AMERICA E CINA: ALLA RESA DEI CONTI? SI’! ECCO IL QUADRO GENERALE di Francesco Bochicchio del 24 febbraio 2023

24 febbraio 2023

AMERICA E CINA: ALLA RESA DEI CONTI? SI’! ECCO IL QUADRO GENERALE di Francesco Bochicchio del 24 febbraio 2023

Come dichiarato espressamente da esponenti Nato -e come alla fine forzatamente accettato da tutti i commentatori, anche i più autorevoli ed acuti, che pure in un primo tempo si erano accaniti contro la Russia in modo unidirezionale, quale incarnazione del Male assoluto, ed addirittura non solo si auguravano, ma addirittura argomentavano (nel senso) che la Cina si schierasse contro la Russia- è chiaro che la stessa Cina è il vero e grande nemico dell’America.
A dire il vero ciò era chiaro -ed in modo eclatante- da tempo: non solo Trump ma anche Biden, sin dall’insediamento, sia pur all’avvio in modo meno bellicoso del primo, avevano minacciato la Cina e prospettato misure protezionistiche (da sempre dal primo anche attuate).
Addirittura, pochissimo tempo prima dello scoppio della guerra in Ucraina, Biden aveva sferrato, in un discorso, un attacco particolarmente minaccioso.
Il punto vero è che scoppiata la guerra ucraina, per miracolo ci si era dimenticati di tale grande ostilità e si ammiccava verso la Cina invitandola a staccarsi dalla Russia.
Poiché ciò non è avvenuto, ecco che altrettanto miracolosamente -sulla base di un’illuminazione sulla Via per Damsco- si è ritornati ad attaccare forsennatamente la Cina ribadendo espressamente, ai massimi livelli americani e Nato, che il vero pericolo è la Cina, mentre la Russia è un nemico sì attuale e di enorme rilievo, ma non altrettanto pericoloso.
Ma non solo: si è aggiunto, da parte di Blinken, Segretario di Stato, alla luce -dell’aggravarsi- della minaccia a cinese a Taiwan, che è necessario indurre la Cina ad accettare la visione americana, anche nella propria sfera d’influenza.
Ora, mentre sono aumentate le iniziative commerciali indirizzate contro la Cina, l’aggressività americana sempre contro la Cina è diventata pressoché maniacale.
Oltre all’abbattimento di due palloni-spia erranti per il cielo americano. abbattimento di sicuro legittimo ed anche legale a propria difesa, ma sconsiderato –tra l’altro anche l’America ha intrapreso analoga iniziativa nei cieli cinesi, senza che scattasse alcuna reazione isterica-, visto che rappresenta una provocazione nei confronti della Cina, ed anche una prova di forza muscolare, che di sicuro non impensierisce la stessa Cina, ma-in modo perverso-  la mette in guardia preparandola ad un temibile scontro, ecco che un generale di primo piano americano, si è fatto scappare (ma siamo sicuri che si sia trattato veramente solo di “imperdonabile leggerezza”?) che “entro il 2025 scoppierà la guerra con la Cina”.
Ma ora si è andati oltre ogni segno: Blinken, come detto -“repetita juvant”- Segretario di Stato, la cui straordinaria lucidità politica (e stesso discorso riguarda il Segretario Nato, dal cognome evocativo, Stoltenberg) fa impallidire Richelieu, Mazzarino, Talleyrand, Bismarck, Churchill e Kissinger, tutti quanti insieme, ed è stato lo stesso ad effettuare quella surreale dichiarazione sulla Cina, ebbene ora non contento, ha voluto dire per forza la sua –temendo che altrimenti tutto il Mondo si troverebbe privo di riferimenti e spaesato-, dopo che in Occidente ci è accorti, miracolosamente, addirittura a livello quasi divino, che la Cina sta aiutando in modo pesante ed incisivo la Russia, soprattutto  in tecnologia, il quale aiuto è di sicuro utilizzato nella guerra. Per inciso, si potrebbe arguire che siffatte -surreali e suscettibili di non meritare commento, esternazioni di Blinken siano non tanto gratuite, quanto piuttosto messaggi -non molto mascherati o comunque tali in modo a dir poco maldestri- minacciosi alla Cina: ebbene, su tale aspetto, di sicuro reale, ci si sofferma a lungo nel corso delle presenti note. Ma sulle modalità non ci si può sorvolare. Qui stiamo parlando di un conflitto -sia pur, non ancora- militare, e non di Inter-Juve: la forma e le modalità sono elementi costitutivi della sostanza
Ebbene, chiuso l’inciso, Blinken, con la stessa forza, minacciosità, autorità e credibilità con cui Bismarck si rivolgeva a Austria, Francia e Russia –ovviamente, non contemporaneamente, ma in fasi diverse visto che era meno determinato di Biden, del su lodato e di Stoltenberg-, ha intimato alla Cina di smetterla di porre in essere questi aiuti. L’intimazione è veramente minacciosa, con un carico da 90, visto che in via ufficiale, in Occidente -ed anche da parte del su lodato- si sta prospettando l’ipotesi che la Cina passerà finanche ad un aiuto in armi.
