ALLA SINISTRA PER VINCERE MANCANO I VOTI DEL PSI – Di Marco Alfieri da Il Riformista del 27 luglio 2006
01 agosto 2006
Lombardo-veneto. L'analisi di Ignazi sul nord alle urne
Milano. Variazioni sul tema “questione settentrionale”. Di questi tempi la si collega per lo più a un deficit infrastrutturale ormai cronico, o a un fisco eccessivamente esoso, o a una burocrazia inefficiente. Ma c'è anche un male del nord meno battuto dal discorso pubblico e altrettanto importante, più identitario, frutto avvelenato dell'inevasa “questione socialista”. Lo spunto lo offre un bel saggio di Piero Ignazi apparso sull'ultimo numero del Mulino. Commentando le «tre leggende metropolitane» a suo dire uscite dal voto del 10 aprile (la «vittoria scippata», la «vittoria mutilata» e «il paese spaccato in due»), lo studioso a un certo punto ammette che questa terza bufala, che poi fa da sfondo alla mitica questione settentrionale, «a differenza delle altre due contiene parecchi grandi verità». La geografia elettorale, infatti, ci mostra come il territorio sopra il Po sia sempre stato una zona bianca e che, dal '94, è trascolorato nel verde-azzurro. Scomparsa la Dc, Forza Italia e Lega in simbiosi ne raccolgono l'eredità, esprimendo in fondo le due antiche anime del mondo cattolico: quello refrattario allo stato italiano e quindi incline ad atteggiamenti protestatari e anti-sistemici e quello accomodante, pro-establishment, benpensante e business oriented». E fin qui, nihil novi sub soli.
Poi però Ignazi, tra le varie spiegazioni dell'egemonia cidiellina nel Lombardo-veneto, sulla scia degli studi di Paolo Natale, cita anche il caso della «dislocazione elettorale del Psi craxiano», della persistente mutazione genetica di quel voto. «Vista la deriva moderata di tanti suoi dirigenti e in misura ancora maggiore di quadri intermedi dopo il collasso del partito - spiega - se si sfila il Psi dalla sua collocazione storica a sinistra e si confrontano i risultati elettorali post '94 con quelli pre-'94 senza computare il Psi nella sinistra ma attribuendolo in linea puramente ipotetica alla destra, ecco allora chiarite le basi del consenso e la relativa continuità politica del nord».
Insomma una questione settentrionale letta (anche) attraverso la diaspora del voto socialista. Il che aiuta a spiegare la tesi ignaziana sul perché Lombardo-veneto ed Emilia Romagna, cioè «due aree molto simili per ricchezza prodotta e insediamenti industriali, abbiano poi comportamenti di voto così diametralmente opposti», smontando di conseguenza la vulgata di chi vede, invece, «una correlazione stretta tra produzione di ricchezza e voto a destra».
Letta soprattutto da Milano, città metafora e punto di snodo di tutti i nord italiani, questa analisi ha l'indubbio merito di allargare un dibattito sul male del nord che altrimenti rischierebbe di limitarsi dozzinalmente a una richiesta di più cemento, cioè di maggiori infrastrutture.
«Ignazi dice il vero», ragiona Paolo Pillitteri, sindaco di Milano dall'86 al '92. «Quel vuoto causato dall'emorragia di voti socialisti post-Tangentopoli, a sinistra non è stato mai più colmato. A ben guardare è sempre quello smottamento che fa la differenza nel Lombardo-veneto e in primis a Milano. Il motivo? Molti elettori restano diffidenti di una sinistra in cui fatica ad emergere una forza in toto riformista ed erede e continuatrice del Psi craxiano». Lo stesso dibattito sul partito democratico non a caso risulta viziato per Pillitteri: «fatto così mi sembra più una scorciatoia cattocomunista per non fare i conti con la storia, cioè la questione socialista. Peccato però che la politica non tollera salti».
La stessa vicenda «della candidatura Veronesi è lì a dimostrarlo», rincara Piero Borghini, ultimo sindaco socialista della Milano pre-Tangentopoli. «Il suo è stato un impallinamento figlio di un'ostilità antisocialista ancora forte in certi pezzi di Unione, quanto meno a livello locale. Basti ricordare gli slogan sinistri riemersi lo scorso autunno per stopparlo: la Milano da bere, i nani e le ballerine, la questione morale». Insomma un'ostilità diffusa che nel Lombardo-veneto ha ormai cristallizzato la famosa mutazione genetica del voto socialista.
Rimedi? «Bisognerebbe avere il coraggio di un atto politico forte», precisa Carlo Tognoli, per un decennio ('75-'85) apprezzato sindaco socialista sotto la Madonnina. «I Ds, ma non solo loro, dovrebbero semplicemente dire: abbiamo sbagliato. Aveva ragione Saragat, il Nenni autonomista e Craxi. Invece, per falso moralismo o per fedeltà all'ortodossia di partito, i pur apprezzabili spunti revisionisti di un Piero Fassino restano ancora troppo paludati. Ma così non basta: se non ci sarà questo scatto di verità, il nostro vecchio elettorato - per lo più ceti medi e popolari allergici al massimalismo, oppure nuovi mestieri professionalizzati che chiedono alla politica che li organizzi - resterà in maggioranza a destra».