AMATO: FINITO UN CICLO IL PATTO PD-TERZO POLO PUO' AVERE UN FUTURO, di Aldo Cazzullo, da Il Corriere della Sera, mercoledì 22 dicembre 2010

15 gennaio 2011

AMATO: FINITO UN CICLO IL PATTO PD-TERZO POLO PUO' AVERE UN FUTURO, di Aldo Cazzullo, da Il Corriere della Sera, mercoledì 22 dicembre 2010

L`ex presidente dei Consiglio: un terzo degli italiani dia 30 mila euro, magari in due anni, per ridurre a strozza del debito pubblico.
I giovani protestano contro la voracità dei vecchi.


Alla vigilia del 15° compleanno dell`Italia, Giuliano Amato, che presiede il comitato per la celebrazioni, confessa la sua «amarezza» per «un Paese che sta diventando preoccupante».
«Questo continuo parlare del fatto che l`Italia non ha futuro finisce per dimostrare che rischia di non averlo. Questo tema del futuro aleggia come all`interno di un gigantesco laboratorio di analisi sociologica, molto efficace nel dipingere i mali, ma altrettanto incapace di porvi rimedio. Io non amo la parola declino; ma anche questo è un segno del declino.
Mi ricorda Petronio, che cantava la fine dell`impero mentre Roma bruciava: un simbolo ormai quasi da operetta, tanto è stato banalizzato nella storia, ma nel quale c`è una profonda verità. Nei momenti di maggiore declino di un Paese, di una storia, la capacità di fare autoanalisi e di dimostrarlo a se stessi è in genere elevata; mentre è bassissima quella di uscirne».
Amato parte dalla rivolta dei giovani. «Sono ormai pochi quelli che si rifiutano di capire che la protesta giovanile non è una protesta contro la riforma universitaria, ma contro una situazione generale nella quale le vecchie generazioni hanno mangiato il futuro delle nuove. E questa frase la diciamo quasi con la stessa voracità con la quale ci siamo mangiati il futuro di chi sta arrivando. Purtroppo sono pochi anche coloro che avanzano una concreta proposta per restituire il futuro.
Ci hanno provato sul Corriere, e l`ho molto apprezzato, Di Vico e Ferrera, indicando tre campi: formazione, welfare, lavoro.
Sento dire: i precari nei Paesi sviluppati ci sono sempre stati. Perbacco! Ero giovane quando negli Stati Uniti, in una fase di grande espansione, passare da un lavoro all`altro era più un divertimento che una condanna. Ma oggi tu ti attacchi all`unico lavoro precario che trovi come ti attacchi alla canna del gas, e non si profila altro. Sento chiedere: come si fa a prendersela con un governo, quando un Paese è in questa situazione? E vero, le ragioni sono tante.
L`identificare queste tante ragioni dovrebbe portare a trovare delle soluzioni. Quanti sono i nostri imprenditori che hanno venduto l`impresa e si sono fatti la villa e lo yacht? Anche loro hanno una parte di responsabilità. Come l`ha il sindacato: che senso ha avuto difendere a spada tratta l`articolo 18, creando una distanza abissale tra il garantito e il non garantito? Non avrebbe avuto più senso creare prima quella rete di rapporti di lavoro garantiti e insieme flessibili che avrebbero evitato la spaccatura in due? E perché i contributi che si pagano sul lavoro dipendente trasparente sono così alti, quando i trattamenti pensionistici sono diventati così bassi? Che cosa pagano questi contributi? Li possiamo ridurre? Ecco, ciascuna di queste responsabilità dovrebbe indicare un pezzo della soluzione. Invece ci fermiamo agli elenchi. Facciamo sociologia, anziché fare riformismo».
Amato una proposta l`avrebbe: «Se è vero che il debito pubblico è la strozza più soffocante sul collo dei nostri giovani, sarebbe responsabilità delle nostre generazioni che quel debito l`hanno creato non lasciarlo in eredità ai giovani, almeno non in questa devastante misura. Il debito è di 30 mila euro a italiano: liberarci di un terzo di esso già lo ricondurrebbe a dimensioni governabili, sotto l`8o%, quindi fuori dalla zona a rischio; significherebbe pagare io mila euro a italiano.
Ma siccome gli italiani non sono tutti uguali, potremmo mettere la riduzione a carico di un terzo degli italiani. A quel punto sarebbero 3o mila euro per un terzo degli italiani, magari in due anni. Secondo me è sopportabile. Certo, al solo accennarne ho già ricevuto e-mail nelle quali la definizione che si dà di me è irriferibile».
Forse perché c`è il precedente impopolare del `g2, quando lei era presidente del Consiglio... «Certo, è molto più popolare lasciare il debito addosso ai giovani che non invitare i vecchi a fare un sacrificio. lo sono un delinquente perché dico questo, non sono uno che richiama gli altri alle loro responsabilità.
