Arfè e Milani, fertile incontro, Un rapporto, tra un laico e un cattolico, cominciato negli anni '50, di Valentino Parlato da il Manifesto del 13.10.2207
16 novembre 2007
Il lungo e forte legame tra un socialista e un prete molto particolare
Un mese fa è morto a Napoli Gaetano Arfè. Era nato a Somma Vesuviana il 12 novembre 1925: gli mancavano 60 giorni a compiere 82 anni. «Negli ultimi anni della sua lunga vita», ha scritto l'indomani Gianpasquale Santomassimo su questo giornale, «ha lasciato molte memorie, molte ricapitolazioni autobiografiche, quasi con la volontà di fissare il ricordo di uomini, di momenti, di storie individuali e collettive per sottrarle all'oblio». Storico del socialismo italiano, Arfè faceva quel suo mestiere con la stessa onestà con cui da cittadino viveva la militanza politica. Senza però mai subordinare il rigore scientifico alla passione ideologica: «Scrivo non già nelle vesti di storico ma di chi è stato partecipe di una storia che ha avuto i colori dell'epopea e l'andamento di una chanson de geste», ha avvertito a proposito di quelle sue tesimonianze.
Una delle più intense e meno note è sul rapporto con Lorenzo Milani. S'incontrano tra la fine del 1952 e l'inizio del '53. Gaetano Arfè, 27 anni, è funzionario degli Archivi di Stato: il ministro democristiano dell'interno Mario Scelba lo ha appena trasferito da Napoli a Firenze per la colpa di essere socialista. Lorenzo Milani, due anni e mezzo di più, da 10 convertito, da 5 prete, è cappellano a San Donato di Calenzano, cintura industriale fiorentina. Lì ha impiantato quella scuola popolare serale che, aperta a tutti i giovani senza discriminazioni politiche o partitiche purché di estrazione operaia o contadina, gli ha subito tirato addosso prima la diffidenza poi l'aperta ostilità dei parrocchiani benpensanti, dei notabili democristiani, di tutti i moderati e di quasi tutti i sacerdoti del circondario. Neppure due anni, e la curia se lo caverà dai piedi «promuovendolo» a Sant'Andrea di Barbiana: un centinaio d'anime in una manciata di case sparpagliate a 500 metri sulle pendici del monte Giovi, senza strada, senz'acqua e senza luce: una parrocchia di cui era già stata decisa e annunciata la chiusura, tenuta invece aperta per esiliarci lui.
Ma la scuola intanto continua. Milani, saputo da amici fidati cattolici e laici di quel giovane storico ateo, socialista e serio, lo vuole a farci lezioni sulla storia del socialismo italiano e sulla questione meridionale. Arfè accetta; ed è per entrambi una bellissima reciproca scoperta d'amicizia.
Milani, com'è suo costume, non la racconta: la vive e la utilizza, si può dire la sfrutta. Confinato a Barbiana dal dicembre del '54. al nuovo amico, diventato parlamentare e direttore dell'Avanti!, chiede prima pareri sull'abbozzo di Esperienze pastorali poi nel '58, all'uscita del libro, una recensione. Infine nel '67, ormai alla vigilia della morte, verifiche di dati e notizie per Lettera a una professoressa che sta scrivendo assieme ai ragazzi. Arfè, secondo il proprio mestiere, analizza e documenta. Comincia già nell'ottobre del '58 recensendo a botta calda Esperienze (Il Ponte, n. 10). Prosegue nel '74 dando una lunga intervista a Neera Fallaci per la biografia che lei sta scrivendo (Dalla parte dell'ultimo) e nel '76 intervenendo assieme a Ernesto Balducci e Giorgio La Pira in un film di Ivan Angeli (Don Milani). Conclude nel '95 con «Una testimonianza» sulla Nuova Antologia (n. 2194). E alle sortite pubbliche accompagna una costante attenzione privata, nelle conversazioni, nella corrispondenza con gli amici e negli incontri coi giovani, sempre più frequenti negli ultimi anni: vedere le due lettere presentate qui accanto.
