CARCERI: LA PICCOLA POSTA di Adriano Sofri da Il Foglio del 5 gennaio 2012
05 febbraio 2012
Il prefetto Cirillo, vicecapo della polizia, ha detto ieri che nelle camere di sicurezza "non è assicurata l’ora d’aria, non c’è il bagno interno nè è prevista la divisione tra uomini e donne, accessori indispensabili per la dignità delle persone”. E ha concluso che “il detenuto sta molto meglio in carcere”. Quanto ai braccialetti elettronici attivi, ha detto che sono “solo 8 e costosissimi. Se fossimo andati da Bulgari avremmo speso meno”. Quest’ultima notizia è formidabile. Quanto alle camere di sicurezza, non ci sono dubbi sull’assurdità del passaggio dalla galera di imputati che ci stanno non più di due o tre giorni. A me è successo di passare per la camera di sicurezza e per la galera. Non direi che il detenuto stia “meglio” in carcere, perché meglio è un comparativo di bene, e sono parole da usare mai per simili soggiorni. E’ però un fatto che le camere di sicurezza sono invivibili, non hanno l’ora d’aria e nemmeno l’aria, non hanno il bagno interno né un qualunque cesso, e per arrivare a una turca disgraziata con la porta spalancata ex officio bisogna chiamare ed essere accompagnati, non hanno divisione fra uomini e donne e altri sessi (piuttosto frequenti in quel genere di transiti), e più in generale non hanno niente, salvo uno sciagurato giaciglio e un muro scarabocchiato di dolore. Liberare la polizia penitenziaria dal carico di quei passaggi assurdi (che prevedono trasporti di andata e ritorno, complicate pratiche di immatricolazioni, assegnazioni alle sezioni eccetera) vuol dire peraltro sovraccaricare le altre forze di polizia. La domanda è: è davvero necessario e ragionevole che le persone arrestate con la prospettiva di stare recluse per uno o due o tre giorni salvi gli esiti del processo siano arrestate?
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