CADUTO IL TIRANNO SI DEVE COMBATTERE LA TIRANNIA – di Alessandro Penati da Il Riformista del 24 dicembre 2005

07 gennaio 2006

CADUTO IL TIRANNO SI DEVE COMBATTERE LA TIRANNIA – di Alessandro Penati da Il Riformista del 24 dicembre 2005

La caduta di Fazio segna per altri versi la fine della seconda repubblica. Finisce la fase in cui l'economia e la finanza sono stati i poteri pressochè assoluti della politica italiana, egemoni sulla politica per propri giochi di potere.

Dodici anni passati invano. Ma è il problema più grave quello che trova meno riscontri nel recente dibattito. Fazio aveva utilizzato il suo potere autoreferenziale e discrezionale per sottrarre al mercato la determinazione della struttura del sistema bancario italiano e la selezione della sua classe dirigente.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Il sistema bancario italiano, dopo dodici anni di tutela e protezione, giustificata col pretesto di promuovere campioni nazionali, soffre ancora di eccessiva frammentazione e nanismo. Le banche hanno lasciato agli stranieri molti dei segmenti all’ingrosso per diventare prevalentemente reti di vendita al dettaglio, che distribuiscono ai risparmiatori prodotti a caro prezzo. E ora faticano a disintossicarsi dalla droga delle alte commissioni. Malgrado tanti sforzi e buoni propositi, il sistema italiano rimane bancocentrico, come dodici anni fa. Nonostante il sistema bancario eserciti un dominio sul risparmio gestito, e il paese abbia uno stock di ricchezza finanziaria tra i più elevati al mondo in rapporto al Pil, la Borsa rimane asfittica (1), ed è servita prevalentemente allo Stato per far cassa, e ai privati per monetizzare partecipazioni di minoranza; non certo per raccogliere i capitali necessari alla crescita. Il mercato del credito non bancario (corporate bond, cartolarizzazioni, derivati su crediti) non è decollato, fermato da abusi e scandali, o utilizzato da banche e Stato più per risolvere i loro problemi di bilancio che per canalizzare risorse al sistema privato.
Sono aumentati gli intrecci di rapporti tra banche e imprese. Un numero crescente di imprese partecipa al capitale azionario delle banche, che a loro volta contribuiscono a perpetuare il controllo di gruppi industriali: partecipazioni che soddisfano logiche di potere, senza creare valore per gli azionisti. Inoltre, privatizzazione e ristrutturazione del sistema bancario, avvenute in gran parte sotto Fazio, sono state asservite alla logica del controllo: così, fondazioni bancarie (singole o in pool), voto capitario nelle aziende cooperative, incroci azionari e patti di sindacato, sottraggono la governance delle banche alla disciplina del mercato e facilitano l’espropriazione dei benefici del controllo agli azionisti di minoranza.
L’approccio dittatoriale di Fazio alla vigilanza non ha impedito in questi anni una lunga serie di dissesti bancari: prima della ex-Lodi, Bipop, Popolare di Novara, Banco Napoli, Banco di Sicilia, Sicilcassa, CaRiPuglia, CaRiCal, CaRiVenezia e tante altre minori. I conseguenti salvataggi sono stati opachi, con la Banca d’Italia che, discrezionalmente, decideva di volta in volta a chi dovesse andare il controllo, invece di tutelare gli interessi di creditori e azionisti con aste e competizioni aperte.
Tutto questo con l’assenso dei più. Nessun despota sopravvive per dodici anni senza il consenso o la connivenza di una parte del paese, e l’opportuno silenzio dell’altra. In tutti questi anni non ricordo che si sia levato un coro di voci critiche. Ma, ogni anno, il gotha del capitalismo italiano si recava in solenne processione a via Nazionale per ascoltare il verbo del Governatore.
La Commissione dell’Unione Europea scopre ora che la legge bancaria italiana conferisce troppo potere discrezionale al Governatore. Meglio tardi che mai. Mi sembra tuttavia che siano le istruzioni di vigilanza, cioè la regolamentazione emanata dalla Banca centrale in attuazione della legge, ad aver fornito la copertura legale all’operato del Governatore. Questa regolamentazione poteva, e doveva, essere messa in discussione ricorrendo ai tribunali amministrativi e alla giustizia europea, come avviene regolarmente con le decisioni di Consob, Antitrust e altre autorità di vigilanza. Ma nessuno lo ha mai fatto, anche quando le fondamenta giuridiche delle decisioni erano discutibili, come nel caso della moral suasion utilizzata per proibire le Opa ostili tra banche italiane. Eppure, né le banche né l’Abi hanno espresso la minima critica: o la vigilanza gli andava bene com’era, o avevano timore di esporsi a ispezioni "di rappresaglia". In entrambi i casi, una spiegazione pubblica sarebbe ora dovuta.
Le banche sono (caso unico al mondo) azioniste stabili di controllo del primo quotidiano italiano (Corriere della Sera): dubito che il controllo dei media faccia parte della vocazione di una banca, ma nessuno protesta. Durante il regno di Fazio, le banche hanno determinato il destino del controllo dei maggiori gruppi industriali italiani (Ferruzzi-Montedison, Pirelli-Olivetti-Telecom, Gemina, Fiat), spesso mettendo in secondo piano i diritti del mercato e danneggiando i loro stessi azionisti di minoranza (il convertendo Fiat, Parmalat e il gruppo Gemina sono solo gli ultimi esempi). Ma nessuno protesta.
E nessuno si è scomposto quando la Banca d’Italia non ha utilizzato i propri immensi poteri per aiutare la Consob a impedire che un banca partecipasse a un’azione di concerto per scalare una società, evadendo l’obbligo Opa (prima di Antonveneta, Mediobanca con Sai nella scalata a Fondiaria); o addirittura li ha utilizzati per promuovere quella di più banche su Generali, per portare alla rimozione di Maranghi. O quando ha permesso a Capitalia, in chiaro deficit di patrimonio e redditività, di fagocitarsi una banca dietro l’altra (ultima, Bipop).
Negli anni della sua dittatura, Fazio è stato il perfetto interprete di un’economia che privilegia il valore delle relazioni rispetto alle forze del mercato, la discrezionalità alla trasparenza delle regole, il dirigismo alla concorrenza, e che usa il pretesto della difesa dell’italianità per proteggere interessi costituiti. Il sistema bancario è stato dunque gestito, con il consenso di molti, con le stesse logiche di molti altri segmenti del nostro sistema economico: l’università è il primo esempio che mi viene in mente.
La rimozione di Fazio potrebbe essere l’occasione per dare uno scossone a favore della concorrenza, del merito e del mercato a tutto il paese. Ma lo sarà solo se il nuovo Governatore avrà la volontà politica e la determinazione necessaria per superare il prevedibile fuoco di sbarramento di gran parte della classe politica e degli interessi costituiti. Altrimenti, tanta credibilità in più e una migliore governance della Banca centrale serviranno a poco.

(1) Numerosità delle società quotate e concentrazione della proprietà non sono cambiate significativamente in dodici anni.

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