CARO DIRETTORE, MA PERCHÉ TANTA FRETTA? – di Nuccio Abbondanza, da il Riformista del 29 novembre 2006
04 dicembre 2006
Socialisti 2. Replica all’editoriale di Franchi
Ci invita a parlare o a tacere. Come fossimo semplici testimoni delle nozze altrui. Invece siamo in piena attività
Un soprassalto mi ha colto nel leggere l'editoriale di Paolo Franchi sul Riformista di lunedì per il carattere ultimativo e perentorio, già dal titolo, non connaturato allo stile dialogante, persino mite, del direttore e dell'uomo Franchi, sempre aperto e accattivante.
Diceva Heine essere difficile cogliere il confine tra cielo e ironia, di cui pure è intriso l'appello del nostro direttore, ma il cielo del suo argomentare è corrusco e denso di nubi frettolose e quasi minatorie d'imminenti fulmini sul capo di socialismi e socialisti sbrancati e dispersi senza riparo ancorché dotati di sette vite. L'intimazione sacerdotale del titolo, ma anche conclusiva dell'editoriale («parlate ora o tacete per sempre») suona proprio d'ecclesiale matrimonio cui i socialisti debbano solo testimoniare o partecipare per la costruzione della casa degli sposi. Al di là dell'ironia, perché questa fretta ai socialisti? Franchi stesso attribuisce scadenze a Ds e Margherita al 2009 e notifica forti resistenze, peraltro sotto gli occhi di tutti, non solo di Mussi e Salvi, ma di rappresentanti stessi della ortodossia dalemiana come Angius e Caldarola e molti altri.
Riprendendo il filo della memoria, come brillantemente ha fatto Covatta sul Riformista, ricordando il '56 e gli '80, per sottolineare come ci si confrontasse nel fuoco della lotta politica in Italia e «non davanti a una affiliazione internazionale o su una questione di bioetica» vanno comparati i due disastri socialisti del '76 e del '92; il primo fu di natura strettamente politica: gli «equilibri più avanzati» demartiniani videro i socialisti schiacciati fra Dc e Pci a tutto vantaggio di questi ultimi, ma senza sbocchi politici per il Paese: il Midas e la ripresa dell'autonomia socialista diedero all'Italia lustri di sviluppo, di equità e di prestigio nonostante i gravi errori che ne conclusero il ciclo. Il secondo, com'è noto, pur affondando radici anche in quegli errori, fu il frutto d'un ribaltamento antidemocratico, intriso di giustizialismo e rivalsa di sempre più evidenti poteri economici, intelligenti, mediatici e politici non solo nazionali. Molto più difficile è apparso e appare risollevarsi dal secondo terribile disastro che ha flagellato i socialisti umanamente, oltre che politicamente, sbrancando i sopravvissuti in tutte le direzioni con cicatrici che risultano spesso ancora dolenti (nonostante le sette vite).
I socialisti, pur dispersi, hanno smesso le lamentazioni e cercano una ripresa, quelli che la cercano, non solo e non tanto per sé, ma perché consapevoli, come molti ormai ammettono, anche se ancora reticenti, che i valori del riformismo, del pragmatismo visionario, del fare quotidiano per la collettività nel progetto d'una società moderna, ma libera, rispettosa e tollerante dei valori tutti, laici e cattolici, sono il lievito ideale e concreto dello sviluppo italiano nel quadrante europeo.
Grande parte ancora dell'elettorato socialista, soprattutto nel nord sviluppato, non solo per ragioni economiche, che pure esistono, ha votato Berlusconi, o non ha votato, proprio per quelle cicatrici e reticenze di cui sopra.
Senza attendere alcuna improbabile Bad Godesberg italiana, un gruppo organizzato di socialisti, I Socialisti, hanno rotto, non senza consuete traumatiche divisioni, con Berlusconi per riprendere il proprio ruolo nella sinistra italiana e, pur non presenti in tutte le liste regionali, hanno portato un contributo consistente e decisivo elezione del governo di centrosinistra. Si mette fretta ora, in vista del Partito democratico, a chi «nella sinistra e nel centrosinistra di questo Paese, un suo peso ce l'ha» come sottolinea Franchi nell'editoriale in oggetto che sta per segnare, forse storicamente, la polemica politica di questi tempi. Ma, quale spazio, quale valorizzazione politica ha saputo dare la sinistra a coloro che hanno traghettato consensi, non solo elettorali, (130 mila) da Berlusconi al centrosinistra perché il varco a loro aperto possa risultare davvero attraente per quell'elettorato socialista, attivo e passivo, che ancora, seppure a malincuore, rimane al centrodestra?
Si preferisce qui non far cenno al figlio di Napoleone, ospite riverito, fino al deperimento, della reggia prussiana, ma si vuole piuttosto sottolineare che il gruppo nazionale organizzato de I Socialisti ha dato luogo a uno splendido evento sulla questione meridionale a Napoli con la partecipazione di Fassino e Gentiloni oltre ad altri rappresentanti istituzionali, politici e intellettuali nell'intento di significare la propria presenza costruttiva anche al lavoro di ristrutturazione della sinistra. Perché di questo si tratta: più che delle alchimie bigamiche o poligamiche o di accoppiamenti giudiziosi, direbbe Gadda, oppure dell'«intuizione strategica di grande rilievo di Prodi e Parisi con l'Ulivo» come ha scritto ieri Villetti sul Riformista.
Soltanto uscendo dal bipolarismo malato si può guardare, a sinistra come a destra, a una ristrutturazione istituzionale dello Stato, capace di un rapporto liberale, ma non succubo, con il mercato, con un governo quindi non ricattabile da gruppi marginali che non consentono una forte e chiara direttrice in politica economica, del lavoro, dei diritti civili, dell'istruzione e della ricerca. Liberalizzazioni, precariato, innovazione, lotta allo sperpero dilagante, sicurezza e integrazione necessitano di riformismo socialista e liberale, come la terra l'acqua. Soltanto una grande aggregazione, non d'apparati, ma di impegni e valori diversi, con una rotta nazionale e internazionale chiara di dialogo attivo con l'Europa e i popoli mediterranei può portarci fuori dalle secche di una seconda Repubblica stantia e rancorosa per una ripresa vera che risollevi il nostro Paese dal fondo classifica in cui è stato cacciato.
Questo viaggio I Socialisti l'hanno iniziato con forze modeste ma determinanti ma non certo con la vocazione della ruota di scorta.
membro dell'esecutivo nazionale I Socialisti