BETTINO CRAXI, FORMICA:
13 gennaio 2020
Rino Formica, storico dirigente del Psi: quello in Tunisia fu un vero esilio. "Non è stato un codardo. Aveva un solo timore, essere ucciso in carcere"
Roma, 13 gennaio 2020 - No, non è solo una questione di date. Né del film che sta riempiendo le sale italiane, "Hammamet" di Gianni Amelio con Pierfrancesco Favino. No, il ragionamento da fare è più generale. E Rino Formica, storico dirigente socialista, non si sottrae al confronto: "Vedo che Francesco De Gregori, Staino e tantissimi altri recuperano la memoria di Craxi. Non mi meraviglia. Ho sempre saputo che i famosi conti con la Storia vanno fatti".
Formica,
quando Bettino morì lei che cosa fece?
"Sapevo che stava male. E andai al funerale in Tunisia. Ero molto scosso,
specialmente perché pensavo agli ultimi, dolorosi e tristi, anni della vita.
Proprio in questi giorni ci riflettevo: è mai possibile che la classe politica
di allora gli abbia impedito di curarsi? Penso solo a quella lettera di
Giuliano Amato pubblicata alcuni giorni fa. Già l’inizio è terribile: ’Caro
presidente’. Chiamava così, era il 1999, un uomo con cui aveva diviso gran
parte della sua vita politica. E gli diceva di farsi curare dai bravi medici
tunisini... Roba da non crederci. Morire in esilio. Praticamente solo. E senza
nessuna istituzione al suo fianco...".
Sta
tornando un senso di umana pietà per Craxi?
"Certo, è un elemento importante, non l’unico però".
Intanto
ce ne parli.
"Incredibile la fine che è stata fatta fare a un presidente del Consiglio
italiano malatissimo e costretto all’esilio da una persecuzione...".
Esilio?
"Sì, esilio. Bettino non scappò. Non era un codardo. Aveva solo il timore
che potessero ucciderlo in carcere. Craxi fu l’unico capo di partito processato
con il motto giustizialista del “non poteva non sapere“. Al contrario degli
altri leader che, pur nelle stesse condizioni e con le stesse imputazioni, non hanno
mai avuto attacchi così diretti e individuali. In tal senso c’è un recupero
della figura di Bettino. Perché si è capito che furono consumati atti tribali:
un’umiliante degradazione nonché una terribile degradazione".
E
dal punto di vista storico?
"Qui sta il punto più importante, i conti con la Storia. E cioè che cosa
fu l’Italia che costruì la Prima Repubblica. Fummo paese di frontiera tra Est e
Ovest. E in quel mondo spaccato ci fu necessità di una diplomazia totale.
Nell’Italia dovevano esserci gli stessi amici e nemici che calcavano le scene
internazionali. Bisognava costruire la democrazia con il concorso di tutti. Il
progetto riuscì e, da paese rurale, diventammo la sesta potenza industriale nel
mondo".
Ma
Craxi?
"Craxi entra in scena al congresso socialista di Venezia della fine degli
anni Cinquanta e guiderà il Psi nella grande crisi degli anni Settanta. Diventa
leader al Midas nel 1976, diventa leader assoluto nel 1981 al congresso di
Palermo prima e, nel 1983, quando arriva a Palazzo Chigi. In quegli anni d’oro
compie i suoi errori. Gravi".
Quali?
"In primis l’idea di lasciare il Psi a feudi contrapposti a livello
locale. E poi quella sua paura del vuoto, problema anche di Nenni, che lo
portava a cercare ossessivamente la governabilità. Questo perché era cresciuto
con uomini politici di grande spessore, ma che avevano vissuto il 1919 e il
’21".
Craxi
com’era umanamente?
"Lui era ’totus politicus’. Si scioglieva solo se si parlava di politica
perché era davvero interessato alle ragioni degli altri. Del resto, nulla gli
interessava. Non vestiva alla moda e il suo appartamento al Raphael era un
caos. Leggeva disordinatamente e solo in funzione politica".
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