A NOI IL REFERENDUM AGLI ALTRI IL FUTURO DEL MONDO di Giuseppe Longhi

31 ottobre 2017

A NOI IL REFERENDUM AGLI ALTRI IL FUTURO DEL MONDO di Giuseppe Longhi

Tutto corre. Fuori dal nostro pollaio.
Segnali “as usual” dal referendum sull’autonomia: qui come altrove la metropoli è insensibile al fascino dell’autonomia, che risulta inversamente proporzionale alla dimensione delle comunità. Questa è una spiegazione del successo del referendum nei borghi, nelle piccole città e nelle valli, territori poco permeabili alle sfide (e alle incertezze) della moderna connettività; una situazione particolarmente prolifica nel Veneto “de noialtri”.
Una questione che, in Italia come altrove, è cavalcata con grande irresponsabilità da politici che ignorano gli effetti dirompenti generati dai nuovi flussi relazionali. Una ignoranza che li porta a farsi portavoce delle comunità ‘chiuse’, lasciando al caso la gestione degli effetti di tali scelte, contribuendo senza alcuna prospettiva allo sfascio che colpisce tanto gli stati nazionali che le comunità.
Nella situazione italiana pesa l’assenza della forza propulsiva della metropoli per eccellenza, quella lombarda, che pur tiepida verso l’autonomia, è assente nella proposta di modelli di governance capaci di dare una risposta adeguata alle ondate di innovazione che investono la nostra comunità.

Prima ondata: nella governance delle moderne metropoli si sta assistendo al passaggio dalla centralità di modelli di gestione passiva di uno spazio inteso come sistema chiuso, dal punto di vista fisico e relazionale, agli “open systems”, sistemi aperti e sempre più acentrici, in cui la gestione dei flussi immateriali ha la supremazia sulla realizzazione delle infrastrutture fisiche.
Questa ondata è segnata da un fatto rilevante: Google, che notoriamente gestisce dati e connettività, attraverso la controllata Sidewalks Lab si è aggiudicata il progetto di rigenerazione urbana di un quartiere di Toronto, dopo aver collaborato, a New York, al progetto Hudson Yards e al programma di edilizia popolare del sindaco De Biase.
Con questo bisogna prendere atto: 1- che nella progettazione urbana la gestione dei flussi immateriali è una condizione essenziale per la gestione dello spazio fisico, 2 – che fra i due elementi devono crearsi sinergie virtuose, 3 – che la forza di queste sinergie è il rapido incremento di produttività delle nuove infrastrutture urbane, rimaste pressoché inalterate dal secondo dopoguerra.
La metodologia di progettazione proposta da Sidewalks Lab non è particolarmente innovativa, essa punta alla realizzazione di una piattaforma digitale in grado di massimizzare l’efficienza delle nuove infrastrutture urbane, la cui composizione è coerente con gli obiettivi delle Convenzioni internazionali sull’ambiente e sull’energia, con i punti dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile 2030 e con le applicazioni delle “tecnologie smart”.
E’ più innovativo il concept del progetto: esso, a differenza dei tradizionali progetti finalizzati alla redistribuzione e all’ottimizzazione dei processi urbani, punta a sviluppare nuovi processi di accumulazione di ricchezza grazie a:
– rapidi incrementi di produttività della “macchina urbana” grazie ad un meccanismo generativo basato sulla creazione o l’utilizzo di start-up innnovative;
– replicabilità delle soluzioni, per cui il progetto urbano è visto all’interno di un processo di scaling.

Seconda ondata: la città di Google funziona solo con la disponibilità di dati e di codici ‘sorgenti’ che permettano il funzionamento dei programmi di pubblica utilità, e questi in un sistema democratico devono rimanere pubblici. Una questione colta da Jathan Sadowski su “The Guardian” con l’articolo “Google desidera gestire città senza essere eletta. Non dobbiamo permetterlo!”.
Una preoccupazione colta tempestivamente dal programma DECODE dell’Unione europea, che si fa carico del disagio dei cittadini per la perdita di controllo sulle informazioni personali che circolano sulla rete, perché la capacità di accedere, controllare e utilizzare i dati personali è diventata un terreno di caccia delle major di internet.
L’attuale monopolizzazione dei dati tende a limitare le libertà personali, crea disuguaglianze ed inefficienze. Ciò compromette la fiducia tra cittadini, istituzioni pubbliche e imprese, che è essenziale per una società ed un’economia stabile, sostenibile e collaborativa.
DECODE si propone di elaborare strumenti per una società ed un’economia digitale data-centrica in cui i dati generati e raccolti dai cittadini, da Internet of Things (IoT) e dalle reti di sensori siano tutelati e considerati un “bene comune”, ossia disponibili a tutti con adeguate protezioni sulla privacy con lo scopo di creare applicazioni e servizi che rispondano alle esigenze della comunità.

Terza ondata: per affrontare il carattere dirompente delle nuove realtà sociali, economiche, spaziali la gestione democratica non può limitarsi a definire regole e confini per cittadini considerati soggetti passivi, deve proporre soluzioni innovative dettate dai contributi creativi dei singoli e delle loro organizzazioni. Le nuove possibilità di connettività diventano così l’occasione per rendere reale le potenzialità “reattive – predittive e aumentative” della tripla elica costituita da Pubblica Amministrazione, Imprese, Sapere, con l’obiettivo di dilatare la testa e l’operatività della comunità. In sintesi le amministrazioni più sensibili non usano la connettività per illustrare passivamente ai cittadini quanto stanno facendo, ma per proporre temi chiave di sviluppo su cui la comunità (locale e internazionale) è chiamata a individuare soluzioni. E’ quanto sta avvenendo ad esempio ad Amsterdam, con il programma Smart City, a Nuova York con NYCx (un programma municipale per trasformare lo spazio metropolitano in hub per la collaborazione tecnologica, la ricerca, la sperimentazione, lo sviluppo), a Boston con gli “Urban Mechanics”, a Barcellona con il “Smart Citizen Lab”… . Allo scenario di cittadinanza ‘reattiva’ contribuisce anche il mondo della finanza sociale come la Rockfelleri Foundation, la Ellen McArthur Foundation, il Bloomberg Innovation Team, … che si fanno carico di trasformare quella che storicamente era un’attività di carità in moderne imprese di economia sociale.
E’ da augurarsi che i cittadini della metropoli lombarda, oltre a non aderire alle sirene di una vuota autonomia, siano reattivi:
– riguardo al rinnovo del personale politico e della pubblica amministrazione – perché i cambiamenti dirompenti richiedono il rinnovo delle capacità;
riguardo alla dilatazione del sapere – perché la ‘mente’ attuale è stata concepita nel secolo scorso ed oggi richiede una salutare dilatazione;
– riguardo al rinnovo del concetto di imprenditorialità – perché la nuova dimensione dell’industriosità sociale deve essere un pilastro di un’accresciuta qualità della convivenza; riguardo alla scalarità delle esperienze lombarde – perché contribuiscano alla rigenerazione della nazione.

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