Alberto Benzoni 4 – 1 febbraio 2022 - COMUNISTI E SOCIALISTI: DAL 1978 ALL’OMICIDIO/SUICIDIO DEL 1992
01 febbraio 2022
Il titolo della nostra ultima
puntata è “comunisti e socialisti”; perché suo assoluto protagonista è il PCI,
prima guidato da Berlinguer; poi dagli epigoni di Ingrao.
Al centro del periodo il 1978
come passaggio cruciale di una serie di eventi che porteranno alla crisi della
politica di unità nazionale, al ritorno al quadripartito e alla definitiva
rottura del rapporto tra comunisti e socialisti.
Un esito scontato? Magari
perché frutto di oscuri complotti, interni e internazionali?
Io non la penso così. Penso
che la “rivoluzione culturale” craxiana, scoppiata all’indomani delle elezioni
del 1976 sia stata, nell’insieme, negativa e inevitabile; ma che sua vittoria
totale sia stata il frutto e della crisi della politica di unità nazionale e
degli errori marchiani dei suoi avversari esterni e poi interni. A partire da
un antisocialismo viscerale e dai connotati vagamente razzistici, inaugurato da
Berlinguer e sviluppato, fino al disastro finale, dal duo Occhetto/D’Alema.
All’inizio di questi due
processi un evento assolutamente cruciale. La trasformazione del Psi da
“partito al servizio” di una causa o di un obbiettivo - quale era stato da
Turati in poi - in partito al servizio di se stesso, quale sarebbe diventato
dall’avvento di Craxi in poi. Una trasformazione che avrebbe avuto, con l’andar
del tempo, esiti perversi; ma che era, agli inizi, assolutamente inevitabile. E
che comunque non poteva essere oggetto di contestazione da un partito, il Pci,
che identificava la causa con sé stesso; e che, nel 1976, avrebbe raccolto i
frutti di un albero che i socialisti che i socialisti avevano, più di qualsiasi
altro, contribuito a scuotere. Da tempo il Pci vedeva con fastidio l’esistenza
di uno Psi concorrente sul suo stesso terreno.
Figuriamoci poi se questo
concorrente apriva polemiche. Ideologiche, come nella rivendicazione di una
sinistra libertaria (rivendicazione magari un tantino strumentale ma più che
giustificata dalla pretesa del Pci di essere, insieme, erede di Lenin ma anche
di Turati) sino alla iniziativa umanitaria per salvare la vita di Moro.
Fino al marzo 1978 la
polemica tra i due partiti si mantiene nei confini di un normale, anche se
talora aspro, conflitto politico. Il Psi non ostacola formalmente il governo
della non sfiducia e la sua evoluzione verso un accordo di maggior spessore. Ma
mantiene le sue distanze: coltivando i suoi rapporti con la sinistra radicale,
contestando la legge Reale e la politica di ordine pubblico e articolando, tra
convegni e congressi, una diversa visione del futuro della sinistra. Tutta una
finta in attesa di “svelare il nostro vero volto”?
Diciamo un’opzione che poteva
trovare sviluppi futuri. Ma che, dopo il rapimento e la morte di Moro, sarebbe
stata travolta dagli eventi. E, soprattutto, dall’interpretazione che, di
questi eventi, avrebbe dato, il gruppo dirigente del Pci.
Non c’era alcun bisogno del
senno del poi nel dare per scontata la separazione delle vie tra democristiani
e comunisti: venti di guerra fredda, Sme, euromissili e, soprattutto, impossibilità,
da parte dei primi, di perseguire a lungo- finita la fase dell’emergenza- una
collaborazione politica alla quale avevano pagato il dazio pesantissimo del
sacrificio del loro leader.
In questo stesso quadro il
nostro tentativo di mettere in minoranza Craxi era, già da allora, fuori tempo
massimo: perché contestativa al segretario un reato- il decisionismo- che, agli
occhi dei militanti socialisti, stava diventando un titolo di merito; e perché
poneva all’ordine del giorno, in alternativa, un’ipotesi quella del ritorno ad
un governo di unità nazionale, che non era più praticabile…
Ma il fatto è che, per il
Pci, la fine dell’unità nazionale e, ancor più, la liquidazione frettolosa del
compromesso storico, non ha motivazioni politiche; perché ci si muove
all’interno di una visione del mondo, insieme moralistica e complottarda in cui
scompare, in ogni campo, la divisione tra destra e sinistra (assieme allo
stesso arco costituzionale) per essere sostituita da quella tra buoni e
cattivi. Cattivi i socialisti e in parte i democristiani, assieme al “sistema
corrotto” costruito intorno a loro; buoni i comunisti, parte dei democristiani
e coloro - “tecnici”, “onesti”, “società civile” - che a questo sistema si
opponevano o si sarebbero opposti.
Per noi era la codificazione
della nostra perversione genetica; ad anticipare il nostro genocidio politico.
Ma non ce ne siamo accorti. Perché il nostro mondo, e in particolare quello di
Craxi, era quello della prima repubblica. E perché la prospettiva che ci
illudevamo di coltivare - il cosiddetto schema mitterrandiano - era votata in
partenza al fallimento. Per la disparità di forze. E perché schemi
mitterrandiani non si possono costruire a partire dal governo ma
dall’opposizione.
Potevamo, forse, rompere la
morsa rivolgendoci al paese e alla sinistra in nome di una grande riforma o di
un grande processo di rinnovamento. Ma, ignorando il pericolo che ci
sovrastava, abbiamo considerato una risorsa l’essere garanti della
governabilità e un successo la crescita di voti e di potere di un partito che
aveva delegato al vertice la politica per occuparsi dell’altro.
“Abbiamo”. Prima persona,
plurale. A indicare il fatto che al momento della Prova non abbiamo trovato
nessuno, dico nessuno, che potesse presentarsi e dire: ”io ve l’avevo detto”.
Né è valso a salvarci, il grande e appassionato richiamo di Craxi alla
responsabilità comune dei protagonisti della prima repubblica. Sul resto è
meglio tacere.
Per i comunisti, l’illusione
di aver vinto. Così da entrare nella nuova repubblica, rinnegando e cancellando
il proprio passato e la loro precedente visione del mondo e delle cose per
seguire il verdetto della storia. E salutando il genocidio politico dei
socialisti con la stessa malcelata soddisfazione con cui negozianti o i professionisti
ariani avevano salutato le leggi razziali che del 1938 che gli aveva sbarazzati
dei loro concorrenti ebrei.
Dopo, sarebbero morti anche
loro. Ma piano piano. E senza mai rendersene veramente conto.