AUTONOMIA DIFFERENZIATA: NON C’È L’OBBLIGO DI DIRE SI ALLE REGIONI di Alberto Abrami da Pensalibero.it del 29 luglio 2019
29 luglio 2019
Francamente non si arriva a capire dove questo nostro Paese voglia arrivare facendosi male da solo. A meno che non si vogliano creare le premesse per la costruzione della Repubblica presidenziale.
La questione dell’autonomia differenziata regionale è tuttora sul tavolo del Governo, con l’insieme delle pretese avanzate in diverse materie da alcune Regioni; quando, a sentir queste stesse Regioni, l’accoglimento delle loro richieste sembrava cosa ormai fatta , ma che ora il Governo intende, invece, ridiscutere, avendo, del resto, tutto il diritto per farlo, prima di far suo il testo, per poi trasmetterlo al Parlamento. Di qui l’irritazione regionale.
Quello di pretendere un trattamento speciale da parte delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, ma anche da parte di altre che si accoderanno , non trova però una ragione plausibile dopo il massiccio trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni -una vera ubriacatura regionalista- realizzato con la riforma costituzionale del 2001 che ha prodotto effetti giudicati universalmente, in forza della pratica esperienza che è seguita, in modo negativo, non di rado costringendo lo Stato a surrogarsi, per quanto possibile, all’inerzia regionale.
Si dirà che l’autonomia differenziata regionale è prevista dalla legge costituzionale di riforma n.3 del 2001. Il che è vero, ma si tratta solo di possibilità offerta alle Regioni che potrà realizzarsi qualora il Governo sia consenziente e quindi si raggiunga un accordo, o intesa, che la si voglia chiamare. Ma deve esser chiaro, a chi ci legge, che non esiste una previsione costituzionale che obblighi il Governo ad accogliere le richieste regionaliste.
E francamente non si capisce per quali motivazioni alcune Regioni a statuto ordinario debbano ricevere un trattamento distinto dalle altre Regioni. L’unica ragione che potrebbe giustificare questa richiesta è che lo Stato, al quale si vogliono togliere le funzioni, si sia, in quelle aree, mal comportato con la sua Amministrazione periferica, a tal punto da giustificare la sua sostituzione.
Ma non è, comunque, su questa motivazione che si fondono le richieste delle Regioni. Ed in effetti sarebbe davvero arduo arrivare a dimostrare che l’interesse generale abbia tratto vantaggio con l’attuazione dell’ordinamento regionale, quando lo Stato nei suoi Uffici periferici ha dimostrato di emanare il provvedimento amministrativo in tempi ragionevoli avendo a capo degli Uffici persone che hanno vinto un concorso a livello nazionale -ed orgogliosi del proprio lavoro- che li garantisce da pressioni esterne ed, in particolare, dalla pressione dei partiti, così presenti, invece, negli Enti locali, soprattutto, dopo che la riforma costituzionale del 2001 ha soppresso gli organi di controllo previsti dalla Costituzione del 1948.
E ci sarebbe anche da aggiungere, se oltre alla competenza conta anche l’onestà, che la corruzione presso questi Uffici risulta praticamente inesistente, mentre lo stesso non si può affermare per il sistema locale in dominio del regime partitico dove il personale è raccogliticcio per l’assenza, in generale, di concorsi e la stessa amministrazione risulta appesantita dal frazionamento delle competenze attraverso il sistema delle deleghe. Per non parlare poi dell’aumento della spesa pubblica ampiamente dimostrato dalle relazioni della Corte dei Conti.
Allora dove risiede la pretesa regionale di voler estromettere lo Stato nell’esercizio delle competenze amministrative e legislative se non in un atteggiamento arrogante per cui, ad esempio, il reclutamento dei professori deve ubbidire ad una logica regionalista e non a quella del merito valutato in sede nazionale come per le restanti Regioni? Oppure che per l’approvazione del piano paesaggistico venga escluso il parere dello Stato al quale la Costituzione riconosce la competenza esclusiva in materia di ambiente?
Ma come, d’altra parte, giustificare di fronte al Paese -se venissero accolte le richieste regionali- un tale atteggiamento di remissività dello Stato che si piega di fronte ad una pretesa regionale senza fondamento e quindi destinata solo a creare incomprensibili situazioni particolari di bossiana memoria per alcune Regioni del Nord? E come non pensare ancora, e soprattutto, che non venga minata l’Unità nazionale, già abbastanza debole, quando questa andrebbe invece rafforzata ? Potremo ancora parlare di Italia unita quando le Regioni entreranno in concorrenza fra loro nello strappare competenze allo Stato per esercitarle secondo logiche regionaliste piuttosto che essere guidate dall’interesse nazionale ?
Francamente non si arriva a capire dove questo nostro Paese voglia arrivare facendosi male da solo sino al punto di perdere di credibilità di fronte a sé stesso e al concerto internazionale. A meno che non si vogliano creare le premesse per la costruzione della Repubblica presidenziale giustificata dalla necessità di rimettere in equilibrio un sistema che ha bisogno di contrappesi. Idea, del resto, non nuova alla destra.
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