Sia o no fondata tale prospettiva, nel fermarsi all’aiuto tecnologico, già tutt’altro secondario, fatto sta che la Cina ha fatto spallucce di fronte alla terribile intimazione, anzi la ha presa di petto, respingendola al mittente.
Su questo punto è assolutamente necessario evitare equivoci.
Il tutto si realizza mentre eminenti geo-politici –ma quel che conta è che nello stesso senso si stanno esponendo sia Zelensky sia (soprattutto) primari rappresentanti americani e Nato- affermano che la guerra si deve concludere prima dell’estate: l’America, che sembrava qualche tempo fa più prudente in modo da voler ridurre o comunque contenere gli aiuti militari in Ucraina, non solo li ha aumentati a dismisura ma sta accelerando. La ragione, da tutti individuata ed anzi -irresponsabilmente, enfatizzata “coram populo”- è che l’America vuole terminare la guerra a condizioni vantaggiose, in modo da potersi concentrare nel conflitto contro la Cina.
Ebbene, l’America, con il supporto Nato ed ucraino, il tutto arricchito dall’elaborazione dei migliori geo-politici americani e Nato, vuole convincere la Cina, prima con lusinghe, poi con minacce commerciali di interruzione o comunque forte attenuazione degli intensissimi scambi che vedono la Cina esportatrice e/o investitrice in Occidente, ed ora politiche-militari, ad arrendersi ed a diventare docile e sottomessa.
La Cina non mostra paura, anzi: ma quel che è peggio è che tale presa di posizione americana ed anzi -per quanto occorrer possa, visto che nell’Occidente conta solo l’America- occidentale “tout court” è sintomo di disperazione: come si può definire altrimenti il comportamento di chi vuole forzatamente convincere l’avversario a danneggiare sé stesso per aiutare il non credibile dispensatore di intimazioni?
Dopo pochi mesi dallo scoppio della guerra ucraina, l’America ha innestato un processo completo e perverso passando a tentare di isolare la Cina –oltre che la Russia- in Africa ed in Asia, facendo meravigliosi buchi nell’acqua.
L’India, storico avversario della Cina, si è schierata con la Russia: la Turchia, membro Nato, ha assunto una posizione formalmente neutrale, nella sostanza accortamente benevola nei confronti della Russia, mentre due importantissimi alleati dell’America, uno storico quale Israele ed uno nuovo come gli Emirati Arabi, si stanno defilando.
Nella zona asiatica, oltre a Giappone, Corea del Sud e Australia – e si tratta di adesioni a dir poco timide-, nessuna adesione è stata acquisita e risultato ancora peggiore è stato raggiunto in Africa, e non solo perché ancora molto sensibile alle lusinghe russe.
Gli ineffabili geo-politici scientificamente “(scatenati) tifosi” –non solo sostenitori- dell’America, ci stanno sapientemente ammonendo che tale situazione è precaria e sta per registrare un’inversione di marcia.
Rampini evidenzia enfaticamente che è la “retorica antiamericana e antioccidentale” che sta deviando tutti tali Paesi asiatici ed africani dal loro interesse che li dovrebbe spingere docilmente nelle braccia americane.
Trascura Rampini che invece è proprio l’imperialismo americano ad essere fortemente, ma anche razionalmente, sgradito in quanto vessatorio. Anzi, per la massima precisione, non solo è sgradito, ma è odiato: l’imperialismo occidentale -non solo quello attuale americano, ma anche quello storico-   è odiato in quanto odioso -si chiede scusa per il bisticcio di parole- e abominevole -si chiede scusa per la brutalità (purtroppo necessaria) del termine-.  Ora Biden, per tentare di guadagnare punti contro Putin in Africa, ha cominciato a far risaltare i misfatti lì effettuati dalla Brigata Wagner. Non s’illuda Biden: per eguagliare in Africa i misfatti occidentali, la Brigata Wagner ha bisogno di millenni.   
