BRESCIA - LA SINISTRA RISCHIA DI PERDERE L'ULTIMA ROCCOFORTE CITTA' SIMBOLO da il Riformista del 5 febbraio 2008
12 febbraio 2008
Brescia la leonessa al voto, dopo 10 anni si chiude l'epoca Corsini
Del potere come dei problemi del Nord
Brescia, così lontana eppure così vicina a Milano. Di tutte le città lombarde, la Leonessa è quella che meglio riassume e fa metafora, in sé, dei problemi strutturali del Nord. Della questione settentrionale in tutti i suoi aspetti sociologici, economici e politici. Ultima provincia lombarda prima che, a est, inizi il Veneto, Brescia ha un vasto retroterra agricolo e un'imponente storia di industria medio-grande, soprattutto nel campo dell'acciaio e delle armi. Ma è stata ed è anche il fulcro dell'esplosione delle pmi, dell'esperienza dei piccoli e piccolissimi che "ce l'hanno fatta". E, ancora, di un capitalismo sempre più finanziarizzato ma non per questo meno relazionale, è stata la capitale indiscussa: per la caduca stella dei capitani coraggiosi Gnutti e Lonati, ma anche per quella ben più solida di Giovanni Bazoli e di quella Banca Intesa che si è annessa il San Paolo. E ancora più a valle: Brescia è uno dei punti di snodo geografico della grande congestione padana e, quindi, della carenza e dei ritardi infrastrutturali che il governo Prodi ha cominciato faticosamente a sanare. E ancora, infine, Brescia è stata, tra le città della provincia padana, la prima a conoscere sulla sua pelle, sul suo territorio, quel grande fenomeno della globalizzazione che è l'emigrazione.
Insomma, contenitore perfetto della grande questione del nord e del suo rapporto con il centro, Brescia, con una sola, enorme "falla" rispetto alla politica. Già, perché a Brescia, da ormai dieci anni pieni, governa il centrosinistra nella persona di Paolo Corsini. Abilissimo nello sfruttare le divisioni del centrodestra, da un lato, ma anche, indubbiamente, nel governare una città complessa dall'altro, il sindaco arriva oggi alla fine del suo secondo mandato. La fine di un'esperienza politica forte e in parte originale, almeno rispetto al contesto regionale e territoriale, impone al centrosinistra di guardare con cautela alle prossime elezioni comunali. Sarebbe stato così in ogni caso, ma certo l'effetto potrebbe essere tanto più deflagrante adesso che - salvo clamorosi colpi di scena - ci si avvia a votare anche a Roma. Con Silvio Berlusconi sospinto verso Palazzo Chigi dal vento in poppa.
Grande coalizione alla bresciana
Per un attimo, attorno alla fusione tra i milanesi Aem e la bresciana Asm che ha dato vita ad A2A, lungo un percorso che molto a lungo abbiamo seguito su queste pagine, i "poteri forti" bresciani avevano pensato piuttosto seriamente all'ipotesi di una rottura dello schema politico nazionale. Brescia laboratorio, insomma, per una fine del "bipolarismo di guerra" o, quantomeno, per un nuovo schema politico che garantisse alla grande finanza bresciana - ovviamente coinvolta nel processo di aggregazioni tra utilities - di non perdere il controllo del nuovo gioiello. Se ne parlava già ai piani alti della città la primavera scorsa, a un anno abbondante dalle elezioni comunali, quando si percepiva che la fine del dominio cittadino di un uomo forte difficilmente avrebbe lasciato troppe speranze per il centrosinistra. Poi, però, è arrivata l'accelerazione del processo costituente del Partito democratico, certo non sgradito alla grande finanza bresciana, e la discesa in campo di Walter Veltroni. Le debolezze del governo Prodi non sembravano destinate a franare già su questo 2008 e, pur in un contesto di sostanziale incertezza e di scarso consenso, si è pensato che anche il vecchio schema potesse bastare almeno a provarci. A combattere nella difesa di una delle ultime roccaforti del nordest.
