ANCHE AL SENATO ADOTTIAMO IL TESTO DELLA CAMERA di Gaetano Azzariti da Il Manifesto del 27 settembre 2017
27 settembre 2017
Legge elettorale. La versione emendata dalla Consulta non è priva di difetti (capilista bloccati) ma è a vocazione proporzionale, con sbarramento al 3% e voto residuale di preferenza
Nella discussione sui sistemi elettorali l’unico criterio di giudizio è
quello della convenienza, ma cosa convenga nessuno lo sa. Si susseguono ipotesi
prive di coerenza, promosse in modo schizoide dai medesimi soggetti ispirati da
principi contradditori.
In effetti, abbiamo visto gran parte degli esponenti politici assumere le più
diverse parti in commedia, passare da un sistema ad un altro sulla base di
considerazioni esclusivamente tattiche. È stato anche esplicitamente confessato
di ritenere irrilevante la scelta del sistema elettorale. Partiti
tradizionalmente a vocazione maggioritaria si sono fatti d’improvviso promotori
di modelli a base proporzionale al solo fine di conseguire un obiettivo di
breve periodo, quello delle elezioni subito; per poi, cambiato il vento,
tornare a proporre sistemi altamente distorsivi con lo scopo tattico di poter
favorire coalizioni insincere. Presentarsi assieme solo per godere di vantaggi
immediati (abbassare le soglie, essere premiati nella distribuzione dei seggi),
senza porre però alcun vincolo politico. Il giorno dopo le elezioni ciascun per
sé.
In questo modo la legge che più di ogni altra qualifica le nostre democrazie
sembra essere diventata solo una modalità tecnica per tradurre voti in seggi,
esclusivamente finalizzata a definire un risultato, ottenuto il quale si può
ripartire come se nulla fosse mutato. Non penso sia così.
Una legge elettorale è anzitutto espressione di una specifica visione di
democrazia. Così dovrebbe essere chiarito che le logiche politiche,
istituzionali e costituzionali della “democrazia maggioritaria” non sono le
medesime di quelle collegabili ad una diversa “democrazia pluralista e
conflittuale”. È su questo crinale che dovrebbe svolgersi la discussione.
È per questa ragione che l’adozione di un sistema elettorale a base
proporzionale è da considerare con grande favore. Non per ragioni tattiche (non
sarà una legge elettorale a far nascere una forza politica a sinistra), bensì
perché interromperebbe la lunga stagione “maggioritaria” che abbiamo combattuto
per anni, in nome della rappresentanza reale. Sarebbe questo il primo
importante risultato della vittoria del referendum costituzionale che, assieme
alle due storiche sentenze della Consulta sulle leggi elettorali, hanno
indicato la rotta. Dopo la governabilità a tutti i costi (la legge elettorale
serve a scegliere chi governa) ora è il tempo della razionalizzazione della
rappresentanza (la legge elettorale serve a scegliere chi ci rappresenta).
Le forze politiche maggiori preoccupate di regolare i conti interni non
sembrano molto disposte a ragionare in base ai principi. Così, alla base
dell’ultima proposta, come viene spudoratamente affermato, si pone l’esigenza
del momento di Renzi e di Berlusconi di permettergli coalizioni senza impegno con
alleati refrattari. Sarebbe meglio tenerci la pur incoerente legge vigente alla
Camera dei deputati, che, dopo l’intervento della Corte costituzionale, un
impianto proporzionale lo contiene. In realtà anche la legge elettorale per il
Senato ha una base proporzionale, sebbene essa assoggettata a distorsioni che
ne stravolgono il carattere.
Nessuno può però pensare che si possa star fermi, in attesa magari che i
franchi tiratori affossino anche l’ultima proposta. Proprio le due distinte
decisioni della Consulta, che hanno fermato le pulsioni maggioritarie estreme e
aperto la porta per una riflessione più equilibrata sulla rappresentanza
politica, hanno anche posto il principale problema di democrazia, rappresentato
dalla insostenibilità di due sistemi tra loro incompatibili. Una nuova legge
elettorale è necessaria, dunque. Ed è indispensabile che siano le Camere ad
approvarla prima della fine della legislatura. L’ipotesi – pur ventilata – di
un decreto legge del Governo che armonizzi i due sistemi rappresenterebbe un
grave vulnus costituzionale e un pericolosissimo precedente: si dimostrerebbe
l’impotenza del Parlamento a svolgere le sue funzioni, anche nei momenti
topici. Esautorato prima dal giudice costituzionale ora alla mercé del governo,
l’organo legislativo verrebbe privato di legittimazione autonoma. A quel punto
secondario diventerebbe anche il sistema di scelta dei suoi membri.
Questa la stretta nella quale ci troviamo. Le forze più consapevoli delle
gravità del momento credo non possano accettare nessun ultimatum o resa, bensì
guardare all’essenziale per cercare di salvare il sistema parlamentare, e con
esso una certa idea di democrazia. Si faccia di tutto, allora, per spingere
questo Parlamento a fare il proprio mestiere approvando una nuova normativa che
armonizzi le due leggi attualmente vigenti, come invita da tempo a fare il
Presidente della Repubblica. Si prenda a testo base l’attuale legge della
Camera e si estenda al Senato la sua disciplina. In fondo è questa l’ultima
legge approvata da questo stesso Parlamento. La versione attuale emendata dalla
Consulta non è certo priva di difetti (pluricandidabilità, capilista bloccati),
ma appare contenere alcuni pilastri in grado di sostenere una democrazia
rappresentativa (impianto a vocazione proporzionale, sbarramento al 3%, voto
residuale di preferenza). L’estensione al Senato della legge per la Camera
imporrebbe inoltre l’eliminazione della soglia del 40% superata la quale una
lista otterrebbe la maggioranza dei seggi. Oggi questa soglia rappresenta solo
un feticcio (nessuno si illude di conseguirlo), ma contiene in sé
un’irrazionalità di sistema, rappresentato dall’insopportabile rischio di una
diversa maggioranza tra Camera e Senato (nel caso di “premi” assegnati a due
liste diverse) con la conseguente paralisi del sistema parlamentare nel suo
complesso. Meglio evitare.
La legge della Camera, estesa anche al Senato, non è certo la soluzione ideale.
Ma in questo momento si tratta solo di tenere aperta una porta perché un
prossimo Parlamento possa pensare ad una legge elettorale finalmente conforme
alle ragioni della democrazia pluralista e conflittuale.