ADDIO AD ANTONIO GHIRELLI, GRANDE SOCIALISTA, GRANDE AMICO.

02 aprile 2012

ADDIO AD ANTONIO GHIRELLI, GRANDE SOCIALISTA, GRANDE AMICO.

Caro Antonio,
la tua scomparsa ci colpisce e ci addolora, oltre che un compagno eri un amico con il quale non abbiamo smesso di parlare e di chiederti un aiuto. Hai scritto per l’Avanti della Domenica sempre anche negli ultimi mesi e fino a non molto tempo fa, nonostante la tua età, se ti si chiamava per un dibattito, per un convegno o per un’assemblea di partito eri sempre disponibile.
Ci mancherai e ci mancherà la tua sempre forte giovinezza. La tua convinta speranza nel Socialismo italiano e nella possibilità di ricostruire un grande partito di ispirazione socialdemocratica, perché come dicevi sempre tu il Socialismo non è un’ideologia, ma una politica di solidarietà. La stampa ti sta ricordando con il dovuto rispetto e nonostante la damnatio memoriae dei socialisti in quest’ultimo ventennio, nessun giornale può tacere la tua fede, il tuo lavoro, il tuo impegno nel PSI e poi con Pertini e con Craxi. Per questa ragione pubblichiamo qui sotto l’articolo di Marzio Breda che ti è stato dedicato a piena pagina sul Corriere della Sera dal titolo: “Addio Ghirelli, narrò l’Italia dai campi di calcio al Colle”.
Ciao, Roberto.


«Ne so abbastanza di che cosa significhi aprire il Quirinale e creare spazi più ampi al dialogo con il Paese. Può essere un’operazione, più che delicata, pericolosa… a volte una rovina». Antonio Ghirelli si rabbuiava com’era raro accadesse, se gli si chiedeva di rievocare la stagione in cui era stato portavoce di Pertini. «Un’esperienza bellissima e burrascosa», raccontava. Troncata dopo due soli anni, il 31 maggio 1980, quando fu sollevato dall’incarico per un incidente, una gaffe della quale non aveva colpe. Accettando il sacrificio pur di salvare il responsabile, un suo funzionario che non voleva veder rovinato «perché aveva moglie e figli». Tre giorni prima era stato ucciso l’inviato del Corriere Walter Tobagi e i cronisti al seguito del presidente alla corte spagnola avvertirono lo staff in trasferta che un’inchiesta su un terrorista di Prima Linea, Marco Donat Cattin, figlio del vicesegretario dc, adombrava l’ipotesi di un favoreggiamento del premier Cossiga per far fuggire il ragazzo. Lo scandalo era enorme e si voleva sapere che cosa ne pensava il capo dello Stato. Nella concitazione del momento, e in assenza del portavoce, quel funzionario guidò un briefing leggendo alcuni appunti da cui filtrava un ufficioso, e troppo drastico, parere di Pertini, al limite dell’interferenza: se non sarà dichiarata l’infondatezza delle accuse, Cossiga si deve dimettere. Fu l’unico infortunio, risolto da gentiluomo che ha senso dello Stato, in cui sia incorso Ghirelli — scomparso ieri a Roma—nella sua lunghissima e straordinaria carriera. Nato a Napoli quasi 90 anni fa, muove i primi passi nella rivista «IX Maggio», emanazione del Guf, «anche se in realtà eravamo un covo di antifascisti », spiegava. All’università Federico II stringe amicizia con Patroni Griffi, Compagnone, La Capria e con un giovane della buona borghesia cittadina, Giorgio Napolitano («interprete di una parte in un mio atto unico») che adesso lo onora ricordando «il legame che ebbi con lui in quegli anni e senza poi mai perdersi di vista». È di allora l’interesse per teatro, cinema e politica. Ghirelli partecipa alla Resistenza. Collabora alle radio libere della Quinta Armata Usa (dove incrocia Mikhail Kamenetzky, Ugo Stille) e nel 1942 s’iscrive al Pci, che lascia nel 1956, con la rivolta d’Ungheria, per il Partito socialista. Intanto si butta nella professione, ricoprendo ogni ruolo e passando da L’Unità a Milano Sera, da Paese Sera alla Gazzetta dello Sport, e dalle direzioni di Tuttosport a quella del Corriere dello Sport, senza trascurare i passaggi al Corriere della Sera, al Globo e al Mondo, all’Avanti e al Tg2. Con le parentesi da portavoce prima al Quirinale e poi a Palazzo Chigi, con Craxi. Ma è nel competitivo e cannibalesco ambiente dell’informazione sportiva che Ghirelli lascia un segno profondo. «Per tanto tempo», racconta Vanni Lòriga, suo compagno di lavoro, «Antonio fece squadra con Palumbo e Barendson, dando vita assieme a loro a quella scuola napoletana che ingaggiò infinite battaglie contro la filosofia catenacciara di Gianni Brera.
I napoletani spingevano per un calcio aperto, arioso, meno avaro, offensivo insomma. Brera sosteneva che non ne saremmo mai stati capaci, che i nostri ragazzi erano deboli perché cresciuti a polenta e non a bistecche… ». La disputa si trascina per anni, mentre lui allarga gli orizzonti della stampa calcistica con invenzioni quotidiane. Ai suoi reporter raccomanda: «Non basta la cronaca, servono retroscena, risvolti umani, sociali, politici anche ». E, sottinteso, serve una scrittura asciutta, rigorosa e chiara come la sua. Pungente, se necessario. Un esempio: il 26 agosto 1960, all’Olimpiade di Roma, quando elogia «l’anima da fanciullo» di Consolini, oro nel ’48 a Londra, deriso per la voce stridula con cui ha letto il giuramento degli atleti. Lui, controcorrente, lo celebra vedendoci l’anima «umile e francescana» dello sport «da viaggi in terza classe, piccoli alberghi e cartoline agli amici». Ci vede cioè il «contadino veneto che ha imparato a girare il mondo portandosi dietro, come tutto bagaglio, un sorriso, un disco, una bandiera da far sventolare al sole e alla pioggia». È un approccio generoso ed entusiasta che segna il suo intero, instancabile percorso. Ghirelli, infatti, trova il modo di impegnarsi pure sulle altre sue passioni. Con decine di libri enciclopedici destinati a restare. Che riguardano sì lo sport, ma anche la storia e la politica, specie a quella della sinistra, fedele a una versione umanitaria del socialismo (che per lui è «non un’ideologia ma un sentimento, il sentimento della solidarietà…»). E soprattutto fedele alla sua città, cui dedica saggi importanti sui quali primeggia la «Storia di Napoli» scritta per Einaudi nel 1973 e ristampata più volte.

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