AMMINISTRATIVE VERSUS EUROPEE? di Gim Cassano, 13 giugno 2009

09 luglio 2009

AMMINISTRATIVE VERSUS EUROPEE? di Gim Cassano, 13 giugno 2009

Il risultato delle elezioni amministrative (moltissime province ed alcuni grandi Comuni, tra cui Bologna, Padova, Firenze, Bari) conferma quanto era già stato osservato a proposito del voto europeo: la capacità espansiva della maggioranza risiede nella Lega, e l’immagine personale e politica del capo del governo ne esce ammaccata. In altre parole, è grazie alla Lega, e non al cavaliere, che oggi il berlusconismo avanza nei territori.
In quanto al PD, ne esce con una falcidia di comuni e provincie ben più ampia di una perdita di consensi alle europee (-7%) che in altri tempi avrebbe fatto da sola titolare ogni quotidiano con un’unica parola a tutta pagina: “tracollo”; ma il fatto che questo risultato fosse ampiamente atteso, ed anzi previsto da alcuni in termini ancor più gravi, anche all’interno del PD, ne ha ridotto l’impatto mediatico; e, con buona probabilità, ne attutirà anche le conseguenze sulle scelte politiche interne ed esterne. Aiuta in ciò il fatto che la dèbacle delle amministrative è più facilmente mascherabile di quanto non lo sia un voto riassumibile e comparabile con quello di un anno fa mediante una semplice variazione percentuale: le specificità locali, la frammentazione di un voto espresso su miriadi di liste “collegate” diverse da luogo a luogo, la difficoltà di ricavare un quadro unico facilmente percepibile sono altrettante ragioni per poter mascherare l’ecatombe di Comuni e Provincie. Ed aiuta a calmare le acque interne il fatto che nessuno dei colonnelli del PD ha convinzioni precise sul da farsi per superare la crisi.
Resta il fatto che la sconfitta è pesante, e che deve preoccupare, oltre che il dato numerico, quello qualitativo della recisione del legame tra partito e territorio in aree vastissime del Paese: come sulle amministrative si misura la vera avanzata della Lega, sulle stesse si misura il vero e più grave aspetto della sconfitta del PD.
L’altro aspetto importante è che, pur limitandosi a misurare il progresso della Lega rispetto ad uno e non a cinque anni fa, questa avanza ancora in maniera significativa nelle regioni sinora considerate più sicure dal centro-sinistra (Emilia, Marche, Toscana).
Il PD, e con esso tutto lo schieramento di centrosinistra, perde Comuni e Provincie, se ne riducono le percentuali e le rappresentanze elettive nei Consigli Comunali e Provinciali: è un “popolo” intero che viene meno; per un partito che doveva essere costituito da cittadini-elettori, è un bel risultato. Eppure, nella media, gli amministratori del centro-sinistra, dove c’erano, non hanno operato male (casi campano ed abruzzese a parte), o comunque non peggio dei loro competitori della destra; e, sempre parlando in termini “medi”, le loro qualità personali non sono certo inferiori a quelle dei loro avversari.
Ritengo si possa partire da una considerazione: il voto europeo, riferito o no che sia a questioni nazionali od europee, è eminentemente motivato da considerazioni di politica pura, dall’immagine e dalla credibilità dei leaders nazionali, dalle opinioni che gli elettori si formano in rapporto alle proposte politiche generali e di lunga prospettiva che a loro arrivano. Ed è un voto sul quale hanno influenza solo i media nazionali, sui quali il cavaliere era in posizione di assoluto vantaggio e predominanza. Se guardiamo le cose in questi termini, non c’è dubbio che Berlusconi abbia subìto una battuta d’arresto, soprattutto dopo aver deciso di polarizzare su di sé il voto della destra. E non c’è dubbio che la sconfitta del PD sia stata pesantissima.
L’insieme dei due fattori ha fatto dire a non pochi che la tendenza bipartitica arretra, e che gli italiani non si fidano di un sistema bloccato in un rapporto a due.
L’improntitudine di Berlusconi subisce una battuta d’arresto; e, per quanto riguarda il PD, subisce una sconfitta pesante la sua incapacità di alternativa, coniugata alla dichiarata intenzione di fare il vuoto attorno a sé. Per chi voglia capirlo, anche nel PD, si riaprono, in prospettiva, spazi per una forza di opposizione.
Questo, in termini di opinioni politiche generali.
