ACHILLI, IL SOCIALISTA CHE GUARDAVA LONTANO di Alberto Benzoni da criticasociale.net del 15 agosto 2023
15 agosto 2023
Come nelle favole, il nostro compagno e amico Michele Achilli, scomparso a 92 anni a inizio agosto, è stato assistito alla sua nascita da una fata buona che gli ha offerto in dono la serenità. Senza che ce ne fosse una cattiva all’orizzonte. Così Michele era sereno in tutti i sensi. E sempre. E in ogni circostanza. Nella solidità affettiva e partecipe dei suoi rapporti personali, consolidati nel tempo. Nella capacità di combinare il razionale e il ragionevole, la ricerca del giusto con l’attenzione al possibile. La passione per le cose con la sobrietà delle parole. L’intransigenza nella sostanza con l’attenzione alla forma. La capacità di aggregare e quella di distinguere. E, per riassumere il tutto, l’etica della convinzione con quella della responsabilità. Tutti, questi, requisiti essenziali per un riformista. E, non a caso, il Nostro ha vissuto da protagonista le tre grandi stagioni del riformismo socialista: la politica e la pratica delle riforme di struttura della grande stagione lombardiana, nei suoi risvolti concreti e locali; la scommessa sull’alternativa, maturata nel corso degli anni settanta; e, infine, la grande stagione internazionalista degli anni ottanta. Per dedicare gli ultimi decenni della sua lunga e bella vita, a rivendicare la natura e la validità del suo antico percorso, con una serie di libri frutto di una riflessione personale ma soprattutto collettiva e condivisa. Nel senso comune di oggi, reperti archeologici. Nella realtà testimonianze preziose per l’oggi e per il domani. A ricordarci che le riforme nascono dallo scontro politico e sociale e sono sempre, di conseguenza, a favore di qualcuno e contro qualcun altro; e che il socialismo delle parole ha sempre bisogno della verifica delle cose. E, infine, che tramontato il mito della rivoluzione e del socialismo realizzato, il Psi dei “trenta gloriosi” si era sempre collocato a sinistra del Pci: e non solo nei suoi propositi alternativi ma anche nella sua attenzione concreta all’attuazione delle riforme. Così da contestare, a livello locale e nazionale, la pratica diffusa delle “ leggi manifesto”, varate con squilli di tromba, salvo a disinteressarsi completamente della loro concreta applicazione. In questo l’esperienza di Michele è quella di un’intera generazione. Quella entrata in politica nella seconda metà degli anni cinquanta sotto il segno dell’ottimismo e della speranza. Dove il richiamo al ruolo autonomo del socialismo incarnato dal messaggio del congresso di Venezia fa tutt’uno con la fine delle chiusure e nei pessimismi del decennio postbellico, per essere sostituita dall’impegno collettivo per un generale cambiamento ad un tempo necessario e possibile. Tutta di Achilli, invece, l’esperienza di Sinistra per l’alternativa. Un’esperienza che, a differenza di tanti di moda e alla moda, non ha mai considerato un errore di gioventù o una fuga in avanti da incasellare nel conto profitti e perdere di una fase lontana e irripetibile; tanto da farne, assieme a noi, il tema di una riflessione collettiva. In aperto contrasto con l’opinione corrente (e diffusa ampiamente anche all’interno del microcosmo socialista) secondo la quale il richiamo all’alternativa era una pura mistificazione e lo scontro politico su questo tema un momento di ricreazione ( come i carnevali dei secoli passati) destinato a finire con lo scontato ritorno all’ordine da parte di coloro che contavano. A partire dallo stesso Craxi. Ora, il nostro caro compagno non la pensava così allora. Né ha cambiato opinione nel corso del tempo. Fino a dedicare tutte le sue energie, in costante confronto con i suoi compagni di avventura, a ripercorrere le nostre ragioni e speranze di allora. Ma anche i fattori oggettivi che hanno potato alla nostra sconfitta finale. La nostra era certamente una scommessa. Ma non era assolutamente una scommessa