BENE IL NO AL PD, MA QUESTO NON BASTA - di Massimo L. Salvatori, da Il Riformista del 9 maggio 2007

14 maggio 2007

BENE IL NO AL PD, MA QUESTO NON BASTA - di Massimo L. Salvatori, da Il Riformista del 9 maggio 2007

Condivido pienamente gli interrogativi posti ieri su questo giornale da Emanuele Macaluso a Mussi e Angius. Li condivido a tal punto da sentirmi di dire che le sue argomentazioni coincidono nelle linee di fondo con quelle da me svolte al raduno organizzato a Roma il 5 maggio dalla Sinistra democratica per il Socialismo europeo. Chi guarda alla scena europea non può non osservare che il vento non soffia a favore della sinistra, quali che ne siano gli aggettivi che l’accompagnano. C’è un’aria di crisi, che scoraggia e suscita allarme. E lo sconcerto appare tanto maggiore in relazione al fatto che, mentre siamo indotti a pensare che i problemi che agitano le nostre società - come la precarietà di molta parte del mondo del lavoro, il crescere delle diseguaglianze di reddito, il peggioramento dei servizi sociali, le palesi responsabilità che hanno i grandi potentati economici nel progressivo deterioramento dell’ambiente - dovrebbero giocare a favore della sinistra, assistiamo invece a un movimento di segno opposto, che alimenta due decise offensive. La prima è quella della destra-centro contro il centro legato per amore o per forza alla sinistra; la seconda è invece quella condotta da tutte le altre forze contro la sinistra che comunque si riferisca al socialismo. A far da comune denominatore ai partecipanti al coro è la tesi che questo sia fisiologicamente vecchio e idealmente spento. Si può essere moderni essendo dei neoconservatori, dei neoliberisti, dei neogollisti, dei neoclericali, e via dicendo, ma non socialisti.
Occorre che i socialisti mantengano i nervi saldi. Una decina di anni fa, quando si trovava al governo nella grande maggioranza dei Paesi europei, il socialismo democratico era in sella e appariva moderno. Orbene, se pure la storia corre veloce, non lo fa così tanto da mutare le carte in tavola ogni due o tre turni elettorali. Ciò detto, è un fatto che la sinistra nel suo insieme fuori d’Italia e in Italia attraversa una crisi vera e profonda e incontra difficoltà non contingenti. Non a caso si dice da tutte le parti che occorre mettere in atto verifiche di schieramento, di orientamento programmatico, procedere a un rinnovamento che consenta di ricompattare le energie e di rispondere alle sfide che si profilano. Nel Partito socialista francese la sconfitta appena subita ha spinto i suoi leader ad agitare subito e con forza la parola d’ordine del rinnovamento. Credo che, quando si affacciano crisi di questa portata, si debba essere ben consapevoli che per uscirne non servono più l’abilità manovriera dei capi, l’appello a serrare le file, ma la forza delle idee, la capacità di analizzare le realtà di una società in rapida trasformazione e di tradurre idee e analisi in programmi credibili e capaci di allargare il consenso. Ma vengo alle cose di casa nostra, dove le componenti della sinistra sono tutte in movimento, alla ricerca di punti fermi, coscienti dei rischi che corrono, impegnate nella definizione di una propria identità a confronto con i nodi posti per un verso dalle loro divisioni e per l’altro dalla costituzione del Partito democratico. Essere a sinistra del Partito democratico indica un no, ma non dei sì. È una premessa, ma nulla di più. Vi è un dato positivo: che sia i socialisti di Boselli, sia la Sinistra democratica di Mussi e Angius, sia Rifondazione comunista di Bertinotti (dei Comunisti italiani di Diliberto non saprei dire) avvertono che si impone un generale ripensamento di orizzonti e di prospettive. (...)

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