ANCORA E SEMPRE SOCIALDEMOCRAZIA di Jacopo Perazzoli da Avanti! luglio 2020
12 luglio 2020
Il fatto compiuto non può considerarsi come non avvenuto: spunti per la socialdemocrazia al giorno d’oggi
Uno dei passi più celebri di Plauto recita Factum infectum fieri nequit, ossia il fatto compiuto non può considerarsi non avvenuto.
Questa massima sembra calzare a pennello per comprendere al meglio gli ultimi due decenni della storia della socialdemocrazia europea. Gli anni Novanta – come hanno spiegato gli storici e i politologi – hanno coinciso con la messa a sistema della terza via, plasmata prima di tutto dalla riflessione di Anthony Giddens e ispiratrice della stagione del New Labour di Tony Blair e della Spd guidata da Gehrard Schröder.
Con l’arrivo degli anni Duemila e, soprattutto, con l’esplosione della crisi del 2007-2008, qualcosa è sembrato mutare. Tanto il Labour quanto la Spd riscoprirono vocaboli e formule della loro tradizione politica: nel congresso di Manchester del 2008, gli inglesi enfatizzarono il concetto di equità e difesero con forza il Servizio Sanitario Nazionale; nel congresso di Berlino del 2008, i tedeschi rimisero al centro della loro agenda l’interventismo statale in economia con il proposito di regolare il capitalismo che aveva condotto alla crisi.
Ma oltre alla ritrovata radicalità nelle dichiarazioni programmatiche, Labour e Spd erano accomunati anche da un altro aspetto: alle prese di posizioni non seguì la predisposizione di alcun progetto concreto volto a modificare in profondità i meccanismi economici globali. Insomma, al di là dei programmi, rimasti sulla carta, nel corso del primo decennio del ventunesimo secolo, i socialdemocratici – ed ecco i lunghi effetti della “terza via” – ambivano al massimo a rendere “decente” il capitalismo. Era, questa, una rottura evidentissima con la prassi socialdemocratica novecentesca: anziché mettere a punto un’ipotesi di futuro, ci si limitava al piccolo miglioramento della quotidianità, con l’aggravante di non accorgersi che quella quotidianità andava bene ad un numero sempre più ridotto di persone e di potenziali elettori.
Non si può nascondere che anche oggi, nel 2020 segnato dall’emergenza sanitaria, le chances di ripresa, per non dire di rinascita, della socialdemocrazia passino giocoforza dalla capacità di riacquisire una visione di lungo periodo volta a tratteggiare i contorni di una nuova prospettiva sociale: così facendo, i partiti socialdemocratici, socialisti e progressisti potranno dismettere i panni degli agenti dell’establishment, proprio quando l’establishment è divenuto ormai sinonimo di distanza dalle problematiche della quotidianità.
Ciò non vuol dire ragionare soltanto in termini di agenda di governo. Significa proseguire nell’esercizio, certamente complesso, finalizzato ad individuare le giuste formule attraverso cui ridare spazio ad alcuni temi centrali del variegato mondo riformista, ossia la democrazia economica, il diritto del lavoro, la lotta alle diseguaglianze. Rimettere mano a questi lemmi consentirà alla socialdemocrazia di mettere a fuoco un duplice proposito: da un lato, essere alternativa – e competitiva in chiave elettorale – ai populismi; dall’altro, bloccare l’arretramento della condizione sociale.
Come la lunga storia socialdemocratica insegna, non bisogna giocoforza rinchiudersi nell’elaborazione di programmi di governo, bensì serve impegnarsi nella predisposizione di programmi “dai tempi lunghi”, all’interno dei quali l’elettore, spesso disilluso e spaventato, possa trovare le linee di una società alternativa e di un modello di sviluppo che metta in discussione il capitalismo odierno.
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