AMPIE ALLEANZE PER RICOSTRUIRE UN PAESE DECENTE, di Alberto Benzoni, da l’Avanti della domenica N.40 del 5 dicembre 2010

17 dicembre 2010

AMPIE ALLEANZE PER RICOSTRUIRE UN PAESE DECENTE, di Alberto Benzoni, da l’Avanti della domenica N.40 del 5 dicembre 2010

Dopo il 15 dicembre. La conclusione miseranda di un ciclo politico culturale
Scenari? Ma quali scenari? Il Cavaliere ne ha in mente uno solo: le elezioni, con l’attuale legge e lui al governo. E, a questo fine, è deciso a dimettersi anche in caso di maggioranza risicata.
Lasciamo perdere allora il “mercato delle vacche, con i suoi annessi e connessi. Perché, se non mancano le vacche, non c’è il mercato. Se avesse voluto veramente allargare la sua maggioranza, il Nostro avrebbe dovuto ricorrere non ai Pionati o alle Santanchè, ma ai vecchi e gloriosi arnesi democristiani; ma questi gli avrebbero spiegato che per ricostituire il centro-destra su basi nuove e più larghe sarebbe stato necessario un suo passo indietro: una roba per lui inconcepibile.
Si dirà che il Capo e i suoi seguaci non si sentono più a Roma e nel suo “teatrino” ma piuttosto a Salò, opportunamente ribattezzata capitale della Padania. E nel quadro che offrono le analogie sono impressionanti: dagli ex gerarchi ringiovaniti nella pugna alle ausiliarie dalla grinta feroce; dalle adoratrici del Capo, in lotta feroce tra loro, alle cricche di ogni risma.
Un quadro miserevole; ma in cui non c’è né grandezza né tragedia. Perché all’orizzonte non ci sono plotoni di esecuzione o piazzali Loreto, e nemmeno eserciti alleati che garantiscano, comunque, la vittoria dei nemici. C’è, insomma, la conclusione miseranda di un ciclo politico-culturale (ieri, Baget e Colletti; oggi Santanchè e Stracquadanio); ma ciò non comporta necessariamente l’uscita di scena del suo protagonista. E, nell’ordalia elettorale che si avvicina, a rischiare, e in modo terribile sarà l’Italia, con le sue istituzioni e la sua stessa convivenza comune; mentre il Cavaliere rischia un semplice mutamento di residenza.
E qui l’opposizione ha assoluto bisogno di due cose: chiarezza di propositi e tempo per realizzarli.
Il secondo è comunque garantito- anche se in piccola misura- dal nostro ordinamento costituzionale. Perché una crisi di governo non può innescare automaticamente nuove elezioni, dateo che occorreo preventivamente verificare l’esistenza di esecutivi in grado di disporre della necessaria base parlamentare.
Una verifica che sarebbe più agevole se, come annunciato, Berlusconi si dimettesse dopo avere strappato di strettissima misura il consenso della Camera. Perché, a quel punto, Napolitano potrebbe “verificare” su di una ipotesi precisa: la possibilità di ricostituire, su nuove basi e con un nuovo leader, la maggioranza di centro-destra.
Naturalmente, questo esercizio non porterà da nessuna parte; perché un nuovo centro-destra nascerà, se nascerà, solo dopo la caduta di Berlusconi. Ma servirà comunque a guadagnare tempo; o più esattamente il tempo necessario per un accordo sulla modifica dell’attuale legge elettorale: a partire dall’introduzione di una soglia minima- diciamo dal 40% in su- per ottenere il premio di maggioranza.
Quanto basta, nell’immediato (almeno secondo i sondaggi), per far perdere a Berlusconi le prossime elezioni. Quanto basterebbe, in prospettiva, a mutare il sistema politico italiano: via il bipolarismo muscolare amministrato e interpretato dal Cavaliere e al suo posto un assetto tripolare il cui il nuovo centrodestra sarebbe, per varie ragioni, portato a confrontarsi con la sinistra.
Una rivoluzione che non può essere introdotta alla chetichella, all’insegna di una operazione inconfessabile, ma ciò ci riconduce a Bersani ed al suo scontro con Vendola.
Sinora, la ‘narrativa’ del confronto è stata affidata al governatore; all’insegna, di sapore vagamente berlusconiano, del “popolo contro i partiti e le loro segrete stanze”; e ancora, del sogno contro il grigiore burocratico.
Sarebbe allora il caso raccogliesse la sfida, spiegando non a Vendola o ai nostri militanti ma al popolo italiano: che non siamo al 25 aprile con la vittoria dei buoni contro i cattivi e degli operai contro Marchionne, ma agli anni del dopoguerra, con la necessità di ricostruire dalle fondamenta un Paese diviso, corroso e malato; e che questa ricostruzione, negli stessi principi che la sostengono, ha bisogno del coinvolgimento di tutti; e, infine che, per dirla tutta, non si può attendere passivamente il salvatore di turno, ma assumersi in prima persona, promuovendo le più ampie alleanze, il compito di ricostruire un paese decente.
E’ bene ricordarsi, in conclusione, che nell’eredità berlusconiana c’è anche l’immiserimento di tutto, dalle persone ai problemi. Una corsa verso il basso che dobbiamo assolutamente arrestare.

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