campata in aria. Non eravamo né politicamente né esistenzialmente (chi vuole intendere intenda…) delle propaggini del movimento studentesco; né ci esaltavano i suoi slogan. E sapevamo perfettamente che le due maggiori forze politiche del paese si collocavano, da sempre, in una prospettiva di cui il compromesso storico era il logico sbocco. Ma Achilli (a differenza di Cicchitto e Signorile) era un socialista delle cose e non delle parole. Al punto di pensare che il grande e generale processo di contestazione dell’ordine costituito in atto nel nostro paese avrebbe avuto, in prospettiva, la meglio sui disegni normalizzatori del ceto politico. E, ancora, pensava, come Lombardi, che ogni evento politico, disfatte comprese, avesse un valore pedagogico. E, infine e soprattutto, guardava alla vicende europee all’insegna dello scontro tra socialismo e barbarie. Nella convinzione, allora molto diffusa, che gli eventi maturati nella seconda metà degli anni settanta aprissero la strada alla vittoria definitiva del primo sulla seconda. A porre fine all’esistenza del nostro gruppo, con il suo pratico scioglimento, non furono comunque le vicende interne (il cui corso e il cui esito furono alterati da vicende del tutto impreviste e dalle reazioni incontrollate rispetto a queste vicende da parte delle forze politiche e, in particolare, del Pci) ma quelle internazionali. Dove Achilli fu, ancora, il primo a capire la natura drammatica e la dimensione globale della svolta: dalle sconfitte di Carter, Callaghan, Foot e Schmidt, sino al cambiamento radicale di Mitterrand, dalla promessa di “cambiare la vita” al ritorno alla più stretta ortodossia economica e finanziaria (una svolta, per inciso, che rendeva la vicenda italiana oggettivamente assai meno grave…). Al tema è dedicato l’ultima nostra grande iniziativa; un incontro con intellettuali e dirigenti politici dalla galassia socialista europea: a testimonianza della gravità della sfida ma anche alla questione internazionale dell’impossibilità di farvi fronte in modo adeguato. Uno scioglimento per l’impossibilità di raggiungere gli obbiettivi prefissati. Ma anche una separazione individuale delle vie, nelle più diverse direzioni. Per Michele, la scelta irreversibile fu, ancora una volta, quello di vivere il suo socialismo non nel quadro ristretto e interno dell’esercizio quotidiano del potere ma come condizione di partenza per un nuovo impegno esterno. E venne la grande stagione internazionalista, in uno spazio di azione e di manovra garantiti dal vertice e con l’utilizzo di strumenti istituzionale e culturali di grande spessore e di medesimo convincimento. Palestina, rapporti tra Nord e Sud e con il mondo arabo, sostegno ai movimenti del dissenso, contro le strumentalità della politica dei blocchi. Vicende descritte ampiamente nei suoi testi. E il cui degno coronamento sarà la giornata intera dedicata dal congresso di Milano: rivoluzionari sudamericani e afghani di incerta origine; dissidenti dell’Est e comunisti revisionisti; palestinesi e sinistra israeliana. Presenti di fatto e frequentatori abituali; non “partiti fratelli” ma forze ch e operavano per un mondo ed erano grati ai socialisti e a Craxi per il sostegno ricevuto. Poco dopo, Mani pulite. E con essa l’uscita di Michele dalla vita politica attiva. In un silenzio pubblico durato per trent’anni. Che nessuno dei suoi tanti amici, noi compresi, gli ha chiesto di rompere, o di spiegare. A partire dal fatto che il Nostro non ha mai sentito il bisogno di farlo. A noi, ai suoi tanti amici di sempre, basta ricordare il suo sorriso. Il sorriso amabile e felice di un viso rimasto inalterato dal peso degli anni. La manifestazione ultima di una serenità che l’ha accompagnato per tutta la vita; come nel suo rapido e indolore passaggio verso la morte. Che la terra ti sia lieve, caro Michele; così come lieto e sereno sarà il ricordo che serberemo di te.
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