BLAIR E LA COSTITUZIONE EUROPEA «UN TRATTATO LEGGERO ENTRO GIUGNO» - di Giuseppe Sarcina, da Il Corriere della Sera del 20 aprile 2007

23 aprile 2007

BLAIR E LA COSTITUZIONE EUROPEA «UN TRATTATO LEGGERO ENTRO GIUGNO» -  di Giuseppe Sarcina, da Il Corriere della Sera del 20 aprile 2007

I cittadini si aspettano risultati pratici sui temi che preoccupano di più: l’insicurezza, l’immigrazione, l’energia, l’ambiente

LONDRA — Tony Blair ha fretta. Nei prossimi mesi lascerà l’incarico di premier dopo dieci anni di governo. Ma prima vuole chiudere un accordo sugli «elementi base», ricavati dalla Costituzione europea, già nel vertice del prossimo giugno. Come spiega in quest’«intervista sull’Europa » rilasciata al Corriere della Sera, in combinata con pochi altri giornali stranieri.
Lei ha dichiarato che un primo ministro britannico deve far fronte a un difficile dilemma: l'isolamento a Bruxelles, l'accusa di tradimento a Londra. Come si è regolato nei suoi dieci anni di governo?
«Quando diventai primo ministro nel 1997, la Gran Bretagna era completamente isolata in Europa. Da allora abbiamo avuto una parte da grandi protagonisti: dalla difesa comune all’energia. Abbiamo chiuso un accordo sul bilancio europeo che era molto, molto difficile e io sono stato accusato, credo a torto, di ogni sorta di tradimento degli interessi britannici ».
Eppure nel suo Paese l’euroscetticismo è sempre più forte. Perché?

«Il Partito conservatore ha perso le ultime due tornate elettorali con una piattaforma euroscettica. La gente non se lo ricorda, ma Margaret Thatcher si presentò alle prime due elezioni, nel 1979 e nel 1983, come leader di un partito europeista. Comunque: i sondaggi mettono in luce lo scetticismo, ma se si chiedesse alla gente se davvero si vuole separare dall’Europa la risposta sarebbe "no". La Gran Bretagna ha due grandi alleati: gli Stati Uniti e la Ue. L’Europa sarà assolutamente centrale nel futuro del mio Paese. Il problema è che i cittadini, non solo quelli britannici, si aspettano risultati pratici sui temi che preoccupano di più: l’insicurezza, l’immigrazione, l’energia, l’ambiente...»
Tutti temi sui quali l’Ue ha difficoltà a intervenire, perché non si possono prendere decisioni a maggioranza. Con la Costituzione si farebbero passi in avanti. Ma lei sta cercando di annacquarne i contenuti. Non è in contraddizione?

«Ma noi appoggiamo il voto a maggioranza qualificata in molti campi economici e sociali. Dove c’è un beneficio pratico noi siamo favorevoli ad adottare il sistema del voto a maggioranza. E in ogni caso non c’è necessariamente bisogno di cambiare le regole per entrare in azione su altri temi. Infatti sull’immigrazione, sull’energia e sull’ambiente l’Ue si è mossa senza alterare le basi legali dell’Unione».
I 27 Capi di Stato e di governo si sono assunti l’impegno di chiudere entro il 2009 il processo di riforma della Ue. Ciò significa che al Consiglio di giugno potreste arrivare a un’intesa su contenuti precisi del Trattato costituzionale?

«Sì, penso che la cosa più sensata sarebbe raggiungere un accordo sugli elementi chiave in giugno, poi, ovviamente, avviare una fase di lavoro sui dettagli e infine procedere con le ratifiche».
Su quali "elementi" si potrebbe arrivare a un accordo già a giugno? La presidenza fissa e il ministro degli Esteri europeo?
«Dobbiamo accordarci sui principi e sui parametri di base, anche se non so dire a quali conclusioni potremmo arrivare su ciascuno di questi argomenti. Sui dettagli, invece, dovrebbe lavorare la conferenza intergovernativa. D’altra parte perché aspettare? Le posizioni dei diversi Paesi non cambierebbero. In giugno, invece noi avremmo già il nuovo Presidente della Francia che sicuramente avrà voglia di dare una spinta a questo processo».
Ma sarebbero necessari ancora dei referendum?

«Guardate, io ho firmato la Costituzione e quindi non ho problemi con quel testo. Però bisogna tenere conto della realtà. Ci sono stati i "no" nei referendum in Francia e in Olanda: ci vuole un bel coraggio per sostenere che altre consultazioni popolari non sarebbero fallimentari. Ecco perché bisogna fare un passo indietro per ripartire. Noi chiediamo un Trattato semplificato che non alteri i rapporti di base tra Ue e i partner. In questo caso in Gran Bretagna, e in molti altri Stati, non ci sarebbe più bisogno di un referendum per ratificarlo».
Il suo probabile successore, il Cancelliere dello Scacchiere Gordon Brown, certo non gode fama di grande europeista...

«Brown è per l’Europa e per le riforme. Quando vengo al Consiglio europeo io rappresento la posizione di tutto il mio governo. Ciascuno di noi è consapevole di quali siano le nostre valutazioni».
Una volta lasciato il governo lei accetterebbe l’incarico di presidente stabile del Consiglio europeo?

«No, no (grande risata). Assolutamente no, grazie. Non fa parte dei miei pensieri. Comunque grazie per il consiglio ».
Quando entrerà nell’euro la Gran Bretagna? Fra cinque anni, fra venti o fra due secoli?

«Non lo so. Quando ci saranno le condizioni economiche, come ho sempre detto. Permenon è un problema politico, ma è sempre stata solo una questione economica. Nei miei dieci anni di governo queste condizioni non si sono realizzate».
L’allargamento della Ue, invece, deve andare avanti?

«Sì. Non ho dubbi su questo. Naturalmente ora è normale che ci sia una pausa. Ma, per esempio, ragionando sul lungo termine, l’Ue rappresenta una grande opportunità per i popoli dei Balcani».
Angela Merkel ha detto con chiarezza che senza nuove regole, l’Ue non può continuare l’allargamento. E’ d’accordo?

«Beh, l’Unione può sempre funzionare in un modo o in un altro. Non parlerei di una precondizione, perché la parola mi sembra troppo forte, ma è inevitabile che l’Europa rifletta sul fatto che le regole siano adatte per una Ue allargata. Quello di cui abbiamo bisogno è una visione politica condivisa: la vera scelta non sarà tra politica di destra e di sinistra. Ma tra "aprirsi al mondo" o "rinchiudersi in trincea". Non dimentichiamo con chi ci dovremo misurare economicamente e politicamente: Cina, Russia, India. L’Europa, in realtà, ha cominciato a capirlo, grazie anche all’opera del presidente Barroso, che sta facendo la differenza».
La differenza rispetto a cosa? Romano Prodi è andato così male come presidente della Commissione?

«No, no. Sto solo dicendo che Barroso è efficace, come lo è stato Prodi. Negli ultimi anni sono cambiate le condizioni politiche per agire. Prendiamo, per esempio, il piano comune sull’energia, su cui Prodi e Barroso la pensano allo stesso modo. Tre anni fa non sarebbe stato possibile».

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