Schema classico
E invece, salvo clamorose sorprese che al momento non sono prevedibili, a Brescia si voterà così, a coalizioni invariate. O meglio: con un centrosinistra frammentato e spezzettato da un lato, come già agli scorsi giri bresciani, e con un centrodestra compatto, magari anche con la Lega fin dal primo turno. Il clima, nella città progressista e liberal, non è esattamente entusiasta, anzi. Ai piani alti più d'uno dice che la sfida è aperta, è tutta da giocare, e non è il caso di fasciarsi la testa, a sinistra, o di cantare vittoria, a destra. La sensazione e la paura di tutti i big del centrosinistra bresciano e lombardo, tuttavia, è che la partita possa anche risolversi senza bisogno di arrivare ballottaggio a tutto favore della Cdl.
Il candidato forzista è un avvocato 45enne di nome Adriano Paroli. Al momento è in Parlamento e - in epoca di piena antipolitica - è, per quanto possibile in Forza Italia, un uomo di apparato. Qualcuno, nel Pd, dice che tutto sommato è il peggiore dei candidati possibili e in effetti attorno al suo nome la coesione di coalizione ha fatto grande fatica ad affermarsi, tanto che l'Udc, fino a prima del riallineamento di Casini dietro alla linea pre-elettorale di Berlusconi, non aveva fatto mistero del proprio malcontento. Sempre dalle parti dell'Udc, peraltro, si attende di capire che effetto possa avere sulle truppe locali la nascita per scissione della Rosa Bianca.
Peraltro, anche a sinistra le dinamiche nazionali sembrano destinate ad avere più di qualche ricaduta. Il Pd, anzitutto. Il suo candidato, Emilio Del Bono, è un cattolico di provenienza margheritina, molto amato nel mondo del volontariato cattolico e dell'associazionismo. La riflessione che qualcuno fa, a bassa voce, nel Pd bresciano, è che Del Bono deve cercare a ogni occasione di marcare la distanza tra sé e chi c'era prima di lui. Ha un compito arduo, raccogliere l'eredità di Corsini in un momento nero per il centrosinistra a livello nazionale. Ma anche quello altrettanto gravoso di "lanciare" il Pd alla prima sfida in un terreno ostile, qual è il Nord. Il punto di partenza, ovviamente, è l'intenzione veltroniana di andare da soli. Grandi pressioni sono però in corso sui socialisti locali che, invece, si vorrebbero aggregare subito per evitare disfatte senza repliche al primo turno. Laura Castelletti, candidata in pectore dei socialisti, finora ha sempre risposto picche anche all'ipotesi di partecipare alle primarie di coalizione e non è detto che un impuntamento socialista su Brescia non possa entrare poi nel tavolo delle trattative - già difficili - per i rapporti tra cosa socialista e Pd a livello nazionale. Tanto più se lo "stand alone" dei socialisti bresciani dovesse contribuire alla vittoria del centrodestra.
Diversa la posizione della cosa arcobaleno che, a Brescia e dintorni, si sta coagulando attorno al lavoro di Maurizio Zipponi. Diversa e distinta dal Pd, negli ambienti della sinistra riformista, la nuova cosa arcobaleno cui Zipponi ha messo seriamente mano gode di maggior rispetto e stima che nel passato. Al primo turno dovrebbe correre sicuramente da sola, con la sua candidata Donatella Albini, una ginecologa molto nota in città e molto attiva nelle campagne per i diritti civili, ma certo non sgradita al cattolicesimo sociale che a Brescia tanto conta. Poi, se ci sarà secondo turno, i suoi voti dovrebbero confluire senza troppi patemi a Del Bono, col quale un dialogo programmatico - ma anche sugli organigrammi - andrebbe intavolato da ben prima delle elezioni. In mezzo, tra i due poli o quel che ne resta, c'è una lista civica pesante, che rappresenta la borghesia bresciana liberale e che, almeno l'ultima volta, era confluita su Corsini.
Il quadro, insomma, è composito e la situazione assai delicata. Brescia, coi suoi centri di potere e per il suo valore
simbolico, non può essere ridotta a una città della provincia del Nord fra le altre. Se dovesse arrivare - come molti, non senza ragioni, temono - una sconfitta, al Nord, la sinistra sarebbe tutta da reinventare. Una volta di più.