Contrariamente a quanto ritenuto dai geopolitici “tifosi”, un imperialismo non autoritario è pienamente ammissibile, in quanto l’imperialismo è ben diverso dal colonialismo: è questo un dato acquisito da tutte le discipline e non è frutto solo di approccio marxista.
Molinari, direttore di “Repubblica”, dove scriveva Rampini prima di passare al “Corriere della Sera”, ha recentemente scritto un libro in cui disserta sul ritorno degli Imperi, che sarebbero esclusivamente quello russo e quello cinese, vale a dire le grandi potenze autoritarie al loto interno, con esclusione evidentemente dell’America.
L’analisi di Molinari è inficiata dalla commistione di piani tra totalitarismo ed autoritarismo interni ed imperialismo estero.
Rampini, evidentemente in sintonia -oggettiva e non necessariamente soggettiva- con Molinari, è recentemente ritornato sull’argomento, sollevando il problema di quale sia il combattente -in termini militare, s’intende- più efficace e temibile, se totalitario o democratico.
  Il punto è invece un altro: gli Imperi cinese e russo sono limitati, mentre invece quello americano punta all’egemonia mondiale. Per la precisione, quello russo è limitato territorialmente, mentre quello cinese lo è in modo qualitativo, essendo il suo modello pluralista e non esclusivo.
Il discorso di Rampini merita una considerazione aggiuntiva “ad hoc”: con il confronto di efficienza bellica “tout court” -e non solo militaresca- Rampini intende affrontare un argomento fondamentale e lo fa in modo duplice ed anzi contraddittorio, visto che una posizione esclude l’altra.
Da un lato, vuole mostrare la maggiore -in modo necessitato- debolezza dei Paesi all’interno democratici, derivante dalla coercizione che quelli non democratici possono manifestare, raggiungendo così – e sol così- punte massime di forza.
D’altro canto, Rampini non si imbarazza a contraddirsi quando evidenzia che i paesi democratici possono essere loro i più efficaci, perché solo la massima libertà conferisce autenticità: una forza non autentica è per antonomasia debolezza. In tal modo, Rampini pensa forse di superare l’incoerenza, in quanto il suo si traduce in un invito delle popolazioni dei paesi democratici a buttarsi con entusiasmo nell’avventura, lasciando alle spalle dissensi e riserve mentali. In tal modo -e solo in tal modo- i Paesi democratici -e solo loro- possono raggiungere una forza non solo straordinaria ma anche stabile e permanente.
E’ ovvio che il tentativo di superare l’incoerenza ha senso solo a livello propagandistico e non scientifico.
Ma quel che conta è che il ragionamento intero è inficiato da vero e proprio paralogismo.
Rampini è vittima di una vera e propria commistione di piani tra ciò che interno e ciò che, invece, è estero.
Trascura che all’estero i Paesi occidentali sono odiati anche per la ferocia del loro imperialismo e che ciò crea un’ostilità -non solo riconducibile alla propaganda, certamente innegabile di Putin- diffusa che alla fine mina la compattezza interna.
Compattezza interna non diffusa in quanto cresce -tra la popolazione, ben distinta dai potenti- per il malumore per conflitti folli, i quali danneggiano l’economia -basti penare all’energia- e la vita sociale: inoltre, il dividendo da imperialismo -concetto grandiosamente elaborato da Lenin nella celeberrima opera in materia dei primi del secolo scorso- ora è diffuso –“rectius”, distribuito- molto più iniquamente che nel passato.
Interessi e valori -e non si tratta dei soli primi contro i secondi, come da propaganda, impostata, del tutto irresponsabilmente- nientedimeno che da Draghi- giocano nel libero Occidente contro tali conflitti, che riguardano e favoriscono solo il complesso finanziario-industriale-.
Evocare la discesa in campo a favore della libertà è un discorso che convince solo chi lo formula, nessun altro: proprio chi lo formula, a quanto pare, si è preso così sul serio da alimentare la propria propaganda con grande spontaneità, perché ha finito con il crederci.
Ma il discorso non si ferma qui.
L’Ucraina sta strizzando l’occhio alla propria componente nazista e in modo sincero e non solo strumentale -battaglione Azov, celebrazioni dei criminali del passato, come Bandera- e sta perseguitando gli oppositori interni e ponendo inammissibili restrizioni ai giornalisti esteri non “tifosi” e non solo ai “tifosi” avversari.