Se questo loro lo avvertono come un attentato di qualcuno che vuole mettere le mani nelle loro tasche, vuol dire che questo Paese si è profondamente degradato. E non solo in questo campo. Come diceva giustamente Tommaso Padoa-Schioppa, noi siamo vittime della vista corta, e con la vista corta non possiamo vedere e preparare il futuro: come Gurdulù, il personaggio di Calvino immerso in un piatto di minestra, siamo immersi nel nostro presente. Tutti avvertono il bisogno di più etica. Chi dovrebbe essere maestro d`etica si trova a fare i conti con se stesso in un`ulteriore difficoltà: io ho passato gli ultimi anni della mia vita a sottolineare l`importanza che ha la religione nel creare un senso di appartenenza a una comunità in cui gli altri hanno non meno diritti di me. Ciò ha segnato proprio la vita e il modo di lavorare di Padoa-Schioppa. E il Papa, che è uno che questo tema lo capisce molto meglio di tanti altri, si sente costretto a dire che la sua Chiesa è ricoperta di polvere».
Nella politica spicciola, Amato non intende inoltrarsi. «Siamo arrivati alla fine di un ciclo, ma è chiaramente la fine di un ciclo in cui non vediamo i segni dell`alba del giorno dopo.
C`è una persona discussa come poche e certo discutibile, che ha segnato di sé i trascorsi quindici anni e ora è sul finire del suo percorso e non ha successori dal suo lato; e c`è un centrosinistra che è ancora alla ricerca di un`anima, come sempre lasciando il dubbio che o ne abbia troppe o non ne abbia nessuna».
L`alleanza tra il nascente terzo polo e il Partito democratico può avere un futuro? «Certo che può avere un futuro.
Il futuro dipende da chi lo costruisce e quindi da come lo costruisce».
E in vista del 150" anniversario dell`Unità, che succede? «Succede quel che ha detto molto bene il capo dello Stato, nel saluto di auguri al Quirinale, quando ha messo in evidenza la quantità e qualità di miriadi di iniziative, convegni, mostre, riscoperte di figure locali e di momenti importanti della vita di figure anche nazionali che verrà fuori il prossimo anno.
Con una presenza di governo relativamente in ombra, le celebrazioni dei 15o anni stanno prendendo vita in tanti angoli di questa meravigliosa storia italiana fatta non da una capitale ma da tanti centri. Abbiamo comuni grandi e comuni piccoli, istituzioni culturali nazionali come la Treccani, i Lincei, la Crusca e istituzioni locali, tutte impegnate a fare qualcosa per riscoprire il senso dell`Unità italiana, a riscoprire quel che ci aiuta non a vivere questa vicenda negli stereotipi ma a conoscere come è stata. Ci sono stati momenti ---con Cavour, con Giolitti, con De Gasperi --- in cui l`Italia è riuscita a cambiare, a costruire il futuro. Oggi ne parliamo molto ma abbiamo perso questa capacità di costruirlo, il futuro.
Per questo è così difficile stare insieme. Cosa crede che significhi l`espansione dei leghisti al Nord e dei neoborbonici al Sud? Non il postmoderno, ma il riaffiorare di antiche identità, perla fragilità che viene ad avere l`identità nazionale non vivificata dall`impegno per il futuro comune. Se l`impegno per il futuro comune è forte, il sentimento nazionale c`è; altrimenti cede, e vede riemergere quel che c`era prima.
E quel che sta accadendo».
Ma la protesta dei giovani è una fiammata? O rischia di essere duratura, come in passato? «I giovani sentono molto le ragioni di questa protesta. La percezione è che noi - con il debito che abbiamo costruito, con il mercato del lavoro che abbiamo costruito, con le pensioni che ci siamo dati e che ora neghiamo a loro - abbiamo preparato un bel piattino; e loro lo rifiutano. Sono fenomeni, com`è stato detto, dovuti a una rabbia che si diffonde e che può durare. Sta a noi fornire risposte, in modo da fare della rabbia il propellente non di altra rabbia ma di cambiamenti che in qualche modo servono a ridurla. Il `68 nacque dalla rabbia contro l`esistente.
Si voleva liberare il mondo dalle gerarchie che lo stringevano ai fianchi. Fu una rivolta contro la famiglia e la scuola più che contro la politica. E i risultati arrivarono. Salvo la deriva ideologica, che il movimento prese quando follemente agganciò la rivolta contro il capitalismo, quel movimento pose fine al pesante patriarcato che dava al maschio ogni potere sulla vita famigliare. Quella fu una risposta che si trovò, e fu una risposta giusta. Oggi bisogna cha qualcuno dia risposte su altri terreni. E impressionante che da settimane sui terreni su cui oggi è più elevata la protesta - destinare di più alla formazione, agganciare di più i processi formativi al mercato del lavoro - si siano solo scritti articoli».

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