi. L’alternativa è la discrezionalità di una politica pubblica bancaria ed economica. E questa è resa impossibile dal dominio del capitale finanziario che evidentemente non tollera limiti così pregnanti quali verrebbero da una programmazione.
Occorre così prendere atto che il sistema bancario ordinario di deposito è in disfacimento, ed i salvataggi, non più necessari ed automatici ma discrezionali, sono condizionati non solo dalla diversa forza dei relativi Paesi, ma anche dalla diversa forza delle banche interne. E la cieca discrezionalità in cui le riforme esaltate da Draghi ci hanno ridotto comporta anche un’alterazione del mercato a favore delle banche interne più forti: emblematico il caso del salvataggio delle 2 Banche venete, acquisite da Banca Intesa a condizioni particolarmente vantaggiose. Gli oligopoli ed i monopoli di fatto non si combattono con la salvaguardia illusoria della concorrenza, ma devono essere regolamentati e limitati con una politica economica pubblica.
A questo punto diventa inesorabile il ridimensionamento delle Banche centrali nazionali, che subiscono la discrezionalità senza incidere su di essa. La conseguenza è devastante: senza possibilità di controllo pubblico a livello nazionale, solo le grandi banche potranno sopravvivere, essendo le uniche controllate a livello sovra-nazionale, mentre le banche medie e piccole sono destinate a sparire. Per tale ragione trova plausibilità la proposta, che sta raccogliendo sempre maggiori consensi tra illustri luminari (in Italia, Paolo Savona e Vincenzo Comito) di separare l’attività creditizia da quella in pagamenti.
E’ lo snaturamento della banca in un’ottica che, contro le miglior intenzioni, favorisce e consolida gli arbitrii del capitale finanziario,
Draghi sta assolvendo a tale ruolo perverso controvoglia per gestire una fase anomala, ma così realizza un processo irreversibile.
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