BARBAROSSA CONTRO GARIBALDI di Roberto Biscardini Avanti della domenica del 13 marzo 2011
05 aprile 2011
Se c’è una ragione in più perché gli italiani facciano proprio il tema dell’Unità d’Italia in occasione del 150° anniversario, è che questa ricorrenza cade in momento particolarmente “malato” della loro vita politica.
Un momento malato e delicato per la vita del paese. Consapevoli che, alla fine di un ciclo, la luce in fondo al tunnel si potrà vedere solo a condizione di riscoprire il senso dell’unità della nazione nella “volontà di vivere insieme”. La cosa non è facile, perché la classe politica ha perso nel corso degli ultimi venti anni punti di riferimento nazionali forti. A sinistra sopravvive dopo il 1992 una classe politica che non si è posta il problema di governare il cambiamento ma si è lasciata galleggiare nella transizione, e a destra sono cresciuti la Lega come forza antiunitaria, che non vuole le celebrazioni dell’Unità d’Italia perché non vuole l’Italia unita, e il berlusconismo come anomala concentrazione di potere nelle mani di un uomo solo, in un’Italia assuefatta alla corruzione, al declino morale, all’accettazione passiva dell’illegalità. Con quali risorse politiche e civili si può costruire una nuova fase di rinascita nazionale, per un paese normale? Questo è il problema dell’oggi. Nel 150° anniversario dell’Unità del paese, dobbiamo essere coscienti che, primo, solo dalla storia dell’Italia unita che si può ripartire per costruire un futuro migliore per tutti gli italiani, secondo, che un’Italia divisa sarebbe un’Italia più debole in Europa e nella competizione internazionale. Piaccia o non piaccia, l’eredità della storia che portò allo stato unitario e i valori fondanti del Risorgimento, indipendenza, libertà e laicità, sono i punti di forza ai quali gli italiani dovrebbero aggrapparsi per pensare di uscire dalle difficoltà con qualche possibilità di successo.
Se il centenario dell’unità cadde nel 1961 in un momento in cui nessuno dei partiti aveva interesse a distinguersi o a dichiararsi ‘non unitario’, oggi la presenza della Lega e il sostegno che Berlusconi le riconosce, pesano su queste celebrazioni come un macigno, ma proprio per questo conviene reagire prospettando un futuro come alternativa sia all’una che all’altro.
Dobbiamo farlo oggi con coraggio. E i socialisti possono dare il proprio contributo. Perché quella storia ha avuto buona parte della cultura socialista come protagonista.
Craxi lo capì per primo quando restituì all’autonomia socialista non solo il terreno della pratica parlamentare, ma anche quello storico e ideologico legato ai nostri valori nazionali. Craxi andando a ritroso nella storia, dando per scontato quanto ci appartenessero già i valori della Repubblica, della Resistenza e dell’antifascismo, (incarnati nelle figure di Nenni e Matteotti) ci obbligò a riscoprire il Risorgimento, dalle Cinque giornate di Milano a Garibaldi e all’Unità d’Italia. Rinverdì il Risorgimento nell’Italia repubblicana quando quei ricordi sembravano lontani e superati. Lo fece per diverse ragioni, per riproporre in un momento altrettanto difficile della vita italiana una prospettiva di speranza nazionale nella riscoperta dei valori di unità del paese, della lotta per l’indipendenza e della lotta per la giustizia sociale. Lo fece sapendo che i socialisti avevano le carte in regola per farlo, diversamente dal Pci, da tutta la sinistra comunista, e dalla DC. Il PCI, nonostante la svolta togliattiana, rimaneva un partito antinazionale. La parola patria e nazione non avevano a sinistra alcuna cittadinanza, e l’avevano poco anche per quei socialisti che erano ancora condizionati da antichi legami unitari a sinistra o dall’esperienza frontista del ’48. Né la DC poteva sentirsi legata al Risorgimento perché fondato sui valori della libertà e della cultura liberale, nei quali faceva fatica a riconoscersi.
Craxi e i socialisti potevano essere diversi, potevano riscoprirsi patrioti e Craxi sapendolo, ripropose nel dibattito politico italiano i valori risorgimentali della libertà e della Patria. Fece riscoprire al popolo socialista l’orgoglio della nazione e il socialismo tricolore. Ancorò il PSI di allora alla cultura del Risorgimento. Legò il PSI a due tradizionali radici risorgimentali: il senso dello Stato senza essere statalisti, la laicità senza essere anticlericali. L’esatto contrario di come si esprime oggi la politica italiana: statalisti senza senso dello stato, papisti più del papa, avendo perso il significato pratico e quotidiano della antica battaglia per uno Stato laico e indipendente.
Le incertezze sono tali, che viviamo in un’Italia in cui la fragilità si manifesta persino nelle contrapposizione delle date da celebrare.
Abbiamo festività nazionali che ricordano alcuni momenti importanti della storia italiana dopo il 1945, ma non ce n’é una anteriore a quella data. Strano Paese, al confronto con la Francia per esempio, che rinuncerebbe a tutto fuorché alla festa del 14 luglio.
E allora spieghiamo alla Lega che rivendicare la festa del 29 maggio come festa della Lombardia nel ricordo della sconfitta del Barbarossa nel 1176 in contrapposizione con la festa dell’Unità di Italia è un’emerita stupidaggine. Primo perché sul tavolo non c’è merce di scambio, secondo perché semmai il 29 maggio 1176, in quanto momento eroico della storia dei comuni, è parte della storia d’Italia piuttosto che di una solo regione.
Ma ritorniamo al punto. Nel filo rosso che unisce Risorgimento, Resistenza e Repubblica bisogna avere tre date storiche riconosciute e da celebrare. Il 25 aprile è chiaro. Il 2 giugno anche. Per il Risorgimento, per la festa dell’Unità d’Italia, la data non c’è ancora. Ma i riferimenti storici sono ed erano già chiari. La data da celebrare, al di là dell’eccezionalità di quest’anno non è il 17 marzo, data della nascita del Regno e dello Statuto, ma il 20 settembre, in ricordo appunto dell’Unità d’Italia, con Roma capitale e con la fine del potere temporale della Chiesa. Festa riconosciuta nel 1895 dal Parlamento italiano come Festa dell’Unità d’Italia, appunto, e poi cancellata da Mussolini per fare un favore al Papa e sostituita con l’11 febbraio in ricordo dei Patti Lateranensi.
Ai fini della nostra identità nazionale e unitaria, anche le date contano.