APPARTENGO AL SOCIALISMO EUROPEO, NON AL SUO AMBITO. ECCO PERCHÉ NON STARÒ NEL PARTITO DEMOCRATICO - di Emanuele Macaluso, da il Riformista del 13 febbraio 2007
19 febbraio 2007
C'è o no una ragione per definirsi socialisti e c'è una differenza tra il riformismo socialista e gli altri riformismi, cattolico e liberal-democratico? La questione non è nominalistica ma di sostanza politica. La discussione fu già fatta dopo la svolta della Bolognina e la nascita del Pds. La scelta di un nome richiama infatti una storia, una tradizione, dei valori che l'hanno contrassegnata, una politica che qualifica la realtà in cui viviamo. Altrimenti non si capisce perché fu cambiato il nome del Pci e dopo la svolta fu respinta la proposta di Natta, Ingrao, Tortorella e altri di chiamarci «comunisti democratici». Era la sostanza politica che quel sostantivo richiamava che veniva respinta. Tuttavia in quell'occasione non fu accettato il nome che richiamava il socialismo europeo. In ogni caso, però, il nuovo partito si qualificava con una parola che indicava una storia e un progetto politico: «Democratici di sinistra». Oggi si vuole abolire la parola «sinistra». Non ha alcun significato? Se non è essenziale, perché abolirla?
Ma torniamo alle ragioni del socialismo democratico. Se, ad esempio, il partito del Congresso indiano di Sonia Gandhi ha sentito l'esigenza di stare nell'Internazionale socialista, un motivo ci sarà pure. Penso che le ragioni di quell'adesione vadano ricercate nel fatto che gli enormi problemi posti dalla globalizzazione non possono essere affrontati né con il negazionismo dei no-global né con un'adesione acritica. In questo mondo che cambia, la storia, i valori e i programmi del socialismo democratico emergono con grande forza. La questione sociale nella globalizzazione può e deve essere la nuova frontiera del socialismo democratico. I cui valori e programmi in Europa sono riemersi negli anni in cui il vento della rivoluzione conservatrice sembrava che dovesse spazzare via le conquiste sociali, a partire da quel welfare novecentesco, che è stato difeso, rinnovato, aggiornato proprio dal socialismo democratico, attraverso un nuovo “compromesso” tra sviluppo economico e istanze sociali, che guardasse al futuro e alle nuove generazioni. Ed è stato proprio il socialismo democratico a fornire risposte laiche e incisive alla domanda di nuovi diritti sollecitati dalla modernità e dal progresso scientifico, attingendo a quei valori che si ritrovano in una storia in cui il rispetto della persona e le libertà individuali (come il culto) si sono coniugate sempre con l'interesse generale e la laicità dello Stato.
Su questi temi (welfare, diritti) la revisione critica e il rinnovamento del socialismo europeo hanno portato soluzioni più avanzate della “novità”, tutta italiana, proposta col cosiddetto Partito democratico. Non ne faccio una questione ideologica ma politica: rileggendolo, non cambierei una sola virgola del giudizio che la settimana scorsa ho espresso sul documento del segretario Fassino. Nel frattempo, il rito congressuale dei Ds presenta davvero poche novità: una mozione firmata da tanti e da tante sponde, un grande assemblaggio attorno al segretario come vuole la tradizione comunista. C'è di tutto. Ci sono anche le firme di compagni che con me hanno condiviso tante battaglie politiche nell'area riformista, anche quella per la fondazione e la redazione della rivista che non a caso chiamammo Le nuove ragioni del socialismo. Ci sono momenti in cui una persona è chiamata a prendere decisioni individuali che coinvolgono la propria storia. Rispetto le scelte diverse dalle mie quando non sono frutto di interessati opportunismi. Per quel che mi riguarda non starò in un partito che non appartenga al socialismo europeo (non «negli ambiti»). E non in nome di un'appartenenza a una storia, quella della sinistra in cui milito da 66 anni (anche se per me ha un significato e un valore), ma per il ruolo che esso, il socialismo democratico, è chiamato a svolgere in Europa e nel mondo.