Ma, se si vogliono osservare le tendenze sottostanti, il mutare del riferimento sociale delle diverse forze politiche, il loro esprimersi in termini di rapporto con la realtà e non solo di immagine e di opinione politica, occorre guardare il dato amministrativo. Nel voto amministrativo prevalgono altre considerazioni: la qualità, la credibilità, la conoscenza diretta dei diversi candidati. Ma, soprattutto, ha peso il convincimento che l’una o l’altra forza politica sia in grado di interpretare gli interessi e le aspirazioni del territorio e di una base sociale di riferimento che non ha più caratteri omogenei da Nord a Sud e, nel Nord, da Est ad Ovest. Ha peso quello che un tempo si chiamava “radicamento sociale”.
E’ il radicamento sociale del PD che si è sciolto, e quello della Lega che si è affermato. La capacità di ben amministrare, di saper mettere in campo potenzialità di programmazione e di gestione contano poco: vale più un campo di Rom smantellato che un Piano Regolatore o dei trasporti ben fatto. Ai ceti delle partite IVA, ed oggi anche ad una buona parte del mondo del lavoro, il modello di un’amministrazione locale basata sul rispetto delle regole, sulla qualità dei servizi pubblici, e sul coinvolgimento del privato in iniziative coordinate dalla mano pubblica locale, non interessano più: a chi ha due o tre automobili in casa non interessano granchè i trasporti pubblici; a chi vive o aspira a vivere nella villetta unifamiliare di proprietà non interessa un PRG ben fatto, ma solo che nei dintorni non vengano a risiedere marocchini, zingari, fabbriche inquinanti che deprezzerebbero l’area e peggiorerebbero l’idea di qualità della vita che si è fatta; ed interessa il fatto che il futuro della comunità locale sia definito all’interno di un quadro rassicurante e conformista, senza immigrati a crear problemi nella scuola dei figli o sul pianerottolo di casa. Il buon funzionamento dei servizi pubblici interessa sì, ma in termini di mera utilità privata. Ed interessa una politica locale che faccia il possibile per beneficiare del benessere, respingendo altrove le conseguenze negative dello stesso.
Non si ha più fiducia in modelli di sviluppo del territorio governati da considerazioni d’interesse generale che appaiono lontane e distanti.
Il modello del territorio-fabbrica, partito dall’ Emilia, e diffusosi ad Est e a Sud, fondato su amministrazioni locali forti ed efficienti in mano alla sinistra, e su un’imprenditoria diffusa ed alimentata dal mondo del lavoro dipendente e dall’artigianato, capace di produrre ricchezza, lavoro, servizi efficienti (in definitiva, qualità della vita), è in crisi. Per molte ragioni: penso che a ciò non siano stati estranei la limitazione delle risorse a disposizione degli Enti Locali e la concentrazione del sistema bancario che ha falcidiato la rete di banche locali più vicine alle esigenze della piccola e media impresa, e che, bene o male, subivano l’influenza degli indirizzi delle Amministrazioni locali. E che non sia estraneo il radicarsi del modello berlusconiano, spesso in salsa leghista, sul territorio: la vicenda delle quote-latte ne è un esempio.
Ma vi è un dato culturale di fondo. La presunzione di “diversità” del PD non ha retto di fronte alla pessima prova fornita in alcune Regioni, ed alla melassa italiota che ha caratterizzato la nascita del nuovo partito. A gente abituata alla concretezza ed alla chiarezza non era proponibile una politica fatta di “ma anche”, e che ha dato l’impressione di ragionare solo in termini di bottega, sia quando esso si opponeva, che quando aderiva alle prese di posizione del cavaliere.
Di conseguenza, venendo meno le risorse e gli spunti offerti da una politica della sinistra capace di proporre modelli “diversi”, ma coerenti ed adeguati alle nuove realtà, di rapporti sociali, economici, territoriali, adeguati, il PD è rimasto nudo di fronte alla difesa brutale degli interessi territoriali e di ceto, personificata nelle aree settentrionali in primo luogo dalla Lega, che ha fatto premio su tutto.
Cito, a questo riguardo, tre casi significativi, due dei quali hanno animato il dibattito pubblico, ed il terzo lo animerà.