Dipende dalla guerra, ma oramai è diventato un elemento irreversibile, vista l’impossibilità di colmare la frattura con la Russia e di ritornare alla normalità.
L’Ucraina non è più un Paese liberale e democratico.
Ma i venti di intolleranza e di -al momento, incipiente- totalitarismo stanno attecchendo in tutto l’incidente: la svolta addirittura golpista -il colpo di Stato del gennaio 2011 era vero e temibile- di Trump è stata sconfitta per un pelo e prima dello scoppio della guerra stava diventando minacciosa. Ma con Biden l’intolleranza cresce e il clima è pesante: la polizia continua ad effettuare crimini ai danni degli emarginati, non solo di colore.
La guerra totale -e stesso discorso quando non è ancora militare come contro la Cina- è un fenomeno di restrizione di democrazia e libertà perché una volta che crea -non solo trova, ma lo crea ad arte- il nemico, l’avversario diventa un fenomeno non più gestibile e tale da dover essere ricondotto nella categoria dello stesso nemico.
In Italia, paese da operetta, dove i fenomeni gravi hanno bisogno di molto tempo per abbandonare i caratteri della farsa, ci si è assunto il coraggio di dire che non è ammissibile essere neutrali nella guerra in Ucraina e che chi lo è va quindi considerato come filo-russo.
E così, sia pur in modo non violento, si è avviata un’opera di vera e propria persecuzione -non solo inconsistente ma addirittura surreale e persecutoria- nei confronti del povero Alessandro Orsini.
Quel che è vero è che la propaganda è diventata solo legale ma addirittura obbligo, giocando un brutto scherzo ai suoi stessi autori, che vi entrano con così grande convinzione da crederci.
In definitiva sul punto: si invita Rampina e Molinari ad una vera e reale prudenza -finora non manifestata- nel tentare di legare la democrazia e la libertà interne ad una pretesa -in realtà, del tutto insussistente- opera liberatrice esterna. Così, nel tentativo travisato, se non addirittura mistificatorio, di dare valore alla seconda, che è invece del tutto fittizia, si creano le basi per incidere, a brevissimo ed in tempi “record”, sulle prime.    
In sintesi, si può affermare con tutta tranquillità che l’America punta al conflitto con la Cina, -ma non solo, in quanto- per l’egemonia mondiale totale.
 Ma, con altrettanto tranquillità, si può affermare, in modo totalmente perentorio, anche che la Cina non intende indietreggiare e che è pronta a qualsiasi tipo di scontro ed addirittura non intende indietreggiare finanche ove l’America innalzasse a dismisura il livello dello scontro, addirittura per il caso del livello estremo del conflitto armato.
Conflitto armato che non più essere escluso, contrariamente a quanto sinora avvenuto sulla base dell’assunto che le armi nucleari renderebbero tale conflitto letale per l’umanità: l’assunto, intrinsecamente ragionevole -sia ben chiaro-, è -peraltro, nonostante la sua ragionevolezza ed anzi razionalità- destinato a perdere efficacia nel momento in cui l’America ha deciso di non fermarsi più e di procedere contemporaneamente contro Russia e Cina.
Così la strategia americana di configgere contemporaneamente contro tutti e due -segnando un’inversione di rotta rispetto a Kissinger-Nixon, che posero le basi per la vittoria nella guerra fredda proprio separando la Cina dalla Russia-, apre uno scenario del tutto nuovo e che crea una profonda inquietudine.
Per l’esattezza, proprio tale circostanza rende la situazione attuale del tutto paradossale: la guerra in Ucraina ha sì devastato il Mondo intero, ma è il conflitto mano importante ed addirittura totalmente secondario.
Torna alla mente la situazione del ’14, con la prima guerra mondiale che scoppiò nel fronte sud-orientale, mentre la stessa fu poi decisa in quello nord-occidentale.
La guerra in Ucraina rappresenta un vero mistero che occorre de-criptare, come lo scrivente ha tentato di fare in un recentissimo libro.
Ma la ricerca appena su tale guerra non è conclusa e i risultati ivi raggiunti costituiscono solo una tappa, addirittura secondaria.
E così che va messo a fuoco il ruolo della stessa guerra nello scontro America-Cina.
I geopolitici “tifosi” continuano ad affermare che la Cina non è in condizione di accettare lo scontro, in quanto la sua economia aperta e competitiva in tutto il Mondo ed addirittura con una posizione di grandissima forza in Occidente verrebbe irrimediabilmente pregiudicata: Rampini ha insistito in tale argomentare sul “Corriere della Sera” del 21 febbraio.
