BANKITALIA: RIPARARE AD UNA PERDITA REPUTAZIONALE DANNOSA PER IL PAESE - di Francesco Robiglio, 26 luglio 2005

03 agosto 2005

BANKITALIA: RIPARARE AD UNA PERDITA REPUTAZIONALE DANNOSA PER IL PAESE - di Francesco Robiglio, 26 luglio 2005

Il coinvolgimento diretto di Banca d’Italia nei contendimenti bancari di questi mesi rischia di consumare, nel volgere di poco, il patrimonio di assoluta autorevolezza che le Autorità si sono guadagnate nel Paese e sulla scena internazionale negli ultimi decenni. D’altra parte, fiducia e reputazione sono soggette a questo meccanismo: ci vogliono anni per costruirle e bastano poche azioni per dissiparle.

Per operato diretto del suo Governatore, ora Bankit si trova coinvolta non solo in polemiche politico-finanziarie che l’avrebbero dovuta vedere estranea e, al più, giudice imparziale (e già questo costituisce un indebolimento del proprio ruolo e della propria reputazione); in aggiunta a ciò, l’operato di Bankit è ora sotto indagine giudiziaria per verificare eventuali irregolarità nella competizione tra istituti di credito per il controllo azionario di altri istituti. C’è solo da augurarsi, per il bene del Paese e per il contributo che il personale di Bankit ha dato in questi anni alla formazione di questo patrimonio reputazionale, che non si debbano riscontrare irregolarità.

Il Paese non aveva e non ha proprio bisogno di tutto ciò; soprattutto con un governo, quello di centro-destra, che si è distinto in questi anni per il costante tentativo di piegare il funzionamento delle istituzioni a interessi particolari, se non individuali. Banca d’Italia non sta dando quell’esempio e quel contributo al Paese in termini di stabilità, di responsabilità super partes e di autorevolezza che in tanti anni e in tante occasioni ha dato e a cui il Paese, anche nei confronti della comunità internazionale, si è ancorato nei momenti di massima esigenza e tensione.

Comunque si concludano la vicenda di Antonveneta e di BNL e le indagini, c’è un danno per Banca d’Italia e per il Paese. L’italianità delle banche, se mai dovesse essere un valore, non è certo stata in questo modo difesa: Antonveneta e BNL resteranno, per ora, italiane ma il sistema finanziario del Paese non può che apparire (o confermarsi?) agli occhi degli operatori internazionali, bizantino, opaco e soggetto a pressioni e forze che i mercati finanziari faticano a riconoscere. E il fatto che questa volta, in questa immagine siano trascinate anche le Autorità di Vigilanza, non è certo una buona cosa.

Il danno per il Paese è duplice quindi: si è perso un argine di prim’ordine all’indisciplina finanziaria che troppo spesso il nostro sistema ha mostrato nella sua storia; e si è indebolita ulteriormente la sua immagine esterna. E tutto ciò mentre il Governo era richiamato dall’UE per la sua blandezza nella gestione finanziaria, la maggioranza lanciava irresponsabili segnali di cedimento sull’euro e alti esponenti del Governo si facevano promotori di indecenti gazzarre nel Parlamento Europeo, di fronte al Presidente della Repubblica, ex-governatore di Banca d’Italia in un periodo di massimo prestigio e servizio al Paese nella storia di questa istituzione. Veramente di tutto ciò non c’era bisogno.

Il danno poi è anche per quelle banche italiane che giornalmente si trovano ad affrontare la concorrenza europea ed americana e per le quali è fondamentale poter proseguire nelle loro strategie e nei loro sforzi per rafforzare la loro presenza sui mercati finanziari e nei business a maggiore competitività e selettività, sostenute da un contesto istituzionale all’altezza. Il rischio di marginalizzazione è più alto e quindi più intensi gli sforzi ora necessari per evitarla.

E’ chiaro che ora occorre porre rimedio a questa situazione. Quello che non è stato fatto negli ultimi 24 mesi, sarebbe opportuno si facesse nei prossimi. Tre interventi appaiono urgenti.

1. Occorre rivedere il meccanismo di nomina del Governatore di Banca d’Italia, introducendo un termine di scadenza, così come avviene in tutti i Paesi sviluppati, senza eccezione alcuna; un termine sufficientemente lungo da svincolare tale nomina dal ciclo politico-elettorale.
2. Occorre separare le funzioni di vigilanza sulla stabilità del sistema finanziario da quelle di tutela della concorrenza, assegnando queste ultime all’Antitrust e lasciando le prime a Bankit, così da evitare confusioni tra controllato e controllore e tra vigilanti e giudici.
3. Occorre fare una legge sul risparmio, che tuteli trasparenza e concorrenza più di quanto oggi avvenga, restituisca fiducia ai risparmiatori nei confronti dei mercati finanziari, riducendo la dipendenza del sistema-Paese dalle Banche, e punisca adeguatamente i comportamenti illeciti.

Tutte cose non fatte; anzi, su cui il Governo ha agito in senso opposto, sull’onda di calcoli politici di basso lignaggio cui peraltro Banca d’Italia non si è mostrata insensibile. E su cui, occorre dirlo, la sinistra e l’Unione si sono mostrati incerti, a volte timorosi e reverenziali, divisi. Questi temi andranno ripresi e c’è da augurarsi che i socialisti sappiano esprimere in materia posizioni più convinte di quanto fino ad ora fatto, anche per garantire che questi temi rientrino a pieno titolo nel programma di politica economica della coalizione per le prossime elezioni.

Sarebbe certamente più utile al Paese, e più pagante politicamente, una posizione ferma su questa materia, rispetto alle molte interviste rilasciate in queste settimane da esponenti vari dell’Unione – e per fortuna non socialisti – per commentare (e tifare) su Ricucci, Fiorani, Unipol e via discorrendo.

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