La difesa ad oltranza di Malpensa è stata, da questi punti di vista, emblematica. La Lega ha difeso lo scalo lombardo come se si fosse trattato delle Falkland per gli inglesi. Non entro nel merito delle motivazioni, e credo anche che ben pochi vi siano entrati: Malpensa andava comunque difeso, a qualsiasi costo, perché era l’aeroporto della Padania, e tanto bastava. Ed allora, chi doveva scegliere tra un sindaco e l’altro, ha premiato modi di affrontare i problemi che potranno esser considerati rozzi, ma che hanno il pregio della semplicità, della chiarezza, e della comprensibilità.
Lo stesso ragionamento può valere per le questioni della sicurezza ed i conseguenti atteggiamenti xenofobi. Da una parte non si ha il coraggio di dire apertamente quel che si vuole, e neanche di dire che i diritti umani vengono prima di ogni altra considerazione; dall’altra, senza tante storie, e senza attendere leggi e dibattiti parlamentari, si adottano apertamente atteggiamenti, comportamenti, e provvedimenti razzisti. E’ evidente che il secondo tipo di atteggiamento finisce con l’esser premiato da chi chiede di “andare al sodo” senza porsi troppe questioni.
O, ancora, la recente questione delle retribuzioni territorialmente differenziate, che nei prossimi mesi sarà il cavallo di battaglia di una Lega in versione operaia. Non è difficile scorgervi un aspetto demagogico ed un ulteriore tassello per completare il disegno di due o tre Italie separate. Ma non ci si può limitare a rispondere a questo ragionamento con denunce deboli e rinunciatarie, e senza porsi con coraggio nuovi modelli contrattuali.
Queste considerazioni spiegano quindi l’apparente discordanza tra il risultato europeo e quello delle amministrative. Il dato europeo rappresenta una battuta d’arresto per una destra, il trionfo del cui capo, con tutte le implicazioni politico-istituzionali che questo avrebbe comportato, veniva dato per certo dal medesimo.
Il dato amministrativo rafforza il buon risultato leghista alle europee, trasformandolo in un successo il cui aspetto più importante sta, più che nelle dimensioni, nell’esser fondato su basi solide e concrete e non sulle grancasse mediatiche e sui Porta a Porta; il che non potrà non avere conseguenze sugli equilibri interni all’area di governo; anzi, le sta già avendo.
Berlusconi non ha perso molto tempo a capirlo, ed il mutamento di rotta sul referendum elettorale ne è la prima prova: lui sa bene che è possibile ottener quel che vuole dalla maggioranza di governo affrontando qualche malumore di quel che è rimasto degli ex di AN; ma che ciò sarebbe impossibile qualora la Lega decidesse di prender le distanze. Con buona pace di Fini, le chiavi politiche della maggioranza di governo sono oggi nelle mani della Lega. Il berlusconismo, arrestato nell’immagine del suo leader, avanza nei territori in versione leghista.
Per il PD, la situazione è difficilissima. Ripeto, il risultato del voto europeo è tale da poter essere assorbito, pur nella sua pesantezza. Ma il dato delle amministrative fa capire, quali che siano gli equilibri interni che si verranno a stabilire, che al PD è venuto meno il patrimonio del radicamento sociale dell’antico PC.
Gli ex-PC confluiti nel PD hanno ritenuto, sbagliando, di potervelo portare in dote, come se questo potesse essere un patrimonio non soggetto ad alcuna svalutazione e capace di far vivere di rendita in assenza di reinvestimenti. E soprattutto, con troppa faciloneria si è pensato che questo fosse un patrimonio buono per ogni stagione e trasferibile ovunque ed attraverso qualsiasi esperienza politica.
Tra un anno, vi saranno le elezioni in molte Regioni. Queste elezioni avranno grande importanza politica ed amministrativa, anche in virtù dei nuovi poteri che il federalismo comporta. In un anno di tempo, credo sia doveroso fare ogni possibile sforzo per costruire, partendo dai territori, l’alleanza di tutti coloro (non solo partiti politici tradizionali, ma anche associazioni, circoli, espressioni della società civile e del mondo della cultura) che ritengono necessaria, e possibile, un’inversione di rotta. E’ dalle molte e diverse realtà d’Italia che si deve partire per dare una base solida ad un’alternativa alla destra ed allo spappolamento locale delle forze di opposizione, che non può che essere imperniata sulla scelta di progetti, metodi, uomini, in grado di ricostruire il concetto di “diversità” della Sinistra.
Sinistra e Libertà ha le carte in regola per avviare questa discussione; è bene che lo faccia.

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