Ma così Rampini fa fatica a comprendere che la Cina non può tornare indietro, in quanto l’America la ha messa con le spalle al muro, ponendola di fronte alla prospettiva di essere soggiogata dalla stessa America: ed allora, Rampini si è messo da solo nell’impossibilità di comprendere che, così, tanto vale, per la Cina, giocarsi il tutto per tutto, potendo vantare una economia forte e florida ed una posizione di politica internazionale vantaggiosa.
E così il conflitto America-Cina è entrato in una fase irreversibile in quanto ingovernabile.
E così si può tracciare la prima enucleazione dello stesso.
E’ un conflitto in cui la Cina si sta muovendo razionalmente, con un’azione del tutto congrua e misurata.
E’ una razionalità strumentale e quindi non ci dice quale sia la strategia sottostante, se destinata o no al successo.
Ma non può non stupire tale razionalità completa di fronte al comportamento scriteriato dell’America.
Ma anche la strategia complessiva è già illuminante quale sia poi l’esito.
La strategia cinese si concretizza nel difendere un modello socio-economico di successo, e così è intrinsecamente razionale, mentre quella americana si concretizza, all’esatto contrario, nel tentativo di traslare sugli altri, vale a dire all’esterno, a le conseguenze negative del proprio modello socio-economico: le conseguenze negative non sono più sopportabili all’interno, il che nient’altro vuol dire che natura fallimentare del proprio modello socio-economico.
Il capitalismo avanzato, nel momento in cui ha sbaragliato all’interno i propri avversari, addomesticando la lotta di classe e annullando i gruppi antagonisti, è fallito senza rimedio, dal che deriva la necessità, per reggere il confronto con un modello apparentemente meno avanzato -in quanto privo di caratteristiche fondamentali dello stesso capitalismo avanzato, quale la preminenza assoluta dell’economia sulla politica, la concorrenza interna, la caratterizzazione finanziaria dell’economia, che è molto più florido- di una manovra energica proprio all’esterno, addirittura così energica da rivelarsi destabilizzante.
L’irrazionalità della tattica e della strategia americana può così trasformarsi, dialetticamente, ed evidentemente addirittura rovesciarsi in una vera e profonda razionalità, nel momento in cui scompagina le carte sul tavolo. Poiché le carte sono per sé negative, è ovvio che ha tutto da guadagnare.
E’ però proprio da vedere se il guadagno ci sarà veramente.
Quello che è certo è che ha distrutto i ponti dietro di sé, giocandosi il tutto per tutto.
Ma, quale chi l’esito, un dato è incontestabile: l’America ricorre alla forza per ovviare all’inefficienza della propria economia.
Poiché l’efficienza dell’economia è sempre stato il punto di forza del modello capitalistico avanzato, è ovvio che, quale che sia l’esito del conflitto, il modello si è trasfigurato ed è entrato in un vicolo cieco.
Quale che sia l’esito del conflitto, il capitalismo avanzato è privo di prospettive: il crollo non è automatico, ma il mancato avverarsi di questi nient’altro vuol dire che una fase, anche lunghissima, di oscurità e di orrore.
D’altro canto, la Cina viene trascinata, contro la sua volontà ma inesorabilmente più ancora che indefettibilmente, oltre che indefettibilmente, in un conflitto in cui essa non è preparata alla vittoria in quanto tale da renderla dominante pur essendo essa pluralista.
L’esito del conflitto non è decisivo, ma è solo l’apertura di un’incognita.
Ciò nel momento in cui l’America sta distruggendo i ponti per ritirate e si sta tagliando la strada per un conflitto perenne ma limitato e non controllato.
Ciò facendo tutto da sola.
Enucleato il quadro generale, occorre entrare nell’analisi.
Ma il quadro generale è necessario per non farsi disorientare e non entrare neppure in posizioni schematiche, di natura ideologica od anche di nobile ma indifeso pacifismo: all’esatto contrario, si tratta si stare strettamente ancorati ad un quadro rigoroso di geo-politica.
Si è ben consapevole dei limiti della geo-politica, ma questa deve essere superata, bensì non   abbandonata: ci si deve innestare sopra un’elaborazione teorica di fondo, dal cui interno far emergere alcuni valori, tra cui ovviamente la pace, ma senza cadere nella tentazione di operare rispetto a questa in modo sostitutivo o comunque demolitorio. 
 

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