Ma come e perché un ateo, socialista di fede politica e storico di mestiere, può avere una consonanza così intensa e un rapporto così coinvolgente con un prete dall'ortodossia tanto rigorosa, quasi ossessiva? E, specularmente, come e perché quel prete può avere un rapporto di fiducia e di stima incondizionate oltre che di interesse culturale con un intellettuale non credente? Quale minimo (o massimo?) comune denominatore li unisce? «Quanto profondamente ha studiato il libro il socialista Gaetano Arfè. Lui davvero lo ha capito più di ogni altro», scrive Milani a Giuseppe D'Avack, il vescovo autore della prefazione a «Esperienze pastorali». E in polemica con la feroce stroncatura di Civiltà cattolica che preannuncia la censura del santo offizio, precisa: «Lui certo non trova nessun contrasto tra ciò che lei dice dell'obbedienza e ciò che si legge tra le mie righe. Di me infatti dice che "scrivo mell'àmbito della più rigorosa ortodossia dottrinale e della più rigidamente intesa disciplina ecclesiastica"». Arfè e Milani, insomma, incarnazioni di quelle «due culture», laica e religiosa, che ostinatamente il nostro Filippo Gentiloni esorta a finalmente incontrarsi.
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Il carteggio
Gaetano Arfè ha sempre seguitato da studioso e da cittadino a interessarsi di don Lorenzo Milani e delle sue due scuole, senza mai modificare la propria miscredenza laica. Il giornalista Pecorini, un altro laico non credente, non convertito e non convertendo nonostante il privilegio di un'intensa amicizia con don Lorenzo. aveva mandato ad Arfè due libri. Uno era il suo «Don Milani! Chi era costui?» (Baldini & Castoldi), un saggio-testimonianza con acclusa la registrazione di due conversazioni col priore. L'altro «I care ancora», raccolta da lui curata di scritti milaniani: «Lettere, progetti, appunti e carte varie inedite e/o restaurate», con acclusa la videocassetta di un documentario sulla Scuola di Barbiana. Arfè con le due lettere inedite ringrazia, oltre Pecorini, il comboniano Ottavio Raimondo, responsabile dell'Emi, editrice dell'«I care», che glielo aveva spedito direttamente.
(senza data, ma entrambe col timbro postale del 6 febbraio 2001)
Reverendissimo Padre Raimondo,
le sono assai grato del libro che ha voluto inviarmi. Don Lorenzo, mio coetaneo, ha esercitato su di me un influsso assai forte.
Nella mia formazione che considero ancora non conclusa - finché si è vivi si deve esser capaci di assimilare esperienze nuove - egli ha lasciato un'impronta rimasta incancellata.
Ne ho parlato molte volte con amici e studenti di diversa età - una volta in un teatro napoletano gremito di studenti, provenienti da una scuola media a lui intitolata che organizzarono l'incontro convogliando ragazzi anche da altri istituti.
Fu quella la prima volta che misi per iscritto i miei ricordi e mi permetto di inviarle il testo. Mi ritorna frequente il progetto di riscrivere e ampliare quelle pagine , ma dubito che le mie condizioni presenti me lo consentano.
Voglia comunque accogliere con indulgenza queste poche pagine e credere al sentimento di amicizia che mi lega a quanti furono amici di don Lorenzo.
Suo Gaetano Arfè
Caro Pecorini,
mi scuso del ritardo, ma ho avuto giornate molto pesanti. Mia moglie è allo stadio finale della sua malattia e la mia capacità di resistenza è pressata dagli acciacchi e dagli anni.
Dei due volumi e della cassetta le sono veramente grato. Ho potuto dedicare alla lettura, finora, solo qualche ora e sento il desiderio, direi il bisogno, di leggerli impegnandovi tutto il tempo necessario quando si leggono libri di cui ogni pagina va pensata e «assorbita». Non è un complimento. Con la sincerità che il ricordo di don Milani mi impone, le dico che ho trovato magistrale la tecnica con la quale ha costruito il suo lavoro e affascinante la lettura delle sue pagine. Nessuna delle cose che letto su di lui ha la forza e la freschezza delle sue pagine. Se mi sarà possibile ne scriverò in qualcuna delle riviste semiclandestine che mi ospitano di tanto in tanto. Dovrei avere ancora qualche lettera di don Milani, tra le mie carte colpite a suo tempo da un attentato dinamitardo e successivamente dal crollo di un intonaco. Se riesco a trovarle gliele farò avere.
Grazie ancora, e mi abbia, con grande amicizia
Suo Gaetano Arfè