CARO FASSINO, COL PD CI CONFRONTEREMO, MA PER I SOCIALISTI È UNA COSA ESTRANEA – Risposta di Boselli a Fassino, da il Riformista del 22 febbraio 2007

28 febbraio 2007

CARO FASSINO, COL PD CI CONFRONTEREMO, MA PER I SOCIALISTI È UNA COSA ESTRANEA – Risposta di Boselli a Fassino, da il Riformista del 22 febbraio 2007

Il confronto a cui Fassino invita lo Sdi non riguarda solo il cantiere del Partito democratico ma anche il destino del movimento socialista in Italia e più in generale quello della sinistra riformista. Tra i due aspetti, infatti vi è una stretta interdipendenza. Noto, innanzi tutto, che Fassino ricorda con particolare enfasi il richiamo, contenuto nella mozione di maggioranza al congresso ds, ai leader socialisti. In realtà da parte dei Ds non c’è stata mai una netta rottura rispetto alla storia del Pci e, di conseguenza, una chiara scelta per ricollegarsi alla storia del movimento socialista. Non è proprio possibile mettere insieme Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer con Turati, Nenni, Craxi, De Martino, Mancini,Lombardi e Pertini, nonché - ed è bene non dimenticarlo - Giuseppe Saragat, il rifondatore dell’Internazionale socialista nel 1951. Si tratta, infatti, di tradizioni e storie diverse che non si possono mettere insieme alla rinfusa come se questi leader avessero avuto le stesse idee e convinzioni. Fassino parte dalla storia recente e meno recente dell’Ulivo, nel quale anche noi, come Sdi, ci siamo impegnati, per sviluppare un invito che è in realtà un’aperta polemica. L’idea dell’Ulivo nasce nel nostro Paese da una condizione di sostanziale debolezza della sinistra riformista. Oggi, infatti, i partiti che si riferiscono al Pse arrivano a una percentuale all’incirca del 20%, insufficiente per offrire una alternativa di governo di tipo socialdemocratico europeo. Per questo motivo si è avuta un’alleanza, che è andata dal centro cattolico all’estrema sinistra, che è stata in grado di farci vincere ma la cui eterogeneità, come dimostra il voto di ieri al Senato, rende assai difficile, se non impossibile, governare. Per superare questa situazione da parte di Prodi e Parisi era stato indicato da tempo il progetto dell’Ulivo, per dare un saldo timone riformista alla coalizione.
Fassino fa una serie di osservazioni basate su tre punti principali delle nostre critiche: 1) l’Ulivo non è una somma tra Ds e Margherita; 2) il nuovo Partito democratico ha un carattere laico; 3) la nuova formazione sarà in sintonia con l’unità di tutte le forze progressiste con un rapporto da costruire con l’Internazionale socialista. Ne seguirò passo passo, e criticamente, le argomentazioni. Secondo Fassino, ed è la prima argomentazione, il Partito democratico non sarebbe attualmente una pura e semplice somma di Ds e Margherita ma sarebbe anzi aperto a correnti socialiste, liberali e ambientaliste.
Bisogna ricordare che attorno al disegno dell’Ulivo si sono confrontate due visioni profondamente diverse: l’una rivolta a mettere in moto un processo che portasse a una integrazione tra diversi riformisti e alla costruzione di un soggetto politico davvero nuovo; l’altra, piuttosto insofferente nei confronti del nuovismo, mirava a una pura e semplice unificazione dei vecchi partiti. Quale di queste due impostazioni è prevalsa? Mi sembra che sia davvero difficile dimostrare che l’Ulivo non sia una bicicletta Ds-Margherita se non altro perché non vi sono, oltre a questi due partiti, altri rilevanti interlocutori o soggetti politici. Ma non solo di questo si tratta, poiché si sta arrivando al Partito democratico sulla base della sommatoria di due partiti, Ds e Margherita, così come sono, senza che ci sia stato alcun reale processo di rinnovamento che ne abbia posto in discussione orientamenti e fondamenti.
Fassino, ed è la sua seconda argomentazione, sostiene che il Partito democratico sarebbe lontano da qualsiasi influenza clericale. È questa una delle questioni di grandissima rilevanza per comprendere il cambiamento avvenuto nel progetto dell’Ulivo. La costruzione di un Partito democratico, infatti, presupponeva il superamento dell’idea stessa che nostro Paese i cattolici facciano politica in quanto tali. Si sperava cioè che ciò che era avvenuto prima con il Ppi di don Luigi Sturzo, poi con la Democrazia cristiana dopo il collasso del vecchio sistema politico non avvenisse più. L’idea di fondo era il superamento della questione cattolica come categoria separata e distinta nella politica italiana. La Margherita, nelle ambizioni di Prodi e Parisi, non avrebbe dovuto essere un ennesimo partito cattolico, ma rappresentare una sorta di prototipo del futuro Partito democratico.
