ALLA FACCIA DEL POPOLO SOVRANO di Alberto Benzoni dall’Avanti della Domenica del 24 luglio 2011

11 ottobre 2011

ALLA FACCIA DEL POPOLO SOVRANO di Alberto Benzoni dall’Avanti della Domenica del 24 luglio 2011

ALLA FACCIA DEL POPOLO SOVRANO di Alberto Benzoni dall’Avanti della Domenica del 24 luglio 2011 Il 14 luglio del 1789 ha simboleggiato l’inizio di una lunga battaglia per la conquista di un ordinamento politico fondato sulla sovranità popolare. Oggi, il 14 luglio del 2011 potrebbe rappresentare il primo importante segnale della sua rapida liquidazione. E a prezzi di saldo. Cos’è avvenuto? E’ avvenuto che sia stata approvata una manovra socialmente regressiva ed economicamente dannosa. Una manovra attraverso la quale la generazione presente fa pagare alle generazione future le ( presunte) colpe di quelle passate, e che, per altro verso, premia gli “irregolari” (forti o solo furbi che siano) a danno della generalità dei cittadini. Ma è avvenuto anche, e soprattutto, che questa operazione sia stata realizzata a tamburo battente e senza alcun dibattito. Certo, l’opposizione ha votato, diciamo a futura memoria e per separare le sue responsabilità. E questo va bene. Ma ha anche presentato alcuni emendamenti, a suo dire significativi, ma caduti nel nulla e senza che nessuno si degnasse di chiarirne a noi poveri mortali la natura e l’importanza. E questo non va bene. Mentre non si è curata di indicare né prima né durante né dopo il passaggio parlamentare quale manovra diversa e alternativa avesse in mente. Alimentando i già diffusi sospetti che non ne avesse in realtà alcuna. E questo va male, anzi malissimo. Ma, almeno, magra consolazione, l’opposizione ha svolto con dignità la parte che le era stata assegnata nel copione. Mentre lo stesso non può dirsi della maggioranza, distratta da ordinari traffici e da “boatos” giudiziari e del poveruomo che la guida. Una persona ormai confinata in un universo di cartapesta e di strass popolata di attricette compiacenti, di telespettatori adoranti e di consumatori giulivi e oggi angosciata dalla sua dissoluzione, e comunque del tutto incapace di misurarsi con il mondo reale, con le sue sfide e con le sue sofferenze collettive. Oggi, una presenza siffatta è, di per sé, un fattore di disgregazione e di crisi, oggi, più che mai il ritiro del Cavaliere sarebbe dunque un atto di igiene pubblica, insieme intellettuale e morale, ma, proprio per questa ragione, si tratta di una speranza vana. Ma torniamo al nostro copione. Il suo testo è semplice. Perché si tratta dell’enunciazione esplicita di un vero e proprio ultimatum. Diciamo che l’Italia doveva varare una manovra. E questo punto non era in discussione. Mentre, però, potevano, anzi dovevano essere oggetto di discussione la sua entità, la sua articolazione nel tempo e la sua qualità. Questo, almeno, in linea di principio. Perché, in linea di fatto, non è stato così. Perché, al dunque, il “come” è stato cancellato dal “quando”. Insomma, dovevamo tagliare quanto più possibile. Immediatamente. E senza discutere. Altrimenti “ci avrebbero fatto fare la fine della Grecia”. Siamo in presenza qui della razionalizzazione, e quindi della legittimazione, di una condizione di permanente ricatto. Ne conosciamo le vittime: la generalità dei cittadini, coloro che si affidano alla politica, alle istituzioni, insomma alle risorse della collettività, come naturale baluardo per la difesa delle loro ragioni e dei loro diritti. Sarebbe allora il caso di individuarne un tantino meglio gli autori. L’Europa (“ce lo chiede l’Europa”)? Sì, ma quale? Quella garante delle regole, certamente sì, ma questa Europa non ha una autentica legittimazione democratica. Mentre quella politica non c’è, non l’abbiamo ancora sentita, non ci dà né indicazioni strategiche condivise e nemmeno una discussione aperta sulle medesime, né a livello dei governi né in un Parlamento molto più pronto a dividersi sulle nostre “radici”che a preoccuparsi del nostro futuro. Rimangono allora i famosi “mercati”. Il cui “giudizio”è come quello degli dei dell’Olimpo, insieme insindacabile e capriccioso e, in definitiva, rovinoso, almeno per i mortali che non godano della loro protezione. L’unica differenza è che, questi, non li vediamo mai. E, ancora, le agenzie di “rating”. Che non pagano mai per le loro molteplici sviste. Mentre fanno pagare, da subito, agli altri, i loro giudizi. E, con loro, il pulviscolo mortale degli scommettitori finanziari, con la possibilità, negata a quelli comuni, di predeterminare, in buona misura, gli esiti su cui scommettono. Questa è la situazione in cui ci troviamo, che si protrarrà a lungo, almeno sino a quando il processo di globalizzazione non troverà adeguati strumenti di controllo e di orientamento politico collettivo. Ma in questa stessa situazione ci è data pure una qualche possibilità di scelta. Una scelta che riguarda, insieme, il merito e soprattutto il metodo. Mettiamola nel modo più semplice e brutale possibile. Sappiamo di essere di fronte ad una pressione esterna, che ci chiede di fare dei sacrifici. E questo non è in discussione. In discussione, invece, è e sarà il nostro diritto/dovere di discuterne nel merito, in un grande dibattito nazionale in cui si possa stabilire, in tutta autonomia, le scelte da intraprendere in un rapporto dialettico e non subalterno con il mondo esterno. Ora, il 14/15 luglio “ultimo scorso”tutto questo non c’è stato, così che il nostro “dovere nazionale”di agire prontamente si è tradotto nella “resa nazionale”di fronte a pressioni esterne di cui veniva così riconosciuta l’insindacabilità, che dico la superiore legittimità. Alla faccia, appunto, del popolo sovrano. Due possibili percorsi, allora, di fronte a noi. O si tornerà a rivendicare il difficile onere di gestire, consapevolmente, il nostro destino, oppure ci si avvia senza reagire verso la liquidazione dell’ordinamento, e in virtù della “prova provata” della sua totale impotenza.

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