BLAIR. COSÌ HA TRASFORMATO LA SOCIETÀ BRITANNICA – di Anthony Giddens, da Diario de La Repubblica, del 27 aprile 2007

04 maggio 2007

BLAIR. COSÌ HA TRASFORMATO LA SOCIETÀ BRITANNICA – di Anthony Giddens, da Diario de La Repubblica, del 27 aprile 2007

Il paese, che Blair lascia in eredità al suo successore Gordon Brown, è oggi in condizioni decisamente migliori rispetto al 1997, quando andò al potere

Per giudicare realisticamenteTony Blair, nel momento in cui sta per dimettersi,conviene mettere i suoi dieci anni di governo a confronto con quello che hanno ottenuto altri leader politici suoi contemporanei: con i risultati conseguiti da Schroeder in Germania, Clinton negli Stati Uniti, Prodi nel suo primo mandato in Italia, Jospin in Francia, per limitarci a capi di stato o di governo appartenenti alle forze progressiste. Ebbene, da questo confronto Blair esce indubbiamente bene. La Gran Bretagna che il leader del Labour lascia in eredità al suo successore è oggi in condizioni decisamente migliori rispetto al 1997, quando Blair entrò a Downing street. L’economia è in crescita da un decennio e continua a espandersi. L’occupazione è ai livelli più alti d’Europa. Inflazione e altri indicatori economici sono sotto controllo o positivi. Milioni di persone sono uscite dal livello di povertà. Il governo Blair ha inoltre compiuto grossi investimenti nel settore pubblico: il servizio sanitario nazionale è significativamente progredito, i finanziamenti per l’istruzione statale sono stati utili, le infrastrutture pubbliche nel complesso hanno ricevuto la più sostanziosa iniezione di fondi dall’epoca vittoriana.
Un altro aspetto del lascito di Blair è l’attenzione che egli ha riservato a due problemi importanti come la criminalità, o in senso più ampio l’ordine pubblico, e l’immigrazione.
I partiti di centro-sinistra andati al potere in altri paesi europei hanno incontrato serie difficoltà, quando non sono stati capaci di affrontare questi due problemi, che preoccupano giustamente una vasta parte dell’opinione pubblica e dell’elettorato. Blair li ha affrontati senza mezzi termini, battendosi per combattere i comportamenti anti-sociali, ovvero la delinquenza di strada, e per regolare l’immigrazione senza chiudere la porta agli immigrati dei nuovi paesi dell’Europa orientale entrati nella Ue.
Un terzo elemento positivo della sua eredità sono i cambiamenti costituzionali. Blair aveva promesso di cambiare il Regno Unito e lo ha fatto. La “devolution” in Galles, in Scozia, a dispetto della spinta al secessionismo che ha provocato tra i nazionalisti scozzesi, e soprattutto in Irlanda del nord, è stata una riforma importante. Il raggiungimento della pace e apparentemente di un governo congiunto tra protestanti e cattolici in Nord Irlanda resterà anzi come uno dei successi individuali di maggior peso dell’era Blair. Il quale ha portato a compimento anche altre riforme: l’elezione diretta dei sindaci nelle città, che in particolare a Londra fa oggi la differenza col passato; la fine dei seggi ereditari alla camera dei Lord; la legge sulla “partnership civile” per gli omosessuali; l’indipendenza della Corte Suprema. Una serie di riforme che hanno trasformato la società britannica.
Rimane la politica estera. In questo ambito, occorre ricordare che l’impegno di Blair a usare sia la diplomazia che la forza militare, quando necessario, per risolvere le grandi crisi internazionali, ha dato buoni risultati in Bosnia, Kosovo, Sierra Leone, Afghanistan. L’intervento in Iraq, tuttavia, si è rivelato una scommessa rischiosa: una decisione che, col senno di poi, non ha avuto l’effetto desiderato. Sia perché in Iraq non c’erano armi di distruzione di massa, ragione offerta dal governo Blair per entrare in guerra; sia per l’andamento di un conflitto gravido di incertezze.
Personalmente, penso che dieci anni al potere siano abbastanza, e che Blair si sarebbe dimesso comunque, arrivato più o meno a metà del suo terzo mandato. L’eccesso di propaganda mediatica, la tendenza a presentare il Labour come un prodotto commerciale, perlomeno nei primi anni del suo governo, a un certo punto si è rivoltato contro di lui, incidendo sull’entusiasmo iniziale nei suoi confronti. E la familiarità con un leader che resta a lungo al potere crea inevitabilmente disillusione: la gente finisce per concentrarsi non sui risultati ottenuti, che vengono dati per scontati, ma sugli obiettivi non ancora raggiunti o sugli occasionali errori di percorso che accompagnano qualsiasi governo di lungo corso. Ciononostante, è innegabile che le polemiche sull’Iraq abbiano prodotto un’ombra sui suoi ultimi anni a Downing street.

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