ALLE ORIGINI DEL RUSSIAGATE di Alberto Benzoni
22 gennaio 2018
La Camera dei rappresentanti ha votato l'anno scorso con 418 voti contro 1 l'inasprimento delle sanzioni
contro la Russia. Non si tratta di una mossa destinata a punire un paese per
qualche nuovo mancamento alle regole internazionali o per indurlo a tornare sui
suoi passi: sempre di Crimea si tratta e nessuno può pensare che Putin o
qualsiasi altro dirigente russo la restituisca all'Ucraina magari con le
opportune scuse.
E, allora, l'oggetto della sanzione non era Putin ma Trump; e la condanna
unanime nei suoi confronti copriva tutto l'arco di forze presenti sulla scena
politica americana.
Primo tra tutte, almeno come capacità di pressione, il complesso
militare-industriale (contro il quale aveva messo in guardia gli americani, sessant'anni
fa, il presidente repubblicano Eisenhower). Qui l'ideologia non c'entra:
c'entra il fatto che questo complesso ha bisogno di un nemico da "tenere
sotto" per mantenersi in forma (cfr il rapporto sulla sicurezza nazionale
presentato a Bush agli inizi del 2001: allora non c'era Putin, la Russia era
vicina allo sfascio definitivo e la Cina nella fase intermedia della sua ascesa
a protagonista dell'economia mondiale ma, nonostante tutto ciò, si afferma
esplicitamente che combattere la loro ascesa con tutti mezzi - escluso,
naturalmente il conflitto militare aperto- è vitale per la sopravvivenza degli
Usa nel loro ruolo naturale di superpotenza mondiale). Cui bisogna aggiungere
gli ambienti Nato che, per giustificare l'esistenza dell'organizzazione hanno
di un invasore contro cui difendersi.
Poi abbiamo la destra repubblicana, leggi il partito repubblicano così come è
diventato negli ultimi venti-venticinque anni. Per questa (o per questo) la
Russia, che sia stalinista, krusceviana, brezneviana, putiniana o semplicemente
ana, è l'impero del male, il nemico secolare sempre pronto a recar danno in
tutti i modi possibili all'America, ai suoi interessi e ai suoi valori.
E, infine, ecco i clintoniani eredi lontani e inconsapevoli di un'antica
russofobia: quella che portò gli operai di Parigi a scendere in piazza, nel
1848, contro un governo accusato di non difendere abbastanza la causa della
Polonia e la socialdemocrazia tedesca a votare compatta, nel 1914, la
concessione dei crediti di guerra semplicemente perché il governo aveva avuto
l'accortezza di dichiararla alla Russia qualche giorno prima che alla Francia.
La loro russofobia è, almeno potenzialmente, più pericolosa di quella
repubblicana: sono di regola e da sempre i democratici americani (ma non solo)
ad entrare in guerra in nome della loro vocazione missionaria o della loro
aggressività ideologica.. Uno schema mentale per cui non si distingue affatto
tra il regime di Putin e la Russia come stato: "il regime interno è
pessimo, anche perché non è conforme ai nostri; quindi deve essere pessima e
nemica anche la sua politica estera".
E, allora, il Russiagate, con le relative accuse di "ingerenza"non
ha, ripetiamolo ancora, come bersaglio Putin ma Trump. Un presidente che, in
modo alquanto rozzo e primitivo, si richiama alla linea kissingeriana e alla
sua realpolitik; quella che portò lo stesso Kissinger e dopo di lui Nixon e
riaprire, partendo da zero, i rapporti con la Cina nel bel mezzo della
rivoluzione culturale e dei suoi orrori. Per potere riprendere, e in condizioni
più favorevoli il negoziato con l'Urss che , prima della caduta del muro di
Berlino, alla fine della guerra fredda. Trump, dal canto suo, si sarebbe
contentato di molto meno: di un''intesa decente sull'Ucraina che avrebbe
consentito la necessaria collaborazione in Medio oriente e magari di impedire
la formazione di un'asse Russia-Cina.
Per questo, prima e dopo, aveva avviato, magari con poco stile, dei contatti
con Mosca; un paese che aveva tutte le ragioni per non auspicare, diciamo così,
la vittoria della Clinton. Per questo è oggi sotto processo (ricorrendo ad una
legge, varata nel 1790 e mai applicata, che proibisce a chi non è
rappresentante dell'amministrazione contatti con esponenti di paesi esteri); un
processo che non porterà certamente la suo impeachment ma piuttosto alla
impossibilità di portare avanti la politica internazionale che si era prefisso.
Sorprende allora, in tutto questo, il silenzia delle "sinistre di
governo"europee: o peggio ancora l'alternarsi di dichiarazioni ufficiali
di indefettibile ortodossia atlantica e le "voci da sen fuggite",
assieme alle azioni concrete, che vanno in tutt'altra direzione (e, a onor del
vero, in particolare in Italia)
Signori, un pò più di coraggio. Possiamo comprendere che richiamarsi a Kissinger
e alle ragioni della geopolitica-realpolitica sia troppo forte per le vostre
coscienze delicate. Ma, suvvia, operare per il dialogo e per la risoluzione
pacifica dei conflitti e battersi contro il riarmo fa parte della vostra e
nostra tradizione. O no ?