Rutelli era stato indicato come leader della Margherita proprio per le sue caratteristiche di estraneità alla storia della Dc: come una sorta di garanzia laica che un partito composto quasi esclusivamente da post-democristiani non avrebbe avuto caratteristiche confessionali. Al contrario, Rutelli si è comportato in modo del tutto opposto alla missione politica che gli era stata affidata. Fassino rammenta solo come Rutelli abbia bloccato il processo di costruzione dell’Ulivo, ma dimentica - e non è un’omissione di poco conto - di citare l’adesione che il leader della Margherita dette all’invito del cardinale Ruini per l’astensione sul referendum per la fecondazione assistita. Eppure è proprio con questo atto che cambiano in profondità le prospettive stesse della Margherita. È questa la scelta che a mio giudizio ha messo in crisi l’Ulivo, almeno nella versione di Prodi e di Parisi, quella alla quale lo Sdi aveva dato la sua adesione.
Non è infatti concepibile un Partito democratico che abbia al suo interno una componente confessionale. Non sottovaluto affatto il documento dei sessanta deputati della Margherita. Ma questo testo è la testimonianza di un problema irrisolto, costituito nel rapporto tra i cattolici che fanno politica e la Chiesa. Non capisco, infine, che nesso ci sia tra il realismo politico con il quale un rivoluzionario comunista come Gramsci indicava il modo in cui lo Stato operaio avrebbe dovuto affrontare la questione vaticana e la prospettiva di costruire un partito con una componente cattolica nella quale molti sono sensibili agli orientamenti delle gerarchie ecclesiastiche. E per inciso ricordo, a tale proposito, che Gramsci considerava anche il Concordato una capitolazione dello Stato moderno.
Infine, ed è questo il terzo argomento di Fassino, il Partito democratico si collocherebbe, comunque, nell’ambito di un processo di riorganizzazione di tutte le forze progressiste, già diverse volte sollecitato dai socialisti italiani e richiamato più volte da Intini, che porterebbe comunque ad un rapporto con il Pse e l’Internazionale socialista. Ciò è vero. Tuttavia un partito democratico, con all’interno una componente confessionale, è quanto di più distante si possa concepire dalla socialdemocrazia europea, e quindi ben difficilmente potrà muoversi verso l’Internazionale socialista e il Pse.
Questo stato di cose rappresentato dalla crisi del progetto dell’Ulivo fa riemergere la questione socialista.
Se il Partito democratico è un aggregato piuttosto confuso dal punto vista politico, allora è necessario trovare altre strade. Noi, con l’esperienza della Rosa nel pugno, abbiamo cercato di dare una risposta ad una offensiva integralista in grande stile delle gerarchie ecclesiastiche, come mai si era vista dalla campagna contro la legge sul divorzio e quella sull’aborto. Della Rosa nel pugno abbiamo esaminato e compreso i limiti, ma al fondo di questa esperienza c’è stata una giusta valutazione di come si pongono in Italia i problemi della difesa della laicità dello Stato.
Ci rendiamo conto che la crisi dell’Ulivo come progetto politico davvero innovativo, e la sua riduzione alla somma di due partiti, richiede una risposta più complessa e ampia di quella che abbiamo dato con la Rosa nel pugno. E proprio per questo avvertiamo la necessità di riportare in primo piano la questione socialista e il suo rapporto con le forze progressiste laiche, liberali, radicali e ambientaliste; e di sviluppare il confronto su una Costituente socialista.
Sappiamo bene che su questa strada bisogna chiarire che la costruzione di una forza legata al socialismo europeo non può coincidere con l’unità delle sinistre, e deve essere portata avanti sulla base di una piattaforma riformista, simile a quella degli altri partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti europei. Si tratta, come si può constatare, di una strada che oggi diverge da quella indicata da Fassino e che tuttavia non impedirà di sviluppare il confronto in atto tra i socialisti e i Ds anche quando i Ds si saranno sciolti e saranno confluiti assieme alla sinistra post-democristiana in un solo partito che si riferirà alla storia comunista e a quella dei cattolici democratici. Non sarà un evento di poco conto, ma sarà sicuramente una cosa alla quale i socialisti italiani continueranno a sentirsi estranei.

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