BERLUSCONI L’AMICO DI CRAXI di Gennaro Acquaviva, da Mondoperaio n°2, Aprile 2009
25 maggio 2009
C’è sempre stato molto controllo nel modo con cui Berlusconi ha parlato di Craxi. Prima e dopo Tangentopoli, prima e dopo la morte del suo “carissimo amico”, lungo tutti i quarant’anni e più segnati dalla loro amicizia, il capo di quello che è oggi il partito egemone della politica italiana ha dedicato al leader del PSI solo poche e scarne parole, quasi sempre guardandosi bene dall’esprimere un’opinione netta sulle sue azioni politiche. Nel momento del suo trionfo, pochi giorni fa, al congresso costituente del nuovo partito, è sembrato quasi che citasse Bettino solo per poter ringraziare Stefania, aggiungendo poi un ricordo assolutamente minore nella vita politica del leader socialista: quello dello sdoganamento della destra missina nel 1983, anticipatore della scelta berlusconiana di dieci anni dopo. Perché questa prudenza, che è spesso sconfinata nella reticenza? La domanda non è oziosa, perché risponde all’esigenza di chiarire chi siano oggi i socialisti che votano per lui, quale rapporto politico essi possano contemporaneamente continuare ad avere con il loro leader scomparso nove anni fa, per quale ragione alla pronuncia del nome di Craxi, pur così minimizzata, quel congresso ha risposto con un moto di entusiasmo che è sembrato sinceramente partecipe. Berlusconi è sempre stato un moderato all’italiana , nel segno dell’intraprendenza e del “mi faccio i fatti miei”. Prima del crollo del sistema dei partiti era un filodemocristiano, ma senza contraddizione amico e sodale di Craxi: filodemocristiano per obbligo pratico e preferenza cattolico-moderata; sodale di Craxi per amicizia e perché “quello era il più bravo sulla piazza”. Nel 1992-93, mosso dal suo istinto pratico, asseconda l’onda giustizialista, con più convinzione dopo che essa appare ormai inarrestabile; subito dopo, preso atto che i comunisti si salveranno, capisce in un amen che deve ormai difendersi da solo. Non si tratta di una mossa azzardata; come dirà lui stesso anni dopo “il mio miracolo non è stato quello di aver messo in piedi un’alleanza ma di aver messo insieme un elettorato senza patria”. Per questo i voti socialisti vanno con lui e ci rimangono; per questo Berlusconi può fare a meno di Craxi, ormai esiliato ad Hammamet: fino alla morte con qualche palpitazione e dopo in tutta tranquillità. è il gruppo dirigente di quello che fu il PSI che gli facilita il compito con ogni mezzo, confermandolo nella sua radicata preferenza a non confondersi mai con quello che è e che rappresenta: non è il suo mondo, non lo è mai stato, con Craxi o senza Craxi. Se accoglie nelle sue file , pur se con molta prudenza e solo dopo averli lungamente provati, alcuni che si sono formati attorno o anche all’interno del PSI, è perché si tratta di personalità “altolocate” ed esperte, capaci di garantirgli insieme affidabilità politica e sostanziale sintonia pratica. Il fatto è che la sua personalità ed il suo messaggio politico stanno da tutt’altra parte. Proprio il suo amico Bettino, venticinque anni fa , seduto su quella stessa sedia che oggi egli considera fonte di impotenza, seppe utilizzarla autorevolmente e con profitto per introdurre rapporti di forza e nuove regole di governabilità nel sistema Italia, in modo da favorire una effettiva capacità di governo utile a sgombrare la fitta rete di ostacoli che all’interno ne impedivano lo sviluppo e la modernizzazione, e rendendo così possibile e praticabile una politica estera né marginale né subalterna. Quel presidente del Consiglio era portatore allora di un consenso misero, appena superiore all’11%; e doveva fare i conti tutti i giorni con due formidabili castelli turriti , protetti e sostenuti da una pluralità di alleati, che dominavano tutta la politica. Il fatto è che quel personaggio non solo aveva una grande fantasia politica, aiutata da una testa ben dura, da un coraggio adamantino e da un entusiasmo trascinatore; era anche un socialista figlio del partito, connaturato con la sua storia, espressione della sua cultura migliore, che aveva piegato anche il sano decisionismo che aveva dentro al confronto ed alla partecipazione di molti. Per questa semplice ragione (e forse anche per la sua stanchezza) Craxi non fu in grado di rovesciare il tavolo della politica quando una trappola tutta partitocratrica come il “patto della staffetta” gli sbarrò la via alla ratifica popolare del suo operato di statista, che un giornale nemico stimò allora, nella primavera del 1987, essere oltre il 65%. A buttare all’aria tutto ci voleva un populista e non poteva (purtroppo) essere Craxi, qualsiasi cosa ne pensassero De Mita e Berlinguer. Alla fin fine, ciascuno raccoglie quello che ha seminato: vale per Craxi, vale per Berlusconi. La questione che oggi è davanti a noi, ma anche davanti all’”amico Silvio”, è se questa storia possa essere vissuta senza sotterfugi e quindi dare buoni frutti. Una crisi come quella che stiamo attraversando cambierà il mondo; anche in Italia la nascita del cosiddetto partito dei moderati potrebbe essere un segnale di stabilizzazione e potenzialmente di buon governo; e sulle ceneri di quello che fu il comunismo c’è lo spazio (ed oggi anche le condizioni) per ricostruire un socialismo democratico e riformista, capace di vivere il presente e forse governare in futuro. Ma sono necessari comportamenti limpidi e vanno dette parole di verità. Per questi fini, il giudizio e l’utilizzo dell’esperienza di Craxi e dei suoi socialisti, lo si voglia o no, è uno spartiacque ineludibile.
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